Resoconti

Presentazione 10°cd Sorrisi

VIAGGIATORE SULLA CODA DEL TEMPO

“Mi ero quasi arreso all’idea che questa vigilia non avrebbe avuto fine. Sera dopo sera, con la scusa di controllare che tutto fosse a posto, sarei sceso a lucidare il mio sogno, quasi fosse davvero il momento di partire. Ma non sarei partito mai. Sarei rimasto, prigioniero di una veglia senza tempo, in bilico tra il soggetto che là fuori, da qualche parte, esista davvero qualcosa di diverso e l’incapacità di tagliare i fili e lasciarmi alle spalle tutto ciò che, tagliando i fili, alle spalle sarebbe rimasto”. 

Comincia così – con un prologo narrato in prima persona dal protagonista – l’avventura, non solo musicale, di questo “Viaggiatore sulla coda del tempo” (1999), uno tra i progetti più ambiziosi, complessi e colti dell’intera opera discografica del musicista.

Siamo alla vigilia di un triplice, importante, passaggio: in un’unica notte (il 31 dicembre del ’99), infatti, cambieranno anno, secolo e millennio. Una data dalla fortissima portata evocativa, nell’approssimarsi della quale Baglioni si sente spinto a indagare in profondità il rapporto dell’uomo con se stesso e, soprattutto, con il tempo oltre a quell’equilibrio, mai facile da individuare e sempre precario, tra passato, presente e futuro. Dodici canzoni per uno straordinario “concept album”, che descrive l’intera parabola di un viaggio attraverso il tempo, alla ricerca di sé. Un viaggio partendo per il quale ci viene chiesto di non confondere il percorso con la meta e di non preoccuparsi del fatto di “non sapere bene dove andare”. “Meno si sa più si va lontano”, spiega il Viaggiatore. L’obiettivo, infatti, non è arrivare, ma viaggiare, per scoprire e conoscere tutto ciò che sarà possibile scoprire e conoscere.

“Viaggiatore sulla coda del tempo” rappresenta il capitolo finale di una trilogia ideale che lega tre album fondamentali per la carriera di Baglioni, partendo da “Oltre” (1990), passando per “Io sono qui” (1995) e approdando, appunto, a Viaggiatore. Se “Oltre” rappresenta una sorta di ritorno alle origini e può essere considerato un disco con lo sguardo rivolto al passato; se “Io sono qui”, mette in musica la commedia del presente e il rapporto tra il “volto” e la “maschera”; “Viaggiatore sulla coda del tempo” guarda avanti, cercando di capire chi siamo davvero e cosa di noi porteremo nel grande punto interrogativo che chiamiamo futuro.

Una lavorazione lunga e complessa, alla base della quale c’è un intenso ed estremamente curato lavoro di pre-produzione: musicale (in collaborazione con Paolo Gianolio e Corrado Rustici), creativa e artistica insieme a Giuseppe Cesaro e Guido Tognetti e organizzativa con Rossella Barattolo e Donella Serafini.

“Sulla carta – ricorda Baglioni – il progetto ha cominciato a prendere forma più o meno due anni prima dell’uscita del disco, ma, nella mia vita, tutto era iniziato molto, molto tempo prima. Ero bambino. Forse quattro o cinque anni. Tornavo da una festa. Al polso: un palloncino. Un normale palloncino, di quelli che si gonfiano a elio. Evidentemente il nodo era fatto male e, ad un certo punto, il palloncino è volato via. E’ stata questa immagine – riaffiorata in uno di quei sogni che non si dimenticano – insieme al ricordo di quel distacco e di quel primo dolore, la scintilla che ha messo in moto tutto il progetto”.

Un progetto per il quale, prima ancora della ricerca di note e parole, occorreva dar vita all’interno “sistema” – temporale, fisico, ideale, “filosofico” – nel quale ambientare la vicenda. Un lavoro di lenta e meticolosa costruzione in cui ogni passaggio, ogni elemento, ogni segno (grafia, immagine, colore, parola, suono) concorre a definire l’universo che ospita, accompagna e “provoca” il Viaggiatore.

