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Nel Sanremo di Claudio Baglioni vincono tutti

Non importa se vi piacciano o no, conta poco se Achille Lauro vi stia simpatico, se non amate il canto tradizionale di Nino D’Angelo, se il testo di Silvestri vi disturba, se le giacche di Ghemon sono brutte, importa solo che per ognuno dei milioni di telespettatori del festival ieri sera c’era qualcosa in cui riconoscersi

La “fratellanza dell’amore universale” di Claudio Baglioni è arrivata al vertice. Lo dice lui all’inizio, dichiarando che la grande puntata dei duetti è la realizzazione del suo progetto. Ed è vero, non solo perché ci sono cinquantasei artisti che calcano la scena in una sola serata, ma perché questi 56 artisti sono parte di un meraviglioso mosaico, fatto di differenze, diversità, ipotesi, idee, progetti, sogni. Artisti di ogni genere, attori, ballerini, cantanti, autori, musicisti, interpreti, che suonano pop, reggae, soul, rock, classico, elementi di una gigantesca orchestra che Baglioni dirige con sapienza, sapendo amministrare con sufficiente saggezza gli elementi musicali differenti, facendo in modo che il livello della qualità non si abbassi mai, davvero, sotto la soglia del gradevole.

Sanremo 2019 prova a dirci che la musica è importante, che lo spettacolo è importante, che continuare a pensare (come qualcuno ancora pensa) che si tratti solo di “canzonette” è sbagliato. Non ci sono “canzonette” ma tanti modi diversi di declinare i racconti, storie d’amore o di vita, di rabbia e di passione, pezzi di poesia e semplici rime, c’è la musica italiana, viva come non era da almeno venti anni, ricca, diversa, affascinante, discutibile e vera come non accadeva da tempo. C’è molta altra vita, c’è molta altra musica fuori dalla Città dei Fiori, ma al Festival, per la seconda volta ma molto meglio della prima lo scorso anno, la vita è entrata con forza sul palco dell’Ariston, attraverso le canzoni. Non importa se vi piacciano o no, conta poco se Achille Lauro vi stia simpatico, se non amate il canto tradizionale di Nino D’Angelo, se il testo di Silvestri vi disturba, se le giacche di Ghemon sono brutte, importa solo che per ognuno dei milioni di telespettatori del festival ieri sera c’era qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa che poteva parlare al cuore, al corpo e alla mente, come solo la canzone sa fare.

Canzoni che, come faceva dire Truffaut a Fanny Ardant in La signora della porta accanto, “sono stupide, ma più sono stupide più sono vere”. L’arte della canzone ha fatto la sua rumorosa e fantasiosa irruzione sul palco del festival, come già era iniziato ad avvenire da qualche anno. Ma oggi è in atto una rivoluzione nella canzone italiana, come non accadeva da tempo, una rivoluzione fatta di rapper e trapper, di cantautori e band che un tempo avremmo definito “indie” e che oggi, invece, riempiono club, teatri e palasport, una generazione completamente nuova che sta cambiando le regole del gioco, sta rinnovando il linguaggio, sta portando nuovi contenuti e nuove storie. E questo festival ne ha portato una parte in scena, accanto ai vecchi leoni, agli intrattenitori pop più navigati, a tutti quelli che continuano con passione a fare il mestiere della musica. E dello spettacolo. Uno spettacolo che in Italia viene sistematicamente maltrattato, al quale non viene dato sostegno e aiuto, per il quale non c’è governo che faccia un singolo sforzo e che, in questa settimana, va in scena tutto insieme sul palco del festival, per dire che esiste, crea, soffre, combatte, parla e racconta al vita, tutti i giorni nei club, nei cinema, nei teatri. Il Sanremo di Baglioni è diventato questo, la celebrazione di un modo di stare al mondo, di vivere in questo paese, con intelligenza, passione e creatività, per divertire e far pensare, per far passare un po’ di tempo e mettere in moto il cervello, attività importanti entrambe, attività sane e giuste. Vincerà qualcuno? Ieri il premio speciale della giuria l’ha vinto Motta con Nada, ma al di la della nostra personale soddisfazione per i meriti di Motta, hanno già vinto tutti in questo festival, in cui nessuno viene eliminato, nessuno resta indietro, nessuno viene dimenticato. E questa è una bella notizia.

ERNESTO ASSANTE per Repubblica

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

3 Commenti

  1. Caro The Godfather,
    grazie a Lei e a Doremifasol per aver accolto il mio sfogo.
    Mi scuso. Non sono riuscita a contenermi. Le parole sono scivolate fuori, inarrestabili.
    Il ricordo era troppo potente per riuscire a bloccarlo.
    E ritrovare Claudio così presente in questi giorni, mi ha portato ad unire passato e presente.
    Ma mi ha fatto bene. Potenza della medicina Baglioni. Dovrebbero prescriverla. Funziona.
    Approfitto per dire la mia sulla serata finale.
    Ancora polemiche. E neppure una parola su chi ha costruito un Festival che farà da spartiacque.
    Il vero vincitore di Sanremo? Ovviamente Claudio Baglioni. Le canzoni, la voce, la professionalità, la cultura musicale, la signorilità, l’ironia autoironica, il coraggio di cambiare, la stima dei colleghi, etc., etc. Bastava che lo chiedessero a noi. Gli avremmo spiegato per bene chi era il Dirottatore! E quanto vale! Un cantante? No, un Maestro. Il nostro Capitano.

