Presentazione 9°cd Sorrisi
“Dove sono stato in tutti questi anni, io me n’ero andato a lavarmi i panni dagli inganni del successo, a riscoprirmi uomo, io sempre lo stesso, più grigio ma non domo”. Comincia così, con questo manifesto – confessione, il ritorno alla discografia di Claudio Baglioni. E’ la fine dell’estate 1995 e sono passati, ormai, cinque anni da quello che può essere considerato il lavoro più lungo e sofferto del musicista romano: “Oltre”. Un doppio album che molti ritengono quello della “svolta” artistica e della definitiva consacrazione di Baglioni come principale protagonista della scena del pop d’autore italiano. “Io sono qui”, infatti, è il secondo capitolo di una fortunata e complessa trilogia che parte, appunto, con “Oltre” e si chiude con “Viaggiatore sulla coda del tempo” (1999), l’album che celebrò l’uomo e le molte domande che la suggestione del duplice passaggio – secolo e millennio – pone.”Io sono qui” presenta dodici brani inediti, incastonati in un telaio di sei “micro – canzoni” (“Inizio”, “Primo tempo”, “Secondo tempo”, “Intervallo”, “Terzo tempo” e “Quarto tempo”). Qualcosa di simile, ma solo dal punto di vista del metodo, a quanto era accaduto quindici anni prima con “Strada facendo”. Ma mentre le “quattro piccole storie” che intervallano i brani del disco del 1981, rispondevano ad una esigenza esclusivamente autobiografica, le sei micro – canzoni di “Io sono qui” scandiscono – come in una sorta di sceneggiatura – i movimenti di una ideale macchina da presa, il cui obiettivo segue il compositore durante tutte le fasi di ideazione e realizzazione della sua opera, fino ai conclusivi, inevitabili, “Titoli di coda”.Il riferimento al mondo e al linguaggio del cinema diviene qui, per la prima volta, esplicito. Parole e musica sposano la “settima arte”, celebrando un “matrimonio” ideale a lungo annunciato, che traspare in filigrana in molta parte del lavoro di Baglioni. Basta ricordare, ad esempio, che un disco come “Questo piccolo grande amore” (1972) era stato, in origine, concepito come un musical e che nel testo di moltissimi tra i brani più intensi e suggestivi dell’artista romano l’occhio del narratore si muove esattamente come quello di una macchina da presa, attraverso lunghi “piani sequenza”, che cercano di catturare ambienti, personaggi, storie e stati d’animo del mondo circostante.Anche la lavorazione di questo album, dalle forti connotazioni autobiografiche e introspettive, risulterà lunga e sofferta. Come, del resto, lungo e sofferto non può che rivelarsi un viaggio nel senso ma anche nel “male di vivere” (“Male di me”). Ci troviamo, infatti, di fronte al tipo di “viaggio che ognuno fa solo con sé”, come canta uno dei brani – simbolo dell’intero album: “Le vie dei colori”. Complici di questo nuovo viaggio una “casa della creatività” ad Ansedonia e un compagno di pensieri (il tratto di Mar Tirreno che circonda l’Argentario) che suggerirà stati d’animo contrastanti, generando momenti molto belli e altri particolarmente difficili. Il disco prenderà vita, infatti, nell’isolamento di questo ritiro sul mare dove, grazie anche alle visite di molti musicisti italiani e stranieri, si effettuerà gran parte del complesso lavoro di pre – produzione, sotto la supervisione di un “deus ex machina” come Pasquale Minieri, al fianco di Baglioni sin dai tempi di “Assolo”(1986). Un lavoro che procederà per approssimazioni successive, in una sorta di progressione per cerchi concentrici, attraverso i quali mettere a fuoco senso e forma del progetto.Se “La vita è adesso/Il sogno è sempre” (1985) era dedicato all’indagine del doppio rapporto vita – sogno/realtà – irrealtà, “Io sono qui” scandaglia il complesso tema del rapporto tra “volto” e “maschera”; la vita perennemente sospesa tra “finzione” e “realtà”, e l’uomo sempre combattuto tra il farsi “interprete” di se stesso e l’essere, invece ciò che realmente è. E, in effetti, il tema dello “schermo” – che è, allo stesso tempo, proiezione, immagine, riflesso dell’uomo e delle sue molte realtà – ritorna in quasi tutti i brani. Dal “cine senza schermo” dell’esistenza, nel quale tutti ci muoviamo, invitati ad osservare “un minuto di raccoglimento” ogni volta che il sogno di un amore sembra irrimediabilmente spento (“Fammi andar via”: un capolavoro assoluto), allo schermo del videogame della vita (“L’ultimo omino), di fronte al quale ci chiediamo “come sarebbe mai la storia se a vincere fossero i perdenti”. Brano, questo, nel cui finale il cinema irrompe di prepotenza con una citazione di una pellicola culto come “Blade Runner” (“Io ne ho vistte cose che voi umani non proteste immaginare. Navi in fiamme al largo delle coste di Orione raggi B balenare nel buio presso le porte di Tannoide. E tutti quei momenti andranno persi nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire. Game over”). E, ancora: dal prologo pseudo – teatral/letterario di “Reginella”, al vortice meccanico di una danza collettiva (“Bolero”) nella quale a noi, “storie in bianco e nero”, non resta che “un ruolo fisso da comparsa”, mentre “tutto il resto è farsa”. Dal disorientante duplice riflettersi di “Acqua nell’acqua” (“mi svegliai su questa scena e nello sconcerto cominciai il concerto”), al vuoto pneumatico dello schermo deformante di una TV (“V.o.t.”) che raglia… tutto quanto il giorno, e fa crescere la speranza in Dio “l’unico quaggiù che ancora alla tivvù non è mai apparso”; fino ai “crediti” finali, nei quali – come al termine di ogni pellicola che si rispetti – si ringraziano tutti quelli “che han suonato, che sono stati accanto, quelli che hanno un pò aspettato che fosse la fine”, prima di alzarsi dalla sedia e uscire dalla sala nella quale è andata in scena la commedia della vita. L’ultimo brano del disco, che accompagna la pausa contemplativa che – come ricorda il titolo, che fa da sottotitolo all’intero album – si colloca “Tra le ultime parole d’addio e quando và la musica”, sarà registrato a Roma (agli studi “Quattro 1” di via Nomentana), in diretta, da tutti i musicisti che hanno collaborato al disco, come una sorta di congedo dal pubblico della “compagnia” che ha dato vita alla “rappresentazione”. Ma la commedia della vita, si anima anche della combinazione e del contrasto tra alcuni sentimenti chiave. Baglioni ne individua tre (solarità, passione e profondità) e, per simboleggiarli, ricorre ad altrettanti colori: giallo (sole), rosso (sangue e cuore) e blu (aria e acqua). Colori che avevano già fatto la loro prima, timida, apparizione sulla copertina di “Strada facendo” (1981), ma che qui tornano come richiamo, decisamente più consapevole e più aderente alle tematiche dell’album. Non solo, infatti, appaiono colorati di giallo, rosso e blu i tre “cavalieri” protagonisti del già ricordato “Le vie dei colori”, ma grafica e “lettering” di copertina (evidente omaggio all’evocativo rigore geometrico dell’opera dell’astrattista olandese Piet Mondrian) sottolineano con evidenza il riferimento a questi tre colori – simbolo, che accompagneranno Baglioni fino a “Viaggiatore sulla coda del tempo” e che ispireranno temi, storie e strutture di altrettanti, fortunatissimi tour. “Tour Giallo” (1995, del quale ci sarà un’edizione “elettrica” nel ’96), “Tour Rosso” (1996) e “Tour Blu” (1999).Sempre a proposito della copertina, è interessante sottolineare che le foto (opera di Armin Linke, milanese, tra i più riconosciuti a livello internazionale per fotografia, regia, installazioni e perfomance) nascono dall’idea, suggerita dallo stesso Baglioni, di essere fotografato dall’alto. Obiettivo quello di ribaltare il tradizionale rapporto artista/pubblico, e, al contrario di quanto accade di solito (l’artista sul palco appare al di sopra del pubblico), porre l’artista al di sotto del suo pubblico, consentendo a quest’ultimo di guardarlo dall’alto in basso.”Io sono qui” è un disco straordinariamente ricco di colori musicali e non teme affatto il confronto con un album come “Oltre”. E, se ideazione, scrittura e composizione portano la firma di Claudio Baglioni e la realizzazione quella