Lo si vede già dall’estrema raffinatezza e ricchezza della confezione. Una doppia copertina con le foto di Michelangelo Di Battista e le elaborazioni grafiche di Massimiliano Di Conza, Michelangelo Minchillo e Irene Spanò, che trova i suoi principali riferimenti formali in due opere: il “San Girolamo nel suo studio” (1460, Antonello da Messina: una delle tavole simbolo dell’intera arte del quattrocento), del quale si richiamano non solo l’ambientazione (lo studio) e un certo misterioso articolarsi della prospettiva, ma soprattutto la presenza di una serie di elementi e oggetti dal forte valore simbolico (che ritornano in tutto il booklet); e la “Camera di Arles” (1888, Van Gogh), del quale si riprendono l’elemento scenico delle due sedie impagliate, ma soprattutto il vuoto di una solitudine simbolo del conflitto interiore che accompagna ogni ricerca esistenziale. E’ sufficiente, infatti, far scivolare via la sopra -copertina trasparente, per “eliminare” l’uomo dalla scena e trovarsi di fronte ad una stanza vuota, esattamente come quella di Arles.

Un “manifesto” espressivo estremamente chiaro. L’invito all’osservatore – ascoltatore – lettore (l’album, infatti, ha almeno tre livelli di lettura) a guardare le cose sotto una luce nuova (come quella scoperta da Van Gogh ad Arles) e ad andare al di là della loro superficie, per non perdere nemmeno uno dei mille “suggerimenti” e inviti alla riflessione che il disco talvolta rivela e, più spesso, si diverte ad occultare. Al di là della finestra senza imposte di questo suo rifugio – abbaino, si scorge non la luna, ma la terra. Un significativo rovesciamento di prospettiva, che non solo impedisce di sapere esattamente dove si trovi il Viaggiatore, ma sottolinea come, oltre che nel tempo, egli si stia spostando anche nello spazio. Viaggio, tra l’altro, testimoniato da un bellissimo “diario di bordo” (nascosto tra le tracce del cd) che fissa, con frammenti scarni ed essenziali ma capaci di suscitare forti emozioni, le riflessioni del protagonista.

Il rapporto dell’uomo con il tempo, in un presente conteso tra i mille richiami del passato ed un futuro che “inganna da lontano”; il bisogno di sogno, non per evadere la realtà, ma perché solo nella fantasia è possibile trovare certe risposte; la grande voglia, ma anche l’incapacità di comunicare, che sembrano caratterizzare proprio l’era della comunicazione; il falso mito della fine del millennio (“la prossima non sarà una nuova età, ma solo un’altra età”); il valore, ma anche il peso talvolta asfissiante delle cose, che siamo convinti di possedere, mentre in realtà sono loro a possedere noi; il rapporto con la vita e le sue “sincronie impossibili” e la morte (“siamo morti e più volte noi rinati”), sono i temi sui quali l’uomo si interroga durante il suo viaggio.

“Viaggiatore sulla coda del tempo” non è, infatti, la storia del viaggio: è la storia del viaggiatore. E’ suo lo sguardo sul tempo, i luoghi e le cose che incontra, come sue sono le parole e le note che dedica a “Domani” (la donna che lascia e che non ritroverà mai più). Il viaggiatore è simbolo della condizione dell’uomo e il punto interrogativo che prende forma dentro di lui è, allo stesso tempo, motivo, motore e propellente per un viaggio che è soprattutto  bisogno di tracciare con il dito sulla mappa dell’esistenza le strade percorse e indagare le ragioni che, ad ogni bivio, hanno spinto a seguire quella e non un’altra direzione.

