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Un anno fa moriva George Michael


George Michael, un anno senza l’outsider del pop inglese: ascoltate senza pregiudizio

l cantante è morto il giorno di Natale del 2016: dagli esordi con gli Wham!, simbolo luccicante e svagato degli anni Ottanta, alla carriera solista più intimista e combattiva, fino alla celebrazione nel doc ‘Freedom’. A un anno dalla sua scomparsa, ecco cosa rimane dell’uomo

Ci sono delle vite dentro le quali sarebbe meglio non entrare. Bisognerebbe prendere tutto quello che di bello ci arriva da queste vite, senza fare domande. Se poi proprio non ci si riesce e la tentazione di fare incursione è troppo forte, per umana curiosità o perché determinati a trovare la conferma di quella percezione di un comune sentire, allora andrebbe fatto in punta di piedi e sottovoce. Andrebbe fatto così con George Michael, ad esempio, morto il giorno di Natale di un anno fa. Questa volta comunque il rischio di invadere spazi in maniera inopportuna è molto più basso perché è Michael stesso che ci prende per mano e ci porta dentro la sua vita, con il lavoro che ha concluso pochi giorni prima del suo ultimo giorno sulla Terra. Un documentario, George Michael: Freedom, che l’artista ha diretto insieme con David Austin e ha scelto di narrare e che il 25 dicembre andrà in onda su Vh1, canale 67 del digitale terrestre, a un anno esatto dalla sua morte. ‘Freedom’ è la parola che torna periodicamente nella vita di George Michael: ogni volta che si rompe qualcosa, ogni volta che lui avverte il bisogno di fermarsi e ‘scendere dalla giostra’, è poi con quell’ideale di libertà in mente che riesce a tornare, a ricominciare. È una necessità, quella di non avere vincoli, che trasborda pure dai suoi brani, anche da quelli apparentemente più leggeri e frivoli. E questo documentario è il suo bisogno di raccontarcelo più che il nostro di sapere. In questo caso, tutto quello che ci viene chiesto è di ascoltare.

Kate Moss ci introduce ‘all’ultimo lavoro’ di George Michael, la top model è in una stanza scura, seduta sulla poltrona presa in prestito dal video di Fast Love. Il suo contributo si esaurisce qui, ma a imbastire e arricchire il racconto di George Michael poi interverranno in tanti. Elton John e Stevie Wonder sono gli artisti che ci si poteva aspettare di sentire, Liam Gallagher no. Eppure anche lui è prezioso e non solo quando ci suggerisce: “George Michael? Pensatelo così: un moderno Elvis Presley”, ma la sua presenza è importante per avere un’idea di quanto il lavoro di Michael abbia impressionato ancora prima che influenzato il mondo della musica. Proprio come la giostra sulla quale si è sentito di vivere George Michael per buona parte del suo tempo, tra picchi altissimi e momenti molto bassi, anche il film oscilla tra i ricordi dei periodi più fortunati e quelli dei periodi più bui.

Partendo da George Michael prima di essere George Michael, partendo cioè dagli Wham!, descritti come una boccata d’aria in quell’Inghilterra dei primi anni Ottanta, anni di recessione e depressione che si ripercuotevano anche in un genere musicale, il post punk, cupo e privo di speranza, il documentario racconta poi di Faith e di come George Michael sia diventato, nel 1988, l’artista che aveva venduto il maggior numero di album al mondo, del suo senso di solitudine e di insicurezza che lo spingeva a domandarsi quanto tutto quello sarebbe durato, del successo di Listen Without Prejudice, Vol. 1, che è più che altro la sua implorazione, e della decisione di non promuovere in alcun modo quell’album, né con interviste né con pubblicità di alcun tipo. E se la scelta di non comparire nemmeno nei videoclip per i brani dell’album (più che la scelta di raggruppare le top model del momento per girare quegli stessi video) non ha provocato malumori tra i suoi fan, è stato invece un ulteriore elemento che ha incrinato i rapporti con la sua casa discografica, la Sony. La lunga ed estenuante battaglia legale con l’etichetta occupa buona parte del racconto.

George Michael la intraprende proprio per affermare il suo diritto alla libertà di fare musica nel modo in cui vuole. Lui che, e lo ripete più volte nel film, viveva la musica come uno dei rari momenti felici: “Ero solo, mi sentivo solo, l’unica cosa che mi faceva stare bene era cantare sul palco”. They Won’t Go When I Go, cover di Stevie Wonder, è la traduzione in musica di quello che Michael doveva sentire in quei momenti in cui qualcosa si rompeva. È il lamento di un uomo esausto che però non riusciamo a smettere di ascoltare. L’altra parte che occupa parecchio spazio del documentario è il racconto del legame con Anselmo Feleppa. Per lui George Michael aveva annullato molte delle proprie convinzioni, su tutte questa: “sono consapevole che ognuno di noi ha bisogno di una persona, è la mia persona che non sono pronto a dare”. Per questo motivo la morte di Feleppa, malato di Hiv, è stata la causa di una profonda depressione per George Michael e di mesi e mesi di incapacità di creare.

Fino a che, superata, ma non senza lasciare segni, la questione con la Sony, arriva il momento “di cercare la cura per tutto il dolore provato”. George Michael torna ed è cresciuto, è Older. Sarà pronto per fare coming out, ma le parole più belle per Anselmo Feleppa le mette tutte in Jesus To a Child, la ballata che apre l’album. Il documentario poi passa in rassegna rapidamente – peccato – tutto quello che c’è stato dopo, le collaborazioni con Wonder, Paul McCartney, Whitney Huston e album come Patience, per arrivare come un’inquietante premonizione alla domanda finale: “come vorresti essere ricordato”.

Freedom è presentato come l’ultimo lavoro di George Michael. In realtà, in questo anno che è passato dalla sua morte, più volte è stata annunciata l’uscita di materiale inedito. Ci sarebbe addirittura musica per tre album postumi. Intanto, a ottobre, la Sony ha ripubblicato il suo Listen Without Prejudice Vol I insieme con l’Mtv Unplugged rimasterizzato e contenente un brano in più, Fantasy, nella versione remixata con la chitarra di Nile Rodgers. Proprio quel pezzo era stato diffuso a settembre dalla Bbc per annunciare le uscite, superando così definitivamente le discussioni sulle cause della morte di Michael (morte naturale, come ha confermato l’autopsia) e sulla sua eredità (tutto alle due sorelle), per tornare a parlare di musica, il bello da prendere da questa vita.






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