50 anni al CentroStasera a casa di Luca

Il viaggio di AL CENTRO

Noi uomini restiamo sempre folgorati, quando osserviamo qualcosa, dall’impatto (nel caso si tratti di qualcosa che si esaurisce, almeno esteticamente, nella sua apparenza, come può essere un bell’uomo o una bella donna, un tramonto o un quadro) e dall’inizio (quando invece si tratta di un qualcosa che dura nel tempo, come un romanzo, un film, un racconto, una canzone, uno spettacolo); quest’ultimo, che gli intellettuali chiamano con una parola latina incipit, molto spesso ci dà gli stimoli giusti per proseguire nel percorso intrapreso: andare avanti a leggere il romanzo, continuare ad ascoltare la canzone, proseguire la visione del film, ecc… Senz’altro è vero che l’abito non fa il monaco, per cui non è detto che un brutto inizio significhi poi una brutta opera, ma questa tendenza “accentratrice” dello sguardo e dell’ascolto sull’incipit e sull’impatto che ci dà sembra che sia più forte di noi: non ne possiamo fare a meno. Lo sanno bene coloro che lavorano nell’industria culturale, che cercano di “sconvolgerci” con gli inizi delle loro opere, per ovviamente invogliarci nell’andare avanti ad usufruirne; lo sanno anche gli artisti, di ogni epoca e corrente o ambito artistico, che hanno sempre dedicato particolare attenzione all’inizio delle loro opere, o ad altre posizioni che attirano il nostro sguardo/ascolto (come possono essere, per esempio nel caso delle poesie, le rime).

Lo sa anche Claudio, che nella sua carriera è sempre stato particolarmente attento all’incipit delle canzoni (pensiamo a quanto abbia contribuito un verso come «Quella sua maglietta fina» al successo di QPGA), dei dischi (la corsa di Dagli il via vale più di ogni altra parola per introdurci al clima di Oltre) e degli spettacoli; in particolare, l’inizio degli spettacoli è fondamentale, perché quanto più è d’impatto, più funziona nel segnare lo spettatore. Ricordo a tal proposito una tournée di Laura Pausini, in cui la cantante veniva fatta entrare da una specie di trabiccolo super tecnologico calato dall’alto (se non ricordo male, era la tournée Simili, 2016, negli stadi): inizio decisamente di impatto.

L’inizio di Al Centro no, non è di impatto. O meglio, io non lo trovo di impatto. Lo trovo più concettuale, più poetico. Non per questo meno interessante. L’inizio di questa tournée che stiamo vivendo, che ora vorrei analizzare brevemente (sperando di non risultare eccessivamente noioso), si può suddividere in tre parti, ben distinte e apparentemente slegate, ma in realtà collegate da un leggero e sottile filo conduttore e concettuale:

  1. La Suite
  2. L’ingresso dei performer e di Claudio con la valigia in mano
  3. Questo piccolo grande amore

1 – La Suite

Di impatto è sicuramente la Suite, anche se Claudio ci ha abituato (forse un po’ troppo) a questi inizi con musiche epiche: anche il Con Voi tour in fondo si apriva con le note-inno dell’intermezzo di In cammino. Claudio si auto-prende in giro quando dice che è un’artista “inno-vativo”, ma è fuori dubbio che la presenza di inni è aumentata, a partire dal 1995 ad oggi, all’interno della sua produzione. È forse un caso? Già nella mia recensione del concerto dell’Arena [CHE TROVATE QUI] avevo messo in luce il ruolo della performance novecentesca all’interno dell’opera di Claudio, ma mi sembra che, non a torto, si possa qui fare riferimento ad un altro grande paradigma dell’arte, questa volta letteraria, che collega come un fil-Rouge l’antichità classica con il Romanticismo e con la nostra contemporaneità: la figura del poeta-vate, ossia il poeta che deve guidare le masse. La crisi della poesia contemporanea, messa in evidenza da esperti linguisti e letterati del calibro di Lorenzo Renzi (che non è parente con Matteo), Luca Zuliani o Pier Vincenzo Mengaldo, ha fatto venir meno questa figura, perché l’io dei poeti è spesso frammentato e disorientato all’interno del marasma confusionario del Novecento. Gli uomini però, si sa, hanno bisogno di guide. E chi sono state le guide del secondo Novecento italiano, se non i cantautori? Claudio questo lo sa, lo sa almeno dal 1980, da quando ha scritto Strada facendo, che riesce ancora oggi ad essere un brano da poeta-vate, o meglio, da cantautore-vate. La presenza così insistente di inni sembra quasi un “richiamo” di Claudio, un “ammonimento” a seguirlo anche oggi, a seguire LUI, cantore-vate della realtà frammentata e disorientata, ancora più forte oggi nel Duemila (e cantata come frammentata da lui stesso tra Oltre e Viaggiatore). A seguirlo però dove? A seguirlo dietro un VIAGGIO.