La prima immagine (“Hangar”) è l’attesa della partenza. Una vigilia interminabile, che il viaggiatore ( non un eroe, ma “uno in mezzo a tanti”) trascorre a lucidare il proprio sogno, senza, però, trovare la forza di partire. All’improvviso, un’immagine rompe questo equilibrio: un palloncino, che vola via nella notte. E’ il richiamo di un altro se stesso e del suo sguardo incontaminato perso nel passato: la molla che lo spinge a partire. Compagno di viaggio un orologio il cui quadrante è formato dalle dodici note che compongono l’ottava di una tastiera di pianoforte. Il simbolo di una stagione nella quale non è più la musica che “va a tempo”, ma il tempo che “va a musica”. Nell’ultima ora della notte, l’uomo si congeda da “Domani”. Un arrivederci, non un addio. Tornerà, trovata la terra di utopia dove le cose sono come dovrebbero essere (“Un mondo a forma di te”). Non sa esattamente dove andare. Ma questo non lo spaventa. Anzi. (“Non si va mai così lontano, come quando non si sa bene dove si va”). Legando un’ancora ad un aquilone, traccia una linea che sarà (“Si io sarò”) il punto di riferimento, la stella fissa che lo orienterà nel suo viaggio verticale verso il cielo al di là del sole o la terra sotto il mare, alla ricerca del senso delle cose che la realtà nasconde dietro la macchina dell’evidenza (“E pensai che potremmo essere sogni di qualcuno”), “Stai su!” è il primo tentativo di ristabilire un contatto con “Domani”. Un pensiero leggero, come una carezza, per compensare un’assenza che pesa, anche se la distanza potrebbe non essere così grande come sembra (“Se anche tu vedi la stessa luna, non siamo poi così  lontani). Divaricato tra l’impossibilità di rinunciare ai ricordi (cosa saremmo senza la memoria?) ed il bisogno di liberarsi dalla zavorra che a volte essi rappresentano, il viaggiatore si rende conto del ruolo che le cose giocano nella vita (“Caravan”). Le uniche che sopravvivono all’uomo, mentre tutto il resto muore. E’ combattuto tra la sensazione di essere ostaggio del bisogno di cose (“Noi siamo di loro proprietà”) e un leggero moto di tenerezza, al pensiero che a loro sia negata persino la sofferenza (“E quando poi ce ne andiamo, peccato loro non piangono”). Il viaggio è rivelazione, fascino, vertigine per i mondi nuovi che il viaggiatore attraversa. Ma l’estasi (“Mal d’universo”) è incrinata dall’assenza di Domani, con la quale non è possibile condividere quell’esperienza. Un disagio affidato ad un pensiero lanciato nell’universo: “Se tu mi pensi, ovunque io sia, sarò i tuoi sensi”. L’assurdo dell’incomunicabilità nell’era della comunicazione e le contraddizioni di un mondo capovolto la cui condizione è sempre più la “solitudine della follia” (“L’universo, un insieme di mille e mille soli, e gli altri e me, che siamo soli insieme”) è il tema di “Chi c’è in ascolto”. Un brano nel quale prende corpo il dubbio che i nuovi strumenti che mettono in contatto senza farci incontrare, finiscano con l’allontanare invece che avvicinare (“Chissà se il cosmo chiuso dentro le tre doppie vu è verosimile o è un facsimile”). Ma il viaggio è anche occasione di bilancio. (“Opere e missioni”). Un bilancio nel quale il viaggiatore (“un sopravvissuto fra storie naufraghe e gingilli!”) non concede, né si concede niente e si chiede chi è stato: “Samaritano o pigliatutto in questo ballo mascherato dove il costume è tutto”. E’ la grande crisi. Il viaggio è anche dolore. “Quanto tempo ho” è una domanda che non lascia vie di fuga. Il viaggio è destinato ad essere senza ritorno (“Qui c’è ogni giorno una partenza, ma non aspetto più un arrivo”). Il viaggiatore si è spinto troppo avanti ed è condannato a rimanere isolato, come “acqua lasciata sulla sabbia, che ritornare al mare più non può”. “A Domani” è il grido d’amore per la donna che si è lasciato alle spalle e che non riuscirà più a ritrovare (“Tu sei il ricordo che sfioro e sfiorisce”). Anche se dovesse tornare esattamente nello stesso punto da cui è partito, non la incontrerà più perché per loro il tempo non è trascorso alla stessa velocità e, mentre lui è rimasto quello che era prima di partire, lei è invecchiata ed è sempre più Ieri (“Tu sei il pensiero che passa e appassisce”). Quella contro il tempo è una corsa inutile. Vince sempre lui (“Il tempo ha il tempo dalla sua”, scrive). Il viaggiatore capisce che l’unica cosa che si riesce a scorgere del tempo è la coda. Per tutta la vita, sarà costretto a viaggiare (una specie di eternauta), illudendosi, ogni volta, che la prossima possa essere una nuova età, (“Cuore di aliante”) mentre quella che chiamiamo nuova età altro non è se non un’altra età. Il finale (“A Clà”) è autobiografico. E’ l’incontro con l’altro se stesso (“Ti ho riconosciuto dagli occhi”) ed è il confronto tra il bambino che aveva perso il palloncino e l’uomo di oggi (“Io so solo che con te di nuovo so sorridere e un giorno imparerò anche a vivere”). L’errore è stato quello di legare il palloncino, nell’illusione di imprigionare il sogno. Ma il sogno nasce libero ed è lui che sceglie noi. Il viaggiatore capisce, libera il palloncino, che vola via come un piccolo pianeta. Solo lasciandolo migrare e portare scompiglio tra una coscienza e l’altra, sarà possibile incontrarlo di nuovo e ritrovare, ancora, il desiderio e la voglia di partire.

