Presentazione 15°cd Sorrisi
CLAUDIO BAGLIONI – UN CANTASTORIE DEI GIORNI NOSTRI
Capelli né lunghi, né corti, scompigliati da un’improvvisa folata di vento; sguardo intenso e lontano, dietro a lenti spesse inconrniciate da una montatura di plastica scura in perfetto stile “Gino Paoli”, colletto della camicia ampio e spalancato a compensare la chiusura delle braccia conserte. Il tutto in un bianco e nero “bruciato” da un forte effetto “solarizzazione”: è questa la prima immagine della discografia ufficiale di Claudio Baglioni, così come appare sulla copertina del “long playing” che porta il suo nome, pubblicato dalla RCA nell’autunno del 1970.
“Vediamo se capite chi sono”, sembra dire – con un’espressione sospesa tra scetticismo e sfida – il non ancora ventenne “cantautore”, in uno scatto (firmato Romolo Forlai, fotografo e musicista: era il vibrafonista dei mitici “Flippers”) diventato, col tempo, un vero e proprio oggetto di culto. A causa delle scarsissime vendite (mille copie), infatti, quel primo disco venne molto presto (un pò troppo, forse) ritirato dal mercato e destinato al macero ed è praticamente introvabile.
Ma se il ragazzo Baglioni appare, qui, irriconoscibile dal punto di vista del look e ancora piuttosto lontano da quel fascino riflessivo e intimista che, di lì a poco, avrebbe cominciato a far palpitare il cuore della generazione giovane (senza mai più smettere), lo stesso non accade, invece, per il musicista Baglioni.
Ad un ascolto attento, infatti, tre cose risultano chiare già dalle dodici tracce di questo primo, incompreso, esperimento discografico (prodotto da Antonio Coggio – scopritore, provinatore, coautore di cinque pezzi e principale collaboratore fino all’album “Sabato pomeriggio” – e arrangiato da Ruggero Cini, che dirà a un Baglioni emozionato e onorato:”L’ultimo cantautore che ho arrangiato è stato Luigi Tenco: dopo di lui non ne avevo più voglia”): la grande e personale vocalità (estensione, potenza, timbro, espressività), che caratterizza Baglioni come uno dei rarissimi esempi di artista egualmente grande nello scrivere e nell’interpretare i propri brani; la qualità e l’originalità della vena compositiva e di quella lirica, che lo segnalano, da subito, per una particolare filigrana espressiva. Una penna pregevole e innovativa, sia per quanto riguarda le felici intuizioni melodiche, che quelle tessiture e modulazioni armoniche che diventeranno uno dei suoi marchi di fabbrica. In questo primo album, infatti, sono presenti – in potenza – tutti gli ingredienti che renderanno Claudio Baglioni una delle voci – in tutti i sensi – più raffinate e sensibili della storia della musica popolare italiana. Tra i pochissimi nomi che siano riusciti a mettere d’accordo record di vendita e qualità delle proposte musicale e ad attraversare quattro decadi così diverse tra loro (non solo dal punto di vista musicale), riuscendo a coglierne lo spirito e ad intepretarne tensioni, passioni, emozioni e attese, attraverso un crescendo unico di opere discografiche di straordinaria originalità e qualità.
Eppure, in quell’ormai lontano 1970, tutto questo sfuggì ai più, malgrado quel primo album contenesse brani che, nel tempo, hanno saputo riscattarsi, sino a diventare dei piccoli classici, non solo per i fedelissimi appassionati del musicista romano, ma per tutto il grande pubblico del pop. Tra questi, impossibile non ricordare: “Signora Lia”, “Notte di Natale”, “Lacrime di Marzo” o “Una favola blu”, alla quale Guido e Maurizio De Angelis (gli “Oliver Onions”) regalarono un arrangiamento ispirato alla stupenda “Everybody’s Talkin, vincitrice di un Grammy come leading track della colonna sonora de “Un uomo da marciapiede”. Fu Riccardo Michelini – allora direttore artistico della RCA – a convincere Baglioni a cantare “Una favola blu” (brano non suo, ma firmato da Morina, D’Ercole e Melfa), sostenendo che nessuno cantasse come lui la frase “Penso e ripenso che orami…”.
Per quanto riguarda la produzione musicale, da notare la presenza dell’orchestra di Ruggero Cini (che tornerà al fianco di Baglioni nel 1978 in “E tu come stai?”) in tutti i brani (unica eccezione “Una favola blu”, con l’orchestra di Maurizio De Angelis), i cori dei “Cantorni moderni di Alessandroni” (“Notte di Natale” – censurata, perché all’epoca ritenuta blasfema (!) – “Lacrime di Marzo” e “Interludio”) e la voce solista di Edda Dell’Orso, indimenticabile protagonista di quasi tutte le più belle pagine scritte dal Premio Oscar Ennio Morricone, il tutto registrato in diretta nello “studio A” della RCA, all’epoca il più grande studio di registrazione d’Europa.