2 – L’ingresso dei performer e di Claudio con la valigia in mano

Che il leitmotiv di Al Centro sia il viaggio, è piuttosto evidente. In realtà lo è un po’ di tutti i live di Claudio degli ultimi anni, da quel bellissimo scoperchiare gli strumenti come in una cantina, in un viaggio verso l’alto della terrazza, del tour Crescendo, 2003, transitando per il continuo aumentare di oggetti, strumenti e suoni del tour Tutti qui, 2005, fino al work-in-progress del cantiere del Con Voi Tour, 2014: un viaggio che è inteso come un movimento in levare, un divenire, un percorso a tappe, un processo, un movimento eterno di un flusso in continuo cambiamento. Come riuscire a concentrare tutto questo in un oggetto? In una valigia. La valigia è il “già, e non ancora” di tradizione biblico-cattolica, tanto cara a don Giussani, ma allo stesso tempo è il carpe diem oraziano che dai latini ci porta a Lorenzo il Magnifico e a Roberto Vecchioni; è l’idea che siamo solo di passaggio («nel vecchio albergo della terra»), ma che in questo passaggio obbligato non possiamo stare fermi, altrimenti non saremo mai passati. È una di quelle metafore intuitive la valigia (la usa Ligabue in una bella canzone abbastanza recente, Il peso della valigia, 2010), con cui tutti abbiamo avuto a che fare, ma che dietro la sua semplicità nasconde una miriade di significati, proprio perché tutti in qualche modo riusciamo a percepirli (anche chi, come me, non si mette per forza a pensare su tutto). Certo, è in contrasto la valigia con il tono epico della Suite. Ma il filo che collega la suite-inno da cantautore-vate (e le parole e il videoclip di Al Centro lo confermano) alla presenza poco solenne, ma sottile e “poetica”, della valigia, è proprio quella del viaggio: un viaggio da fare dietro Claudio, che si pone come guida per il suo pubblico. Ecco perché dietro di lui ci sono i performer, e la valigia la fanno anche loro. Performer, non ballerini: anche noi potremmo esserlo (tranne forse l’equilibrista di Notte di note o la vecchia di Porta Portese): il performer, come dice Grotowsky nell’omonimo saggio, non è un attore, ma è un uomo che “vive un po’ più intensamente degli altri”.

“Ma non sarà un po’ troppo?” potrebbe obiettare qualcuno: in fondo, è solo un cantante. Che, tra l’altro, ha scritto che «una canzone, neanche questa, potrà mai cambiar la vita», riecheggiando un po’ il monito di Bennato del “sono solo canzonette”. Non sarà un po’ troppo?

3 – Questo piccolo grande amore

No, non è troppo. Perché ha senso seguire Claudio? Perché, prima che SOLO un cantante, è un uomo che si spoglia a nudo, per il suo pubblico: tornando alle origini, ripartendo dall’inizio. E dai sentimenti. Dall’inizio della sua storia, musicale e personale, e da un sentimento passato. Perché il passato è sale, che si scioglie per dare sapore al futuro, e SOLO in questi termini ha senso viverlo: un cantautore-vate ci può offrire la sua storia, che è una come tante, ma che noi possiamo seguire. D’altronde, non è diverso quanto fatto, con stile e pure contenuti differenti, dalle rockstar internazionali (Bruce Springsteen) o dai nostri cantautori (De André o Guccini), che si pongono come guida del proprio popolo mettendosi a nudo (anche se con tono più rockeggiante e di impatto il primo, e più rivoluzionario o intimistico gli altri due). Claudio (ri)parte dall’inizio: certo, sono solo canzoni, ma hanno senso perché sono la SUA storia, la storia di un uomo che, per talento e per fortuna, è un gradino sopra gli altri. Non per gerarchia, ma per possibilità. Il cantante pop (nel senso più bello del termine) parla come da un pulpito, e la gente lo guarda, lo ascolta, ne macina pensieri e idee: è un punto di riferimento spesso inconscio, ma fondamentale quando ci si sente soli (e Claudio, quando canta «Santa musica leggera per chi è senza compagnia» – tra l’altro canzone inserita, non a caso, nella scaletta del concerto – lo sa benissimo).

Un popolo da trascinare, in un viaggio che è collettivo ma allo stesso tempo personale, dentro sé stessi ripartendo dalle proprie origini, ma guardando al futuro: ecco perché l’inizio di Al Centro, nella sua contraddizione, riesce ad essere efficace, anche se forse non di impatto come si poteva pensare ascoltando la Suite: non epico, ma poetico.

Credo che una riflessione su questo inizio e sul senso del viaggio, nei giorni in cui tanti di noi sono proprio IN VIAGGIO (chi per più km, chi per solo qualche manciata di metri) per assistere alle prime tappe di questo tour in Arene Indoor, potrebbe essere un piccolo spunto di riflessione utile per gustarci uno spettacolo che nella sua complessità merita veramente di essere sviscerato nei suoi minimi dettagli.

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

Un Commento

  1. Da amante di un genere molto più rock di quello di Baglioni, non avevo la stessa eccitazione che si ha prima di andare a uno di quei concerti in cui ti aspetti un assolo di chitarra elettrica che ti farà avere i brividi per il resto della tua vita, ma ho voluto fare un regalo a mia mamma e l’ho accompagnata…
    Di concerti ne ho visti diversi, anche di gruppi internazionali, ma devo ammettere che sono uscita emozionata da quest’ultimo, non me l’aspettavo…
    Ascoltare canzoni che hanno la mia stessa età e conoscerle a memoria perchè oggi la radio ancora le passa, perchè nonostante possa non piacere il genere sono comunque poesie, successi famosi durati negli anni. Vedere un artista alla soglia dei 50 anni della sua carriera professionale cantare per 3 ore di fila senza fermarsi neanche per bere un bicchiere d’acqua non mi era mai capitato.
    E poi il corpo di ballo, gli abiti, le luci…UNO SPETTACOLO NELLO SPETTACOLO.
    Se a vostra madre o a vostro padre piace Baglioni ma a voi no, accompagnateli al concerto…sarà una bella esperienza di musica che vi resterà nel cuore!

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