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Brano per brano, tutto il nuovo album

convoicopBrano per brano, ecco ‘raccontato’ il nuovo album di inediti di Claudio Baglioni

Con voi La prima e’ la storia di due rette parallele: l’artista e il suo pubblico. Due rette parallele che, dopo aver camminato per tanto tempo insieme, ma sempre a una certa distanza, finalmente si incontrano, per fare un nuovo pezzo di strada uno di fianco all’altro, scambiandosi pensieri, stati d’animo, emozioni. Un incontro intenso, che avviene proprio nel momento nel quale l’artista ha quasi deciso di cambiare strada. Il richiamo di un dialogo (fu un onore e un privilegio essere gli eroi) di quelli che non si possono interrompere, piu’ forte di tutto il resto: so che avevo chiuso gia’ la porta quando poi mi busso’ l’urgenza che ho di voi.
Questa canzone (la mia canzone piu’ bella e’ quella che ho suonato meno) originale, piena, raffinata e carica di energia, impreziosita da un grande solo di Paolo Gianolio, canta il bisogno di cercare un mondo nuovo e nuove identita’, consapevoli del fatto che se c’e’ un fine in questo viaggio non c’e’ fine mai e che se il sogno e’ morto, viva il sogno.

Dieci dita La seconda e’ la storia di uno scambio tra i piu’ appassionanti e difficili: quello tra un genitore e un figlio. Nessun altro puo’ essere cosi’ vicino e, allo stesso tempo, cosi’ lontano (non sapro’ mai cosa si dice a uno che ti somiglia tanto), nell’unica forma di amore destinata a mutare sempre, ma a non esaurirsi mai. Tu il primo abbraccio che mi viene in mente che andrai via sempre troppo presto.
“Dieci dita” e’ una ballata lenta di grande intensita’ che, su una struttura armonica di derivazione classica, fonde sapori e sonorita’ anglosassoni fine anni ’60 ad una linea melodica straordinaria, ispirata al meglio della grande tradizione lirica italiana. Un invito a guardare oltre le difficolta’, a non sprecare niente se anche si puo’ avere tutto il resto, a non stancarsi mai del viaggio della vita e a non farsi mai mancare quell’incanto che e’ l’unica energia che ci fa volare anche senza rete. E l’auspicio di cercare sempre di essere felice.
 

E noi due la’ La terza e’ la storia di due corpi. Immobili, uno di fianco all’altro come segni paralleli di una pausa. Hanno solo il cielo per vestito e sono preda di una condizione indescrivibile e inebriante: la malattia dell’infinito. Protagonisti di un amore che dell’amore non ha i guai, nel quale ogni istante e’ come il primo e non c’e’ un dopo che non sia un ricordo.
“E noi due la’” e’ una ballad trascinante, con una melodia dagli intervalli affascinanti e un tessuto ritmico fine ’80, caratterizzata da una grande vocalita’ e da sonorita’ eteree e rarefatte, con la quale Baglioni si chiede: cosa ci fa incontrare? Il caso, il destino, il desiderio, la chimica degli sguardi, dei pensieri, dei profumi? C’e’ modo di capire se certi incontri sono effetti o cause? E, se, soprattutto, e’ possibile premere “pause” come su un lettore dvd e prolungare, all’infinito, l’idea di bellezza e vicinanza di due corpi e due anime, immobili uno accanto all’altra, in uno spazio fuori dallo spazio e un tempo fuori dal tempo.

In un’altra vita La quarta e’ la storia di un amore grandissimo. L’amore piu’ nobile e piu’ bello che si possa incontrare; quello che avvolge sensi e sentimenti, si serve come un altare e infiamma come un incendio di capelli. Quell’amore che pero’ non riesce ad avere ragione anche delle avversita’ piu’ insidiose (la gioia crebbe su un dolore) e delle mille trappole che il destino dissemina lungo la sua strada (e che puoi farci se gli dei dell’amore son stati cattivi). “In un’altra vita” e’ una canzone di una liricita’ perduta. Melodia larga e affascinante; armonia intensa e raffinata, e un arrangiamento di archi e fiati dai quali traspare, in filigrana, l’eco delle atmosfere pure e sognanti dei favolosi pezzi italiani degli anni ’60.
  Baglioni canta la vicenda immortale di una storia da raccontare come un vangelo, che trasporta chi la vive ad affacciarsi su un avamposto sull’eternita’ per scoprire che – per vivere fino in fondo un amore cosi’ – non bastera’ neanche un’altra vita. E in un’altra forse lo si potra’ rivivere. In un’eta’ che non ha eta’.

