Resoconti

Presentazione 6°cd Sorrisi

E TU COME STAI?

“E tu come stai?” E’ un punto interrogativo – personale, impersonale e universale – quello con il quale Claudio Baglioni invita ad un bilancio su un periodo ormai sul punto di chiudersi (gli anni settanta, tra i più intensi e travagliati della storia italiana) e a volgere lo sguardo verso il nuovo decennio che si sta avvicinando. Una domanda diretta, al tempo stesso tra le più semplici e impegnative, dietro la quale si nasconde un grande disco. Un disco che, dal punto di vista di temi, arrangiamenti e sonorità, si pone magistralmente a cavallo di due stagioni profondamente diverse, sintetizzando al meglio l’anima sonora dei ’70 e anticipando anche alcune di quelle che diventeranno le principali tendenze espressive degli ’80. “E tu come stai?”, che segna il passaggio ad una nuova casa discografica, la CBS (per la quale l’album uscirà nel dicembre del 1978), è un album alto e maturo, caratterizzato non da una unità tematica – che, per altro, non ricerca – ma da una particolare filigrana sonora, che lo caratterizza al punto da definire uno “stile” e dall’attenzione per nuove sonorità e tecniche esecutive. Ancora più di “E tu…”, “E tu come stai?” risulta, quindi, un prodotto dalle sonorità nuove e aperte e dal respiro “internazionale”. E forse non è un caso che, proprio come l’album realizzato insieme a Vangelis, anche “E tu come stai?” – pensato e scritto da Baglioni in un mese di solitario ritiro a Pelago, in Toscana – sia stato registrato all’estero. La scelta ricade, ancora una volta, sulla Francia (evidentemente in un momento particolarmente ricco per quanto riguarda il confluire di nuovi linguaggi e correnti espressive) e, in particolare, su uno degli studi di registrazione più interessanti e innovativi del tempo: lo Chateau D’Hérouville di Pontoise, una cittadina a una trentina di chilometri da Parigi. Uno studio che vantava nel proprio pedigree l’aver tenuto a battesimo dischi importanti come “Honky Chateau” (1972) di Elton John (che fa addirittura riferimento allo studio nel titolo dell’album) e “Low” di David Bowie (1977) e dove i Bee Gees (dominatori delle classifiche mondiali di fine anni settanta) avevano effettuato alcune registrazioni orchestrali per Saturday Night Fever o, pochi anni prima (1972), i PInk Floyd avevano realizzato “Obscured by clouds”, colonna sonora del film “La Valle”, di Barbet Schroeder.Una bella fucina di musica e idee, dunque, al servizio di un progetto che vede Claudio Baglioni firmare tutti i testi (iniziati ad Alleghe – Belluno – e ultimati proprio al Castello D’Hérouville) e le musiche (scritte a Pelago, registrate a Pontoise e ritoccate ad Alleghe); Ruggero Cini responsabile degli arrangiamenti (in questo caso, un ritorno: Cini, infatti, aveva collaborato alle orchestrazioni del primo album di Baglioni “Claudio Baglioni”, 1970); produzione e realizzazione di Rodolfo Bianchi; ingegnere del suono Christophe Bonno, che, insieme a Bianchi e Cini, curerà anche il remix dell’album. Francesi anche missaggi (“Le Chateau Herouville” e Studio “L’Acquarium”) e transfert, effettuato da Christian Orsini agli studi “Translab” di Parigi.Il sapore dell’intera produzione è volutamente privato e “decadente”, (come lascia bene intendere la stessa immagine di copertina, firmata Lucky – e curata da Fabrizio Intra, che diventerà uno dei principali collaboratori dei dischi a seguire – che ritrae Baglioni in un interno della bella Villa Paganini, sul lago di Alleghe, insieme a “Mathias” e “Minnie” i due bellissimi pastori tedeschi, compagni di tanti momenti di riflessione). Un disco “minimale” e a tratti “crepuscolare”, sia per i temi che affronta, che per gli aspetti compositivi, ma anche malinconico, per il modo nel quale si concentra a riflettere sulle esperienze raccolte (anche se, malgrado alcuni “travestimenti” e scambi di ruolo tra autore e personaggi, non è possibile parlare di album autobiografico) più che non a suggerirne o provocarne di nuove. E, mentre le melodie sono tutte ricercate e molto ben definite, ambientazioni, immagini e personaggi sembrano, invece, visti attraverso una lente “flou”, come se lo sguardo fosse filtrato da un vetro che una