Cast internazionale per quanto riguarda gli strumentisti, oltre allo stesso Baglioni (piano, tastiere e voce) troviamo: Corrado Rustici (chitarre, tastiere, programmazioni, computer), Benny Rietveld (basso), Steve Smith (batteria), Luciano Luisi (piano, synt), Luca Rustici (programmazioni), Paolo Gianolio (chitarre, basso, tastiere, programmazioni), Gavin Harrison (batteria), Lola Feghaly, Moreno Ferrara, Antonella Pepe e Silvio Pozzoli (cori).

Gli arrangiamenti e le orchestrazioni, firmati da Paolo Gianolio e Corrado Rustici (responsabili anche delle produzioni), nascono dalla fusione “orizzontale” di diverse linee melodiche e traggono la forza espressiva di colori e immagini dalla ricchezza di una tavolozza timbrica che comprende suoni di ieri, di oggi e di domani: dalle sonorità acustiche degli strumenti più antichi, fino a suoni sintetizzati ed a “campionamenti” frutto della più avanzata ricerca tecnologica.

Registrazioni e missaggi di Devon “Fepro” Rietveld (assistito da Michael Anderson e Ben Conrad) a “Fantasy Studios” e “Rockyroad Studios”, Berkeley (California); Stephen W. Tayler e Paolo Gianolio con Pino “Pinaxa” Pischetola (assistenti: Luva Vittori ed Emilio Bruna) a “Fonoprint Recording Studios” (Bologna), “Pick-up Studio” (Reggio Emilia) e “Stonehenge Studio” (Milano). Masterizzazioni di Antonio Baglio a “Nautilus Studio” Milano.

Un album straordinariamente intenso e di rara suggestione. Un lavoro di grande profondità e spessore, nel quale la ricchezza di temi, ispirazioni e influenze musicali dà vita ad un linguaggio estremamente personale e fortemente innovativo. Melodie dal fascino immediato (Baglioni firma testi e musiche di tutti i brani), nella migliore tradizione del pop d’autore, che catturano già ad un primo ascolto ed hanno nella freschezza e nella linearità di un disegno del tutto privo di ripetizioni e note “ribattute” uno dei principali punti di forza. Grandi “ambienti musicali” e grandi atmosfere, con “scene” e “stati d’animo” prodotto di un percorso artistico ed espressivo elevato ed autentico, per un disco di grande respiro e maturità che rappresenta senz’altro uno dei momenti più alti dell’intera produzione del musicista romano.

Trascrizione a cura di Sabrina Panfili in esclusiva per www.doremifasol.org e www.saltasullavita.com

 

 

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La redazione di doremifasol.org e saltasullavita.com è composta da tanti amici ed appassionati della musica di Claudio Baglioni, coordinati dal fondatore e amministratore Tony Assante. Un grazie a loro per il lavoro e l'aiuto apportato a questo portale - Per scrivere alla redazione usare wop@doremifasol.org

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