Come un eterno addio La quinta storia e’ la storia senza tempo di un futuro che non c’e’ mai stato, ne’ mai ci sara’. Un canto struggente che nasce dalla consapevolezza di un amore impossibile tra due persone troppo avanti nelle loro strade: strade parallele, vite rubate da un grandangolo, che sono destinate (dopo un incontro a borsanera) a non trovarsi mai piu’.
  “Come un eterno addio” e’ un brano ispirato al tango – danza sensuale e dolente per eccellenza (l’attesa stretta dentro i muscoli) – che in questo caso, pero’, ognuno balla al proprio angolo, nel pensiero triste di un passo a due che non si realizzera’ mai. Andamento nervoso, voce amara e suadente, incastri ritmici serrati e sonorita’ intense e appassionanti ispirate alla terra d’Argentina, con “Come un eterno addio” Baglioni canta la nostalgia futura per un abbraccio che cammina che i protagonisti sognano e temono, ma che non ci sara’ mai.
  Restera’ solo il senso dell’oblio tra di loro.
 

E chi ci ammazza La sesta e’ la storia di una forza che, quando e’ davvero grande riesce addirittura a superare quella dell’amore, forse perche’ dell’amore e’ una delle forme piu’ autentiche e profonde: l’amicizia. In “E chi ci ammazza” Baglioni canta il groviglio di situazioni, pensieri e stati d’animo di un gruppo di amici cavalli di razza, dalle prime innocenti scorribande di ragazzini alle prese d’atto della realta’ dell’eta’ adulta. Un linguaggio agrodolce, nel quale ironia e malinconia, si fondono e si confondono in una riflessione dolceamara sul concetto di amicizia maschile, eternamente immatura, lievemente eroica, ma capace di chiudere in pareggio il bilancio di vittorie e sconfitte. Ritmo incalzante, con un andamento che riecheggia certo rhythm&blues, e melodia ficcante, che cattura e pulsa con la presa di un classico tormentone, accompagnano le vicende di un gruppo di cialtroni, che hanno diviso tutto: anche se la vita e il tempo che non ha tempo per nessuno li hanno allontanati e dispersi, lo spirito e il valore della loro storia non tramontano mai e continuano ad animare le praterie del ricordo.
 

In cammino La settima e’ la storia di un invito; una chiamata alle armi del riscatto (usciamo e andiamo via dall’abitudine e dalla solitudine) e della voglia di riprendere in mano il timone di se’, per svegliarsi in mezzo a un giorno che non c’era e cercare, lungo la via la latitudine di un nuovo sogno di bambino che non abbia mai margine. Con questa rock ballad energica e incalzante, Baglioni che ci chiama a raccolta e ci invita a metterci, appunto, in cammino verso una nuova frontiera ideale e soprattutto morale, seguendo la melodia indiavolata dell’urlo folle di un trascinante solo di violino di Pio Spiriti, facendoci lanciare da un arco d’orizzonte come frecce che volano a raggiungere uno spazio e un tempo nei quali il futuro e’ sempre intatto, ogni sguardo e’ una scoperta e i sogni ritrovano l’incanto e la forza che solo uno sguardo incontaminato sa dare. E il destino comune e corale di noi che siamo nati gia’ in cammino.
 