pellicola di vapore acqueo rende opaco. I contorni si ammorbidiscono, fin quasi a fondersi l’uno nell’altro, e i colori sfumano in una paletta dal sapore decisamente autunnale. Un “clima” espressivo sul quale hanno senz’altro influito i luoghi nei quali l’album è stato realizzato: il borgo francese di Pontoise e, soprattutto, il piccolo castello in un’ala del quale era collocato lo studio di registrazione. E’ la prima volta, infatti, che Baglioni, oltre a suonare e registrare, vive nello studio in cui lavora e non c’è da stupirsi, quindi, se l’atmosfera suggestiva e raccolta dello “Chateau” filtra nella pelle e nelle ossa di tutto il progetto, sino a diventarne uno dei principali elementi caratterizzanti e distintivi. Tutti i nove brani del disco sono stati composti al pianoforte e appaiono come frutti dello stesso terreno creativo: quella ricerca di preziosità e qualità armonica e melodica che risulta l’elemento unificante dell’intero album, in risposta ad un rinnovato bisogno di unità, particolarmente avvertito da Baglioni, dopo un disco linguisticamente assai meno omogeneo come “Solo”.Dal punto di vista delle sonorità, “E tu come stai?” appare caratterizzato dal ricorso ad alcun colori ricorrenti, tra i quali spiccano: l’Arp Avatar – uno dei primissimi (anche se non fortunatissimi dal punto di vista commerciale) synth per chitarra, in grado di aprire alle sei corde nuovi orizzonti espressivi, (in bella evidenza, ad esempio, nell’intro e nel bridge del brano d’apertura) e le ritmiche delle chitarre elettriche o acustiche affidate a Luciano Ciccaglioni; il timbro legnoso “appuntito” e sembre ben definito del basso di Fabio Pignatelli, dal fraseggio ricco e personale e dal portamento quasi sempre ritmico, per un pop che, in qualche passaggio, occhieggia al funky; il piano elettrico Fender (opera di Ruggero Cini),sempre colorato da un forte effetto di “chorus”, il cui suono si muove (passando da left a right) nel panorama dello stereo (un esempio per tutti l’immortale intro di “Un pò di più”);il disegno delle figure ritmiche e l’uso di piatti, “rim” (il bordo del rullante) e charleston della batteria di Massimo Buzzi; i cori, affidati allo stesso Baglioni, sostenuto da un nutrito gruppo di coristi. Tra le altre sonorità da ricordare: l’orchestra d’archi diretta da Jean Claude Evreux; “tappeti” sonori e interventi di synth come Oberheim e Minimoog, opera di Benoit Widemann (suo il lungo assolo – 1’33 – con il quale si chiude la title track, realizzato con un !Oberheim OBX6″, con un bellissimo timbrico ibrido che ricorda, per sonorità e diteggiatura, quello di una chitarra elettrica fortemente distorta); l’arpa di Pierre Francis; i cori di Wilfrid Fournier, l’oboe di Jacques Chambon e il sax tenore di Rodolfo Bianchi che si esibisce nel solo di “Quando è così” (cosa rarissima per le produzioni di Baglioni, come già ricordato a proposito dell’album “Solo”, la cui title track ospita un assolo di sax opera di Gianni Oddi) e che fraseggia con i cori nel finale di “Un pò di più”. Particolarmente complessa e ricca dal punto di vista delle armonie, delle modulazioni e dell’estensione vocale la scrittura dei brani, anche se le melodie – uno dei marchi di fabbrica della felice scrittura pop di Baglioni – non perdono mai la freschezza e la capacità di colpire al primo ascolto. Scrittura che, come spesso accade con il musicista romano, gioca con una serie di riferimenti, più o meno nascosti e sotterranei, citazioni e rimandi a canzoni precedenti, come nel caso di “Signori si chiude” che – sia per il testo che per armonia e melodia – rappresenta una sorta di ideale continuazione e di finale per “Con tutto l’amore che posso” (inserita nell’album Questo piccolo grande amore, 1972) o come per il tema del suicidio (E ancora la pioggia cadrà), precedentemente affrontato da Baglioni in “Lacrime di Marzo” (presente in “Un cantastorie dei giorni nostri”, 1971).Questi, infine, i temi dell’album: la trepidante valigia di un incontro a lungo desiderato e immaginato (“Con te”), su uno sfondo metropolitano abbozzato con tratti veloci e leggeri: “la piazza del mercato, i grandi magazzini, l’osteria”, “cappotti che si fanno vento nella sera”, “militari che escono