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Canto per ridare un po’ dell’amore che ho ricevuto

«Canto per ridare un po’ dell’amore che ho ricevuto»

Claudio Baglioni si mette «Al centro» anche a Montichiari: sale l’attesa per il doppio appuntamento fissato per il 20-21 novembre al Palageorge con il nuovo tour per i cinquant’anni di carriera, al culmine di un anno trionfale per il cantautore romano.

Articolo di Brescia Oggi del giorno 2 Novembre 2018 

A settembre i primi tre show all’Arena di Verona, il 16 ottobre il debutto vero e proprio a Firenze per un’avventura che durerà fino ad aprile (con pausa per il già annunciato bis a Sanremo 2019). Tante le tappe, molte già sold out: una grande festa per celebrare mezzo secolo di musica insieme al popolo dei fan. «Il live per me è fondamentale – racconta Baglioni -. La musica è un linguaggio: serve a stabilire un contatto e comunicare. Parliamo di una lingua straordinaria che ha il dono – letteralmente unico – di poter essere parlata e capita da tutti. Senza nessuna barriera. Per questo è stata il primo social network della Storia. All’inizio, si trattava di un network fisico. Reale, cioè, non virtuale. Per ascoltare musica bisognava essere vicini a chi la eseguiva. Poi è arrivato il disco e il network si è allargato, estendendo virtualmente all’infinito l’orizzonte della musica, ma rendendo non più necessaria quella vicinanza».

Le cose sono ulteriormente cambiate…

Vero, dall’inizio degli anni ’80 – grazie ai «walkman», prima, e ai lettori Mp3, poi – la musica è diventata questione individuale. Un rapporto esclusivo tra noi e le nostre cuffiette. Quel concetto di rapporto, di relazione tra due o più persone è venuto, sostanzialmente, meno. L’unico momento nel quale lo si ricrea è il live. Solo nel live la musica vive, sia grazie alle mani di chi la suona, che alle orecchie e ai cuori di chi la ascolta. Ed è questo incontro, questa comunione la dimensione più autentica della musica: condividere note, suoni, parole ed emozioni nello stesso istante nel quale esse nascono. Non a caso si dice «dal vivo». La musica è viva ed è vita e, per viverla fino in fondo, bisogna essere vivi, gli uni davanti agli altri, per essere vita gli uni per gli altri.

Non è la prima volta che lei si mette «al centro» delle arene e dei palasport per i suoi spettacoli: quali sono le differenze tra questa produzione e quelle del passato in cui già aveva sperimentato questa strategia?

Cambiano sia la forma che il contenuto. Il palco è sempre al centro, è vero. Perché è la soluzione che preferisco: le distanze si riducono, tutti vedono e, soprattutto, sentono molto meglio. Anche perché nelle arene indoor è possibile appendere l’amplificazione al soffitto, diffondere il suono in modo più capillare e puntare sulla qualità più che sulla quantità. Ma non è sempre lo stesso palco. È una creazione nuova, disegnata per essere modulare e poter cambiare forma durante lo show: non più una semplice pedana per ospitare musicisti, strumenti e apparecchiature tecniche, ma uno spazio scenico che diventa parte integrante della narrazione, come i suoni, le luci, le proiezioni, e, ovviamente, musicisti, coristi, ballerini e performer. Uno spazio che cambia ogni sera e ad ogni pezzo.

Un nuovo tour per celebrare un importante traguardo come quello del mezzo secolo di attività: mai pensato «adesso smetto»?

Veramente no. Il fatto è che amare ciò che si fa, ed essere amati per ciò che si fa, capita rarissimamente. In questo modo, poi, e così a lungo, praticamente mai. In tutti questi anni, la musica e la gente mi hanno dato così tanto che non penso a smettere, perché spero sempre di riuscire a restituire, almeno in parte, un po’ di quanto ho ricevuto. Per questo, ogni volta, cerco di alzare l’asticella della qualità. Poi mi rendo conto che, per quanta bellezza ed emozioni io possa regalare, non riesco a pareggiare il conto. E così mi dico Chissà? magari la prossima volta…

Il suo ultimo lavoro di inediti risale al 2013: da artista con 60 milioni di dischi venduti alle spalle come valuta lo stato di un feticcio come l’album?

Domanda impegnativa. Non definirei l’album un feticcio, perché il termine ha una valenza negativa che il disco non merita. Il grande ritorno del vinile dimostra, anzi, che c’è una grande voglia di album. Non solo perché i dischi dell’epoca d’oro – mi riferisco agli anni ’60 e ‘70 – tendono ad essere qualitativamente superiori a molta della musica che si sente oggi, ma anche per il fatto che la dimensione album consente di dare una forma più compiuta e più ricca alle proprie idee musicali. C’è più spazio creativo. Un po’ come se un pittore o uno scultore avessero a disposizione una tela o un pezzo di marmo più grandi. Oggi tutto si brucia in fretta. Troppo in fretta. L’album invita a prendersi il tempo giusto per ascoltare musica. Non trenta o quaranta secondi, ma trenta o quaranta minuti. Troppi? Mettiamola così: cosa pensereste di un amico che, dopo trenta secondi che gli state parlando, si alza e se ne va? Personalmente, dubito che continuerei a considerarlo un amico. Cercherei qualcun altro disposto ad ascoltarmi. Per questo sto preparando un album di inediti. Non un «nuovo disco» ma un «disco nuovo» nel senso migliore che l’aggettivo può avere. Sono stato costretto a interrompere i lavori per il tour, visto che «Al Centro» mi impegnerà fino a fine aprile, e per Sanremo, ma in primavera tornerò dal mio «amico» e finiremo la nostra chiacchierata. Dopodiché sarà tutto vostro. E mi auguro che troverete in lui un nuovo compagno di passi e pensieri.

È il grande momento dell’it-pop: una nuova generazione di musicisti si sta imponendo nelle classifiche modernizzando la canzone italiana. Cosa pensa di questo nuovo fermento?

I nuovi fermenti sono sempre positivi: significa che la sorgente non si è inaridita e il letto del fiume si sta riempiendo di nuovo. È ancora presto per dire se l’acqua sarà limpida e fresca e che sapore avrà. Né si può ancora dire se rimarrà o scivolerà via. Personalmente, però, sono fiducioso. E mi auguro che riuscirà a irrigare e rendere fertili cuori, sguardi, coscienze e sensibilità. I giovani sono il futuro. Per questo ho deciso di dedicare loro un Festival e, per la prima volta in assoluto, un’intera settimana tv. Perché, se sono belli loro, sarà bello anche il futuro. E dato che è lì che stiamo andando tutti, dobbiamo aiutarli a renderlo un posto all’altezza delle nostre attese.

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

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