Una storia vera L’ottava e’ “una storia vera”. Una ballata pura, leggera e avvolgente, venata di atmosfere larghe e sonorita’ scintillanti e animata da una melodia semplice e penetrante in perfetto “stile Baglioni”, con i crescendo centrali nel quali riecheggiano alcuni suoi grandi classici degli anni ’70, la “voce narrante” di ConVoi canta la presa di coscienza del fatto che, se ci si guarda bene dentro e intorno, ci si rende conto che solo certe presenze reali e costanti (che siamo qua, se anche siamo gia’ a piu’ di un addio) sono in grado di dare senso a tutto il resto. Spesso cerchiamo lontano cio’ che abbiamo davanti agli occhi (io sono stato cieco ogni volta che non ho visto te), rischiando di perdere le cose importanti che la vita (e mi son perso spesso inseguendo un’eco) ha seminato lungo la nostra strada; quelle presenze che sanno trasformare l’esistenza in poesia e senza le quali tutto andrebbe fuori fuoco e nulla potrebbe mai davvero essere quel che e’.
 

Gli anni della gioventu’ La nona parte con una citazione di Lorenzo de’ Medici. E’ la storia di due ragazzi di Paesi diversi che si incontrano in una capitale dell’Est e si innamorano dell’amore, totale e incontenibile, con il quale si ama a vent’anni. Lui ha lasciato il suo Paese per tentare l’avventura della musica, lei fa la modella nella speranza di riuscire a lasciare il suo. Per comunicare mezze frasi e mille gesti buffi e qualche pensiero scritto mal tradotto che lei gli lascia sul cuscino, ma la passione vince su tutto e tutti e regala loro giorni e notti insonni e indimenticabili. Il giro del giovane cantante finisce e il distacco e’ inevitabile. Sebbene da allora siano passati tanti anni, la memoria del cuore non ha mai cancellato quelle storie senza fine che lasciano scie interminabili e, per restarci sempre vicino, si fingono amnesie. Una fanfara intensa e struggente, suoni e ritmi colorati da Est Europa fanno da sfondo ad una melodia di straordinario impatto lirico ed emotivo, con la quale Baglioni ci ricorda che l’esistenza ci ammala e poi non ci sana piu’ e che gli anni della gioventu’ son rimasti nella neve.
 

Va tutto bene La decima e’ la storia di un uomo e una donna – forse l’artista e la sua musa – che la canzone sorprende in una casa che profuma di mare, mentre una voce sogna sottovoce e un’altra canta piano e voce. L’uomo e la donna dividono un istante interminabile e immobile, sospeso tra una notte che non e’ ancora andata via e un giorno che tarda ad arrivare. Il silenzio e’ punteggiato da una pioggia leggera, mentre note e lacrime fanno su una musica che non vuoi mai smettere.
  Lentamente una luce tenue restituisce vita alle cose: la casa, il pianoforte, il corpo addormentato di lei. A poco a poco, ogni cosa ritrova il proprio posto, in un equilibrio rarefatto che trasmette serenita’. La stessa che si respira ascoltando questa ballad morbida e avvolgente nella quale Baglioni riscopre il sapore vellutato di certe sonorita’ anni ’90, sulle quali adagia una linea melodica che emoziona e fa sognare, arricchita dal dialogo con il timbro caldo e intenso della tromba di un grande Fabrizio Bosso e del suo eccezionale assolo.
 

Isole del sud L’ultima storia e’ la storia dell’uomo: antica, nobile e meschina come lui. Storia di mille arrivi e mille partenze; di grandi speranze, grandi dolori e nostalgie senza fine. Inno intenso e struggente di straordinaria forza lirica, “Isole del sud” e’ un canto popolare – che, lentamente, assume le sembianze di un coro d’opera – con il quale Baglioni narra il tema dell’eterno migrare dell’uomo, costretto a lasciare radici e affetti, nella speranza di un futuro piu’ degno di essere abitato, anche se per nessuno e’ mai certo che la promessa di una terra sia davvero poi una terra promessa. Un canto dolente, nel quale la nostalgia pesa piu’ della speranza (partire e’ vivere e un po’ morire) e il richiamo di cio’ che si lascia e’ sempre piu’ forte di quello di cio’ che si cerca. Mentre qualcuno approda, qualcun altro salpa da queste isole di mare e di terra, disseminate ad ogni latitudine, che diventano il simbolo di una umanita’ sola e troppo spesso abbandonata a se stessa che, pero’, non si arrende e non si rassegna all’idea che il sogno di una vita prima o poi non riesca a trasformarsi in una vita da sogno.

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