Baglioni: 8 Aprile 2011
C’era una volta
un’isola infelice
spuntata in mezzo alle onde
sollevata
in alto mare
nell’immenso pelago
due milioni di anni prima.
Si sa che il mare
è alto ovunque uguale
ma lì sembrava più alto
perché ce n’era tanto intorno
e tutto da respirare.
E tutto ci sarebbe stato
perché fosse un’isola felice.
Il mare forte e avventuriero
bianco e blu dei flutti
che giravano al largo.
Turchese, verdazzurro quieto
nelle improvvise secche
e là dove, accolta tra le cale,
voltate come palmi di mani,
l’acqua si calmava
diventando immobile vetro pulito.
Chiaro e tranquillo sul fondo
tra alghe e posidonie,
coralli e madrepore
dal lungo imperturbabile sonno.
Un mare gioioso e vivo
di cernie ricciole saraghi orate
di granchi e murene
di spigole e occhiate
di pesci balestra, pappagallo e brividi di sardine.
Passaggi di spada, di sgombri, di tonni, di foche monache capodogli, delfini, balene.
E tartarughe a figliare
tra maggio e agosto
sotto un cielo di candeline tremolanti
che si spegnevano mute
quando il sole si affacciava
appena acceso
sul bordo dell’immensa vasca argento celeste, cominciando il suo volo.
L’accompagnavano il gheppio,
il falco pellegrino,
la poiana,
il gabbiano reale.
Il beccafico e la tortora.
Nello stupore del tramonto,
mentre bruciava in un ultimo fuoco,
se ne andavano, rigando il fondale di luce, aironi, fenicotteri, gru.
Come segni di matita
a ripassare i contorni di scogli e di rocce.
Segnando profili ripetuti di falesie.
Speroni, ripide scarpate,
vertigini di strapiombi,
geometrie aguzze di faraglioni.
Misteri di grotte, nicchie, antri, cunicoli, cavità.
Dove danzavano pipistrelli, lucertole, gechi.
Magnetizzati. Mesmerizzati. Mimetizzati.
Tra argille e calcare,
dolomite di calce e magnesio.
Ossidi e marne giallognole grigie
e tufi biancastri.
Diagrammi del tempo dei tempi.
Racconto di tempeste squassanti
e temporali che dissetarono
le pieghe dei valloni di terra rossa
e steppa e boscaglia e deserto.
Quando nacquero miracoli di erbe e piante.
Di carrubi e ginepri,
lentisco, asfodelo e convolvolo.
Di capperi e cardi,
corbezzoli, mirti e pistacchi.
Meraviglie.
Camomille selvatiche.
Datteri, mandorli, palme.
Esclamazioni di foglie
che sfamarono umilmente
cervi, capre, cinghiali,
gatti e conigli.
Su spiagge di sabbia impanata
farina dorata, tesoro di arenarie
nascoste nelle insenature,
su cui sbarcò la corsa
di greci, fenici, romani,
turchi, arabi, maltesi, siciliani.
Sospinti su quella piccola Sicilia
dal respiro turbinoso e simmetrico dei venti.
Levante, scirocco, maestro,
libeccio, tramontana, mezzogiorno, australe.
Bonaccia di nebbie,
soffio di Ghibli
o schiaffo di burrasca di fulmini e saette.
Di lampi. Così la videro.
Così la chiamarono.
Così la costruirono.
Così l’abitarono.
Silicio, carbone, paglia, selce, ossidiana, legno e canne.
E anfore, lucerne,
vasi, lacrimatoi, cisterne,
cripte, statue, tombe,
stele, catacombe.
Erano marinai
e diventarono agricoltori.
Poi furono pastori
infine ritornarono al mare
da pescatori.
E vissero con un poco
che era abbastanza
per dividerlo in tanti.
Vissero con il fato
e la fatica di vivere,
con l’amaro del mare,
per destino
la destinazione sconosciuta
di ogni clandestino.
C’era una volta
un’isola felice
allegria di granelli di sesamo e cumino.
Un’isola bella
di sette palazzi
e dammusi gentili di fango e di pietra.
Un’isola semplice
di magazzini di sale
e di spugne porose
come anime asciutte
e finalmente in pace.
Un’isola a colori
da gettare sui ponti degli arcobaleni
e vernici di barche
con nomi da libro
spanciate sul borotalco degli arenili.
Un’isola alta
dal fiero torace dell’Albero Sole
fino al basso artiglio di Punta Sottile, altopiano spianato, altare innalzato nel mezzo del mare di mezzo.
Un’isola schiva
di docili muretti a secco,
di saliscendi nascosti
e timide curve di strade di sassi,
schietta e aspra di agrumi
e spine orgogliose di fichidindia.
Un’isola perduta lontana
difficile da orientarsi arrivando
ma in cui tutti sapevano
come starsi vicino,
nella vuota distanza
dal resto del mondo.
Un’isola dolce
crema cioccolato e caffè
vera e naturale
nel corso normale delle stagioni.
Isola del nord d’inverno.
Isola del sud d’estate.
I giorni della sua storia
e la vita che si dice moderna,
le hanno dato nuovi eroi
e nuove voglie.
Le hanno un poco cambiato
gli odori, i profumi, i suoni, i sapori, gli umori e tante volte l’hanno resa infelice.
E se pure arrivava la gente
non per questo si è sentita meno sola.
Se qualcuno le ha dato la mano,
l’abbandono non è mai finito.
Se in parecchi hanno portato medicine ed unguenti,
è rimasta comunque malata e ferita.
Chi si accomuna alle disgrazie degli altri molto spesso va in cerca della sua propria fortuna.
Ma l’isola ha ricordi e polmoni
capaci di aria e memoria
e un cuore di sangue e di lotta.
Stai sicuro:
da qualche parte
nello spazio
nel tempo
in un sogno
è ancora felice.
Non è facile vederla così.
Non tutti possono guardarla.
È l’altra faccia della luna.
Dal Facebook di Claudio Baglioni
CLAUDIO (SE LEGGERAI MAI QUESTE POCHE RIGHE BANALI MA DETTATE DAL CUORE) TU SEI UN POETA NON UN CANTANTE 6 DIVINO E UNICO GRANDE POETA DEVE ESSERE INSEGNATO E FARLA STUDIARE AI RAGAZZI
SPERIAMO CHE LA METTA NEL NUOVO ALBUM…. GRAZIE CLAUDIO PER QUELLO CHE FAI E PER QUELLO CHE SEI…. TVTB
ALESSANDRA
Claudio: Bellísima poesía. Que la Esperanza en “Un Solo Mundo” más Humano, más Justo, más Digno, más Fraterno,más Pacífico nos aliente a lograrlo. Un Abrazo grande desde Argentina. 🙂