Presentazione secondo cd Sorrisi
GIRA CHE TI RIGIRA AMORE BELLO
Ventun’anni e già un successo clamoroso come quello di “Questo piccolo grande amore” dietro le spalle. Un’eredità, tutt’altro che facile da gestire, che avrebbe impensierito qualsiasi artista. Eppure, a pochissimi mesi dall’uscita del disco che l’aveva imposto come grande rivelazione della scena musicale, Claudio Baglioni torna sul “luogo del delitto”, nel suo caso la sala di registrazione. La logica della discografia è, infatti, quella di “battere il ferro finché è caldo” e il giovane musicista romano, senza nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che gli sta succedendo, è costretto a rimettersi subito al lavoro. Rischio altissimo. Tempi strettissimi. Baglioni si rifugia tra Spoleto e le fonti del Clitunno, per una settimana di totale isolamento e una full immersion nella scrittura del nuovo materiale. Risultato? Nuovo “concept album” e nuovo successo.
Non pochi i punti di contatto con il disco precedente: l’idea stessa di un album a tema (che accompagnerà Baglioni in tutte le produzioni importanti, discografiche e live), le affinità musicali e la scelta di ricorrere ad uno spetto di sonorità decisamente ampio, dal quale emerge un disco che ha il sapore di grande “affresco” sonoro. Tutto questo, non tanto per la stretta vicinanza tra i due progetti (i due dischi resteranno i più vicini in ordine di tempo mai realizzati da Baglioni), ma, soprattutto, perché ritroviamo al lavoro gli stessi “fantastici quatto” responsabili del successo dell’album precedente: Tony Mimms, arrangiamenti e direzione d’orchestra; Antonio Coggio, realizzazione; Franco Finetti, tecnico della registrazione, oltre, naturalmente, allo stesso Baglioni.
Anche per questo “Gira che ti rigira amore bello” (registrato nella primavera del 1973, nello studio B della RCA di Roma, considerato tra i più all’avanguardia in Europa) risulta uno degli ultimi dischi di Baglioni quasi interamente realizzato – per quanto riguarda scelta degli strumenti e scrittura delle parti – dagli arrangiatori. Successivamente, questa idea più classica di arrangiamenti verrà, infatti, sostituita (non solo nelle produzioni di Baglioni) da un concetto di realizzazione diverso e più moderno: “la produzione”. Un cambio di rotta grazie al quale il ruolo dei musicisti diverrà via via preponderante, non solo per quanto riguarda la scelta di strumenti e sonorità, ma anche nella definizione e nelle esecuzioni delle parti.
Affinità elettive a parte, se “Questo piccolo grande amore” – almeno dal punto di vista della struttura narrativa – può essere paragonato ad un romanzo incentrato sull’evolvere di un’unica vicenda centrale, con “Gira che ti rigira amore bello” ci troviamo piuttosto di fronte a qualcosa di assimilabile ad una raccolta di novelle. E, in effetti, pare che lo spunto ideativo del progetto derivi proprio dalla lettura di un libro sulla rocambolesca vita e le mille avventure del veneziano Giacomo Casanova.
Le otto storie al femminile di “Gira che ti rigira amore bello” (la dolce “Simona” di “70,80,90 e 100”; l’inglesina a cui starebbe bene il nome “Alice” di “W l’Inghilterra”; la ragazza della stanza in affitto di “Io me ne andrei”; la donna “tutta fuoco” di “E apri quella porta”; la “Ragazza di campagna”; quella de “La casa in costruzione”; la “dolce bambina” di “Miramare”; e la protagonista dell’addio di “Amore bello”) sembrerebbero rappresentare una sorta di reazione alla delusione per la perdita dell’unico “piccolo grande amore”.
