Stampa

Inni e canzoni d’Italia in 150 anni

Uno dei problemi che travagliano la vita dei giornalisti, sono le lunghezze degli articoli. E confesso che, quando l’altro giorno mi hanno chiesto 45 righe per raccontare 150 anni d’Italia fra inni e canzoni, ho avuto un moto di stizza: ma come si fa? Poi, come sempre anche davanti all’impossibile, mi sono messa lì, ho scritto scritto poi tagliato tagliato, e quel che segue son le famose 45 righe, uscite su La Stampa di domenica dedicata al secolo e mezzo del nostro Paese. C’è poco, ma c’è di tutto (quindi, non sgridatemi: anzi, ditemi cos’avreste tagliato voi, e non cos’avreste aggiunto, ché a farlo siamo tutti capaci).

Quale canzone, quale canto, per i 150 anni. Al di là dell’Inno Nazionale di Mameli&Novaro (ma impariamolo davvero), non sono ormai tanti i temi stratificati nella memoria collettiva. Di canzoni storiche solo i più anziani sanno, avendole impresse dai tempi della scuola; mentre i più giovani faranno del pop la loro bandiera. E sarà una colonna sonora simpaticamente sconnessa, che parte dal Tricolore per passare per «Azzurro» di Paolo Conte e finire alla deliziosa «Tre colori» sentita a Sanremo con Tricarico.

Grazie alle bande musicali, alcuni inni risorgimentali risuoneranno. E’ ancora popolare quello baldanzoso, «La bandiera dei tre colori» («è sempre stata la più bella/noi vogliamo sempre quella/Noi vogliam la libertà»), e l’invece un poco pomposo «Inno di Garibaldi» scritto da Mercantini e cantato dalle folle a partire dal 1858 («Si scopron le tombe si levano i morti/I martiri nostri son tutti risorti…»).

Una volta fatta l’Italia, la cultura popolare ha assorbito lentamente la nuova realtà storica, e ha sublimato in coro cronache e visioni del mondo. Ha cantato il vile Bava Beccaris che sparava sulle folle affamate durante la rivolta del pane a fine Ottocento, ha imparato la nenia dell’emigrante che chiedeva alla mamma le famose cento lire, si è identificata nel soldato che salutava «Addio Mia Bella Addio». Poi, furono le tumultuose ideologie politiche dai ’20 ai ’50, con «Bella Ciao», «Bandiera Rossa», «Giovinezza Giovinezza» e almeno «Addio Lugano Bella», che piace ancora tanto ai più romantici appassionati di anarchia.

Con l’arrivo dei dischi, la condivisione collettiva si è inevitabilmente affidata ai divi più popolari. E ancora oggi suonano come inni che hanno titolo a raccontare, se non a spiegare, il nostro Paese, brani che l’uso non ha consumato: «O’ sole mio», «Mamma» che fu un must di Beniamino Gigli, «Nel blu dipinto di Blu» di Modugno che nel ’58 apriva alla modernità del futuro; ma anche «Io vagabondo» dei Nomadi per i più beat, e «Il cielo in una stanza» di Gino Paoli per i più romantici. Non si cessa di cantare, in coro, il celentanesco «Azzurro», ma altre doverose citazioni sono «La canzone del sole» di Battisti, e di De André almeno «La canzone di Marinella»; di Guccini almeno «La Locomotiva»; di Baglioni «Questo piccolo grande amore», di De Gregori «Viva l’Italia», di Battiato «Il centro di gravità permanente», di Vasco «Vita spericolata», di Ligabue «Certe notti». Anche le generazioni più recenti hanno ormai acclamato le loro canzoni nazionali: «Fuori dal tunnel» di Caparezza, «Salirò» di Silvestri, «Luce» di Elisa, persino «Pensa» di un poi svanito nel nulla Fabrizio Moro («Pensa, prima di sparare pensa»). (m.v.)

redazione

La redazione di doremifasol.org e saltasullavita.com è composta da tanti amici ed appassionati della musica di Claudio Baglioni, coordinati dal fondatore e amministratore Tony Assante. Un grazie a loro per il lavoro e l'aiuto apportato a questo portale - Per scrivere alla redazione usare wop@doremifasol.org

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio