Lampedusa senza tunisini
Proprio mentre i lampedusani tenevano il naso all’insu per guardare i fuochi d’artificio per i festeggiamenti della Madonna di Porto Salvo, gli ultimi settanta immigrati tunsini hanno lasciato nella notte l’isola di Lampedusa.
Questa mattina, Lampedusa si è svegliata senza un solo tunisino al Centro d’accoglienza, fatta eccezione per una decina di maghrebini fuggiti lunedì pomeriggio dopo l’incendio scoppiato nella struttura di contrada Imbriacola. Tra ieri e la notte scorsa sono stati trasferiti, su dieci voli, oltre cinquecento tunisini. Ieri pomeriggio, su un volo, hanno lasciato l’isola anche una quarantina di minori che verranno sistemati in due comunità alloggio, una a Sigonella e l’altra a Piana degli Albanesi. Alle sette altri minori non accompagnati hanno lasciato Palermo a bordo dell’aliscafo diretti a Porto Empedocle. Da qui verranno poi spostati in altri centri.
Intanto, i migranti tunisini provenienti da Lampedusa che non sono stati subito rimpatriati in aereo da Palermo sono stati trasferiti su due navi che si trovano nel porto del capoluogo siciliano. Si tratta della Moby Fantasy e della ‘Audacia’ della compagnia Gnv, due traghetti utilizzati nei mesi scorsi per il trasferimento degli immigrati versi altri Cie di diverse regioni italiane.
Nell’isola c’è la consapevolezza che dopo gli scontri dell’altro ieri qualcosa nel rapporto con gli immigrati è destinato a cambiare. Una sensazione che qualcuno non riusciva a nascondere durante la processione con la statua della Madonna portata in spalla mentre si udiva in cielo il rombo di uno degli otto C-130 militari che dall’alba di ieri hanno fatto la spola tra l’aeroporto di Palermo e quello di Lampedusa per trasferire i maghrebini.
“La situazione è sotto il nostro controllo”, ha assicurato il questore di Agrigento Giuseppe Bisogno, volato a Lampedusa subito dopo gli scontri. Per l’incendio dei padiglioni del Cie, la Procura di Agrigento ha disposto il fermo di quattro tunisini ritenuti gli autori del rogo; la polizia inoltre ha eseguito altri sette fermi: 4 presunti scafisti di uno degli sbarchi avvenuti nei giorni scorsi e tre migranti che sono rientrati in Italia dopo essere stati già espulsi. Gli investigatori stanno visionando i filmati delle telecamere di alcuni negozi vicini al distributore di benzina, dove sono avvenuti gli scontri. Al vaglio ci sono le posizioni sia di alcuni immigrati, in particolare di chi ha minacciato di fare esplodere le bombole, sia di alcuni lampedusani.
Tutto finito, dunque. In tanti però resta l’amarezza per avere vissuto qualcosa che poteva essere evitata. Almeno questa è la linea della chiesa. “Sono molto amareggiato. Quello che stanno facendo adesso, parlo dei trasferimenti, avrebbero potuto farlo dieci giorni fa”, ha detto il parroco di Lampedusa, padre Stefano Nastasi.”È stato triste vedere gente che scappa, dare botte, che minaccia altra gente. Gli uomini sono fatti per stare insieme. Spero di potere incontrare i tunisini nel centro di accoglienza, dirò loro di non sputare nel piatto dove mangiano”. Queste le parole di monsignor Maroun Lahham, vescovo di Tunisi, giunto ieri a Lampedusa per celebrare nella chiesa madre la messa per la festa della Madonna di Porto Salvo, protettrice dei pescatori. Il vescovo ha detto di non poter condannare chi tra gli immigrati ha provocato gli scontri. “Chi sono io per dare giudizi? – ha detto – Quando c’è disperazione l’uomo è portato a compiere sciocchezze e anche atti di violenza. Bisogna andare a fondo dei problemi, indagare il virus che provoca il male”. E i lampedusani che lanciavano le pietre? “Quando qualcuno è stanco, è stanco – ha aggiunto – Non bisogna guardare la pietra, ma la mano che la lancia. Il giudizio non tocca a me ma a Dio”. Sulle presunte responsabilità delle istituzioni, monsignor Lahham allarga le braccia: “Non sono un politico, se lampedusani e tunisini vengono abbandonati dagli uomini non sono abbandonati da Dio e dalla Madonna”. “Questa è un isola bella e accogliente, ma che soffre. Vi si chiede uno sforzo al limite della capacità di sopportazione – ha aggiunto monsignor Lahham durante l’omelia – Quello che la popolazione di Lampedusa ha fatto è degno di ammirazione. E’ ingiusto però chiedervi di continuare a portare questo fardello da soli”.
Un monito quest’ultimo in linea con l’appello della Conferenza episcopale siciliana: “E’ il momento che Lampedusa recuperi la calma per non disperdere un patrimonio prezioso, di accoglienza e reciproca comprensione”. E “nel condannare ogni atto di violenza”, sostengono i vescovi siciliani, “occorre fare leva sul senso di responsabilità di ciascuno, non ultimo quello dei migranti, dei rappresentanti delle istituzioni e della comunità”.
A parlare di quanto è successo in questi giorni a Lampedusa, in un’intervista a ‘La Stampa’, anche Claudio Baglioni, che per l’isola ha fatto sempre quello che ha potuto. “Si passa dal buonismo sfegatato di parte del centrosinistra, che quando va al governo si rende conto che ci sono momenti in cui è necessario usare la forza, alla durezza teorizzata dal centrodestra, che usa parlare solo di respingimenti”. E’ questo “il limite delle nostre politiche dell’immigrazione” secondo Baglioni. Il cantautore romano ha poi parlato della rassegna artistica ‘O scià’ che da diversi anni organizza a Lampedusa. Evento al quale “fino a martedì scorso sembrava inevitabile rinunciarci” a causa dei violenti scontri di questi giorni. “Abbiamo tanti dubbi ancora – ha detto in proposito – ma domani partiamo e quando si comincia vedrai che poi ce la faremo”. “Lampedusa – assicura Baglioni – non è mai tornata alla normalità. Diciamo pure che non era possibile. Ma tra gli spot pubblicitari che promettevano una grande stagione di mare e offerte da sogno per i turisti e la realtà di oltre mille immigrati tenuti a cuocere nel cosiddetto Centro di accoglienza, c’era grande differenza. Invece di tenere un monitoraggio costante – ha osservato – non si è riusciti a distinguere tra i bisogni di chi arrivava dal Centrafrica, chiedendo solo un po’ di carità, e le insidie dell’ultima ondata di tunisini, parecchi dei quali non erano certo per bene, e anche quando non erano appena usciti di galera, rivendicavano con arroganza, talvolta con minacce, di poter continuare il loro viaggio e raggiungere i Paesi francofoni”.
Ma gli sbarchi dal nord Africa non si fermano. Ventisei immigrati tunisini sono sbarcati nella tarda serata di ieri sull’isola di Linosa, dopo essere stati fatti scendere da un’imbarcazione in legno con a bordo gli scafisti che si sono subito allontanati facendo perdere le proprie tracce. A raccontare ai carabinieri quanto accaduto è stato il proprietario di un ristorante che ha visto arrivare la barca con gli scafisti, abbandonare i tunisini e sparire nel buio. I 26 tunisini hanno trascorso la notte a Linosa insieme con gli altri 72 connazionali già presenti sull’isola. “Chiedo al ministro dell’Interno Roberto Maroni che anche Linosa venga svuotata al più presto, proprio come è accaduto a Lampedusa”, ha detto il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis. “E’ una situazione insostenibile – ha aggiunto il primo cittadino – l’isola è piccola e non può continuare ad ospitare quasi 100 tunisini”.
E sono intanto arrivati all’alba a Porto Empedocle (AG), a bordo di cinque motovedette, tre della Guardia di Finanza e due della Guardia costiera, i 75 immigrati tunisini, tra cui due donne, avvistati ieri pomeriggio e soccorsi a circa 35 miglia da Lampedusa. Per la prima volta, i migranti non sono stati ‘scortati’ fino al porto di Lampedusa, ma sono stati prima trasbordati e poi accompagnati fino a Porto Empedocle, proprio come annunciato dal sindaco De Rubeis, dopo un colloquio telefonico con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. “I profughi continueremo ad accoglierli – ha sottolineato De Rubeis – ma i tunisini non li vogliamo più dopo quello che è accaduto”.
La destinazione degli immigrati non è stata ancora ufficialmente comunicata. Sarebbe però da escludere il centro d’accoglienza di Licata (Ag), perché la struttura, attigua alla sede della protezione civile del villaggio agricolo, risulta chiusa da diversi anni.