In realtà, questa lunga sequenza di figure femminili (tutte appena abbozzate) è, al tempo stesso, occasione scatenante ed effetto collaterale del vero tema che anima il disco: il volgere alla fine dell’età della spensieratezza e la fuoriuscita dalla famiglia. “Gira che ti rigira amore bello”, quindi, non è che la trasposizione musicale di un viaggio di iniziazione, che segna il definitivo passaggio dall’adolescenza all’età della maturità. Un viaggio che in qualche modo ricalca – anche se in chiave decisamente più raccolta e bucolica – tematiche affrontate pochi anni prima da alcuni road – movie divenuti rapidamente pellicole di culto, quali “Easy Rider” (1969) e “Punto Zero” (1971). E, come in “Punto Zero” protagonista principale è una Dodge Challenger bianca, la figura più importante di “Gira che ti rigira amore bello” è “Camilla”: una Citroen due cavalli gialla e nera, che è strumento ma anche compagna dell’ultimo giro in un’età che sta per finire. Auto alla quale Baglioni, con un gesto dalla forte valenza simbolica, aveva, da poco, dato fuoco. E proprio a questo insolito falò si riferiscono le parole”Ma perché “Camilla” fuma, che cosa scema!” nel brano – prologo che apre il disco.
Dal punto di vista della scrittura musicale, sono tre le tipologie di brani che caratterizzano l’album.
Innanzitutto i pezzi più “raffinati”. Brani dalla struttura armonica piuttosto ricercata, ricca di modulazioni e soluzioni inattese, che puntano a superare la rigida simmetria della forma – canzone tradizionale. Pensiamo a canzoni di matrice chiaramente chitarristica – come “Lettera”, “Ragazza di campagna” o “Casa in costruzione” – che vivono di melodie ben disegnate, che si “arrampicano” alla ricerca di modulazioni non prevedibili.
Ci sono, poi, le ballad italiane di sapore più classico, rappresentate qui in una duplice veste: quella più delicata e introspettiva, come “Amore bello” (la cui intro al piano si deve all’invenzione di Toto Torquati, alle tastiere con Baglioni già da “Questo piccolo grande amore”), e quella dall’anima più graffiante e dall’andamento che si colora di rock, come “Io me ne andrei”. Entrambi brani destinati a diventare due “classici” del repertorio baglioniano.
Vengono, infine, i pezzi più “tirati”, come “70,80,90 e 100” (una sorta di RAP ante-litteram, che solo in un secondo tempo aveva acquisito una melodia, mantenendo però l’originale scansione ritmica), “W l’Inghilterra”, “Miramare” o “E apri quella porta”. A proposito di quest’ultimo brano è interessante notare una divertente auto-citazione: quando “lei” apre, finalmente, la porta della sua casa per far entrare “lui”, sullo sfondo si sente una radio che manda un pezzettino di un grande successo del momento: “Questo piccolo grande amore”. In “Io me ne andrei” e “Casa in costruzione” riprende, dopo una rielaborazione armonico – melodica, i temi del brano “Cincinnato”, il cui primo verso regala il titolo all’album. Contro – melodie che riappaiono, seppure in veste unicamente strumentale, sia nella versione prologo di “Gira che ti rigira amore bello” (eseguite da un sax), che in quella dell’epilogo, suonate questa volta dall’intera orchestra. Una curiosità: in questo secondo “Gira che ti rigira”, la voce di bambino che – in un momento di forte tensione – simboleggia la regressione verso un’età felice ormai irrimediabilmente perduta, è quella del nipotino di Baglioni, Danilo.
Tempi record (assolutamente fuori da quelli che diventeranno gli standard per il musicista romano) anche per quanto riguarda la realizzazione dei testi, scritti da Baglioni a Roma, in una sola settimana di lavoro.
Lavoro decisamente più lungo e complesso, invece, necessario a realizzare lo stupendo collage fotografico della copertina, il cui innovativo assemblaggio è la perfetta traduzione grafica del fondersi e confondersi delle mille storie raccolte lungo la strada di questo affascinante viaggio senza ritorno.
Trascrizione a cura di Sabrina Panfili, in esclusiva per doremifasol.org e saltasullavita.com