L’insuccesso colse, evidentemente, di sorpresa la stessa casa discografica – allora particolarmente attenta nella ricerca, nella cura e nel lancio di nuovi talenti – la quale, a distanza di un anno, ci riprovò. Nel settembre 1971 uscì, così, “Un cantastorie dei giorni nostri”, con una foto di copertina (ancora una volta opera di Romolo Forlai) in un bianco e nero “virato” verde, che mostra un Baglioni senza occhiali, più confidenziale e sorridente, con un taglio di capelli beatleasiano e il viso, in ombra per metà, che riecheggia uno dei “Fab four” sulla copertina di “With the Beatles”. Nel nuovo album vengono “ripescati” ben sette pezzi del disco precedente. Scelta che sottolinea, da un lato, la determinazione del giovane Baglioni, probabilmente ricaricato del discreto successo personale che gli veniva da alcune partecipazioni televisive. Non a caso, infatti, la copertina della prima tiratura del disco riporta la scritta:”Da Speciale 3 milioni”, in riferimento all’audience di un programma TV itinerante a tema, dedicato al pubblico giovane che aveva come protagonisti Francesco Guccini, la Formula Tre, Osanna, Delirium, Lucio Dalla, Bruno Lauzi, Donatello, Demis Roussous, Pooh ed Equipe 84). Dall’altro lato, la scelta della riproposta sottolinea la particolare fiducia della RCA riponeva in un artista, non solo esordiente, ma, addirittura, reduce da un sonoro flop. Ai sette brani (“Notte di Natale, “Lacrime di marzo”, “Isolina”, “Il sole e la luna”, “I silenzi del tuo amore”, “Interludio” e “Signora Lia”) recuperati dal disco precedente (è questa la ragione per la quale i due cd vengono, qui, presentati insieme), se ne aggiungono cinque nuovi: la straordinaria “Cincinnato” (ancora oggi uno dei brani più amati e richiesti dell’intero repertorio baglioniano, il cui verso iniziale “Gira che ti rigira amore bello”, verrà utilizzato come titolo di un intero album del 1973), la libera e solare “Io, una ragazza e la gente”, “Se caso mai” (incisa anche da Rita Pavone), “E ci sei tu” (un verso del quale “E ci sei tu, che stai scoppiando dentro il cuore mio”, scivolerà nella celeberrima “E tu…”) e “Vecchio Samuel”.
Secondo disco, secondo insuccesso: non si può certo dire che la carriera del giovane talento romano fosse cominciata col piede giusto!
Un insuccesso tanto inspiegabile (tra brani “vecchi” e nuovi il disco era – ed è ancora oggi – davvero un bel disco), quanto clamoroso che portò lo stesso Baglioni sul punto di rinunciare. Se non fosse stato, infatti, per una fortunata tournée in Polonia (Baglioni, inviato a rappresentare l’Italia al “Festival Internazionale di Sopot”, vinse il premio della critica con “E ci sei tu”, arrangiata dal maestro Ormi. “All’improvviso – racconta Baglioni – mi trattavano come una rockstar. Una sera, dopo l’ennesimo trionfo, chiamai mia madre e dissi:”Io non torno più!”), molto probabilmente l’autore de “la canzone del secolo” e di molte tra le pagine più belle e intense del pop d’autore italiano, avrebbe appeso la chitarra al chiodo e sarebbe tornato ai suoi studi di architettura. Contrariamente al motto calcistico che recita: “Squadra che vince non si cambia”, la RCA, nonostante il fiasco del primo tentativo, riconfermò la squadra che aveva lavorato al progetto dell’anno precedente: Antonio Coggio (responsabile della realizzazione e co-autore di tutti i brani inediti: spesso provini o esperimenti, trasformati in realizzazioni definitive), l’orchestra di Ruggero Cini (alla quale si aggiunsero quella di Paolo Ormi e dello stesso Coggio), i “Cantori moderni di Alessandroni”, la voce sublime dei Edda Dell’Orso e il violino solista di Tinto Fornai, che nell’album precedente aveva suonato in “Isolina”.
Tra gli aneddoti più divertenti di questa doppia produzione, un “dietro le quinte” che pochissimi conoscono: il palpitante battesimo di “Signora Lia”. “Avevamo appena completato le registrazioni della base strumentale – racconta Baglioni – e si trattava di passare a registrare la voce. La canzone, inizialmente, si chiamava “Signora Lai”. Ero lì, davanti al microfono, con la cuffia sulle orecchie ed il testo sul leggio, che cercavo di trovare la concentrazione necessaria, quando il fonico lasciò la regia, entrò nella sala insonorizzata e venne a controllare il posizionamento del microfono. All’epoca c’era una serietà da sala operatoria negli studi di registrazione e gli “ingegneri del suono” – così si chiamavano – indossavano un camice bianco, al quale era appuntata una targhetta con il loro cognome. Mentre questo signore, con fare estremamente professionale, verificava posizione e orientamento del microfono, mi cadde l’occhio sulla targhetta attaccata al suo camice. Un filo di terrore mi gelò la schiena. La scritta diceva: “Sig. LAI!”. E mentre lui mi sorrideva, nel tentativo di rassicurarmi e mettermi a mio agio, io cominciai a pensare con terrore al momento nel quale avrei dovuto cominciare a cantare. La canzone, infatti, parlava di adulterio. Ma non di un generico adulterio: del triste e fallimentare adulterio di una certa “Signora Lai” (!). Ora che la storia con “l’altro” era naufragata miseramente, la povera signora Lai si vedeva costretta a cercare di rimettere insieme quel che restava del suo matrimonio, nella speranza che il marito – il Signor Lai, appunto – non si accorgesse di nulla. Ero disperato. Dovevo inventare rapidamente qualcosa. Di lì a pochi secondi il tizio sarebbe tornato al suo posto dall’altra parte del vetro, accanto al banco di missaggio. A quel punto avrebbe premuto il pulsante dell’interfono e avrei sentito la sua voce in cuffia “Siamo pronti: quando vuole!”. Lì, avrei dovuto cominciare a cantare. Sarebbe stata la fine! La mia e della mia carriera. Per fortuna, un istante prima che la sua voce cominciasse a gracchiare nelle mie cuffie, ebbi un’illuminazione. La “Signora Lai” divenne per me, per lui, per tutti e per sempre “Signora Lia”!”.
Trascrizione a cura di Sabrina Panfili, in esclusiva per: www.doremifasol.org e www.saltasullavita.com