di Pasquale Minieri, sono molte le mani che hanno concorso a definire il progetto. Oltre, ovviamente, alla coppia Baglioni – Minieri, troviamo, infatti: Paolo Gianolio (che diventerà uno dei più stretti collaboratori di Baglioni, sia nei progetti discografici che nelle produzioni live), Tommaso Vittorini, Sergio Conforti, Paolo Costa, Rita Marcotulli, Danilo Rea ed Elio Rivagli. A Baglioni si deve anche la costruzione degli arrangiamenti, mentre orchestrazioni e trascrizioni sono il prodotto della scrittura geniale e originale di Tommaso Vittorini, le sequenza poliritmiche sono di Pasquale Minieri e le programmazioni di Paolo Gianolio. Cast internazionale di assoluto prestigio anche per quanto riguarda gli strumentisti, dove, oltre allo stesso Baglioni (piano, chitarre e sintetizzatori virtuali), troviamo stelle di prima grandezza dell’universo pop, come Vinnie Colaiuta e Gavin Harrison (batteria), Elio Rivagli (percussioni), Pino Palladino e Paolo Costa (basso), Paolo Gianolio (chitarre), Danilo Rea (pianoforte e fisarmonica), Walter Savelli (che, oltre a suonare il pianoforte, cura con il suo “orecchio assoluto” anche la post – produzione della voce di Baglioni) e Tommaso Vittorini (sintetizzatori virtuali).Le esecuzioni delle partiture di Vittorini (e Conforti per “Male di me”) sono affidate all’Orchestra della Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, diretta da Fausto Perdetti. Interessante, a questo proposito, sottolineare che le registrazioni delle partiture orchestrali (realizzate da Gaetano Ria e Roberto Rosu, in uno studio appositamente allestito nei locali della Scuola) divennero esse stesse corso di studio per gli allievi di questa sorta di “super – conservatorio”.Le parti orchestrali di “Io sono qui” e “Acqua nell’acqua” furono, invece, affidate all’Orchestra dell’Accademia Musicale Italiana di Roma (diretta da Vittorini), mentre le interpretazioni vocali per “Le vie dei colori” furono eseguite dai “Baraonna” e quelle di “V.o.t.” dai “Kammerton”.Registrazioni e missaggi, infine, portano le firme di Pasquale Minieri, Marti Robertson e Roberto Rosu, con l’assistenza di Francesco Leporatti, negli studi “Quattro 1” di Roma e “Mulinetti” di Recco; mentre la masterizzazione venne effettuata presso gli studi “Eclisse” di Milano ad opera di Dario Bontempi, Pasquale Minieri e Lucio Pascarelli.”Quella che provai il 28 agosto ’95 – ricorda Baglioni – quando il produttore del disco venne a prender il master per portarlo in Olanda a farlo stampare, non era paura. Era disperazione”. Baglioni, infatti, usciva da un periodo particolarmente difficile: dubbi, incertezze (“e non so più davvero – canta nel brano che chiude l’album – se è tutto bello o tutto brutto”), ripensamenti, uno sfiancante lavoro di composizione e progettazione. Un lungo silenzio stampa e una lunghissima assenza dal suo pubblico. L’ultima esibizione live risaliva addirittura nel 1992. Unica eccezione il brano “Acqua nell’acqua”. Scelto come inno dei mondiali di Nuoto di Roma (settembre 1994) sarà l’unica anticipazione del nuovo album e verrà presentato in diretta tv dalle piscine del Foro Italico, in occasione della serata di apertura della manifestazione, in una diversa edizione rispetto a quella poi pubblicata sull’album.Il 28 di settembre 1995, dopo quasi due anni di lavoro (il brano di apertura – “Inizio” – era stato registrato il 4 ottobre 1993; quella di chiusura – “Fine” – il 4 agosto 1995) “Io sono qui” vede finalmente la luce. “Quando l’ho cominciato – confesserà il musicista romano – non immaginavo dove sarei arrivato”.E’ vero: l’artigiano e l’artista, in fondo, si somigliano. La grande differenza – come ricordava nei momenti più difficili della navigazione, il compagno di rotta Tommaso Vittorini – è che l’artigiano sa quasi sempre dove andrà a finire, l’artista quasi mai. A sedici anni dall’uscita di questo bellissimo album, una risposta possiamo azzardarla: dentro di noi.
Trascrizione a cura di Sabrina Panfili in esclusiva per www.saltasullavita.com e www.doremifasol.org