dal cinema”, “insegne a neon” “scritte rosse sopra i muri e i vetri opachi di una farmacia”; la scena dell’addio (Signori si chiude) che vede andare in frantumi l’equilibrio impossibile di una coppia sbilanciata da età troppo distanti – “io potrei quasi essere tua madre”, “ti supplicavo non m’importa niente”- in un locale sul punto di abbassare le saracinesche: “signori presto che fra un pò si chiude”; l’incontro con un vecchio amore e la scoperta di una passione non ancora completamente evaporata (Ti amo ancora), che si scontra con l’amara consapevolezza che nulla potrà più essere come prima:”non posso più chiamarti amore mio, ma un dolce amico tuo io resterò”, “stringerò più forte il cuore non ti disturberò”; gli “occhi smaniosi”, il fare scontroso e selvaggio, ma anche la “disperata tenerezza” di una ragazza (“Giorni di neve”) colta nel momento nel quale doppia, prepotentemente, il punto di non ritorno dell’adolescenza, annusando la vita “con l’anima in mano”, e portando a spasso due “seni sfrontati”, padrona del mondo e di sé; la carezza gelida di una guerra (“E loro sono là”) che non risparmia nulla, neanche l’amore e strappa alla vita i due amanti – “lei lo baciò con l’anima sulle labbra”; “gli disse cose che lui non capì mai” – che, per pochi istanti, erano riusciti a chiuderla fuori dalla porta e a danzare sul filo sottile che separa miseria e speranza; le domande, sempre attuali e sempre destinate a rimanere senza risposta, che ci poniamo ogni volta che un amore ci lascia, senza esaurirsi mai del tutto dentro di noi, (“E tu, come stai?”): “Tu come vivi? come ti trovi? chi viene a prenderti? Chi ti apre lo sportello?”, “chi segue ogni tuo passo? chi ti telefona?”, “Tu cosa pensi? come cammini?”, “chi ti ha portato via? chi scopre le tue spalle?”, “chi si stende al tuo fianco?” chi grida il nome tuo? chi ti accarezza stanco?”; l’amore che si dilata fino ad occupare ogni spazio possibile (“Un pò di più”) e a diventare quasi impossibile da definire. Bellissimo il crescendo narrativo: “più del vino, più del pane”, “dei sassi, dell’erba”, “più del porto, più dei treni”, “dell’inverno, dell’estate”, “del pianto, di un sorriso”, “della piazza delle giostre”, “più del grano più del fieno”, “più dell’aria più dell’acqua più”; l’amore che si dissolve (Quando è così) – “tu non sei più la mia pazzia” – l’allegria che scivola di mano e la noia che trascina via, mentre a nulla serve il disperato tentativo di rifugiarsi nella finzione “no ti prego no, non giurare non promettere”, “non mentire, no non fingere”, “non ferirmi, non uccidermi” “non toccarmi non confondermi”, ” non serve più, se tra noi non c’è più niente, se non è rimasto niente”; fino al suicidio come conseguenza drammatica ed estrema  della fine di un amore( E ancora la pioggia cadrà): “l’ultima boccata forte poi le scarpe si cavò, con le mani stanche cariche di vene i vestiti ripiegò, come chi non ha più fretta verso il mare camminò, la schiuma gli si fece incontro e i suoi piedi incatenò, gli occhi acquosi di tristezza oltre quel cielo, un altro cielo lui cercò”, accompagnato da “un silenzio nero come il culo dell’inferno”. Un’ultima curiosità riguarda l’esordio del disco. Esordio insolitamente problematico dal punto di vista commerciale, giacché la separazione “non consensuale” tra Baglioni e la RCA (la casa discografica con cui Baglioni aveva pubblicato i suoi sette album precedenti, da “Claudio Baglioni”, 1970, a “Solo”, 1977) aveva portato ad un’aspra contesa legale con la CBS (la nuova etichetta), ritenuta responsabile di “concorrenza sleale”. Il pretore inizialmente, aveva dato ragione alla RCA. L’album era stato, quindi sequestrato sull’intero territorio nazionale e la distribuzione sospesa. La vertenza – che Baglioni ricorda come un vero e proprio “bagno di sangue” – durò tre lunghi e difficili mesi, al termine dei quali “E tu come stai?”, finalmente dissequestrato, ottenne il battesimo tv (in una puntata del fortunato quiz “Scommettiamo?” di Mike Bongiorno) e venne avviato al successo che attendeva e meritava.

Trascrizione a cura di Sabrina Panfili, in esclusiva per www.saltasullavita.com e www.doremifasol.org

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