  2. Di nuovo Sanremo e quel 9 febbraio…di un anno fa!
    Anche l’anno scorso il 9 febbraio c’era Sanremo. Solo che non era la finale ma il venerdì, la serata dei duetti.
    Le prime tre sere erano filate via lisce. Un successo ed un record dopo l’altro.
    E io ero tanto contenta. Avevo scritto di getto un commento da inviarvi. L’ho ritrovato nel computer. Il titolo era: “Baglioni spiegato ai non addetti, ovvero, …noi lo sapevamo già!”
    Si perché dopo anni, decenni, a doversi quasi giustificare per la propria passione, ora, nessuno avrebbe avuto più niente da dire riguardo agli amori adolescenziali, al disimpegno, al cantore dei buoni sentimenti.
    Coglievo, stupita, lo stupore di chi sottolineava, più o meno apertamente, l’ironia di Baglioni nel botta e risposta con Fiorello, la pignoleria e la cura del dettaglio nel confezionare lo spettacolo, l’autonomia di certe scelte che avevano innovato un rituale stantio, la stima dimostratagli dai tanti colleghi che avevano “inaspettatamente” accettato il suo invito a calcare il palcoscenico più famoso della televisione italiana e, persino, ohibò, la sua competenza musicale.
    ”..però, pensa, Baglioni non ce lo facevo proprio!!!”.
    Chi aveva guardato un po’ “oltre” quella sua maglietta fina, tutto questo lo sapeva già. E lo sapeva bene.
    Lo spessore, il valore, la cultura musicale, la signorilità, la professionalità, l’ironia autoironica e chi più ne ha più ne metta, erano diventate note a tutti.
    Gli altri si stupivano. Io trovavo conferme e covavo dentro una placida soddisfazione venata di qualcosa che potrei identificare con l’orgoglio, come quella che si prova quando qualcuno che ti è caro raggiunge un traguardo e tu lo vedi raccogliere le, meritate, soddisfazioni e, solo tu, sai, in realtà, quanto hai aspettato e sperato che quel giorno arrivasse! Lo assapori piano piano, temendo quasi che sia solo un sogno, invece, che una bella realtà!
    Claudio al Festival? Un sogno, appunto. Ricordavi, esattamente, le altre due volte precedenti. Tu incollata davanti alla tv, per una manciata di minuti. Poi, la sorpresa della conduzione e la gioia dei risultati.
    Insomma quel 9 febbraio, andava tutto bene.
    La sera ci sarebbe stata la serata dei duetti ed io aspettavo, soprattutto, quelli di Claudio con gli ospiti.
    Poi la vita si è divisa, all’improvviso e senza preavviso, tra un prima ed un dopo. E niente è stato più lo stesso.
    Si perché mio figlio, 18 anni compiuti la domenica precedente, quella mattina non si voleva svegliare.
    E più lo chiamavo, più non apriva gli occhi!
    La corsa in ospedale. Il cuore ed il tempo sospesi. Il peso dell’adolescenza e di un animo troppo sensibile da reggere in equilibrio.
    La paura. Il dolore. Il vuoto. La speranza.
    Puri e netti. Senza aggettivi.
    Non potevo che imbottirmi di domande e di sensi di colpa e rimboccarmi le maniche per aiutarlo a risalire dal fondo.
    Una giornata lunga una vita. Che passava lentamente e in fretta.
    Non c’era spazio per Sanremo. Nessun duetto.
    Quando la situazione si è stabilizzata, sono scappata a casa per prendere qualcosa in vista della nottata in ospedale.
    La mia mente era offuscata dall’angoscia ma ricordo, come fosse ora la sensazione.
    La televisione accesa. Il duetto di Claudio con la Nannini. Amore bello. Forse la mia canzone preferita. O una tra le più care.
    In quel momento, non mi vergogno a dirlo, è stata un balsamo. Come inebetita ho lasciato che, ancora una volta, quell’alchimia di note, parole e voce mi entrasse dentro e facesse il suo lavoro. Ricordo solo che le lacrime trattenute hanno cominciato a scendere, inarrestabili.
    Ho sempre chiamato Claudio la mia medicina. E’stato compagno fedele di una vita. Praticamente, dall’inizio della sua carriera. Nei momenti belli e in quelli brutti c’è sempre stata la sua musica. A celebrare una gioia e a riempire un vuoto. Si dice così, spesso. Lo diciamo in tanti. Ma non si comprende mai, a fondo, che è davvero così. Il potere e la responsabilità che questo comporta. Sembra incredibile ed io stessa stento a crederlo ma, davvero, in alcuni momenti, nella nostra vita, quelle parole, quella musica e quella voce sono qualcosa di più. Sono vicine. Sono amiche. Sono lì per aiutarci. E lo fanno davvero. Come un placebo. Ma aiutano, come neanche le persone più care possono fare. Per strani meccanismi della mente o, meglio, dell’anima. Nel momento in cui ho avuto più paura , la musica di Claudio è stata consolatoria. La sua presenza. La coincidenza di trovarlo in video proprio quando serviva.
    L’indomani, la finale.
    La situazione pareva risolta e per tutto il giorno attendevamo le dimissioni ed il rientro a casa.
    Mentalmente, organizzavo la serata davanti alla tv ed il nostro consueto gruppo di ascolto familiare. La cena di Sanremo e la tovaglia a fiori. La normalità e la tradizione.
    Le ore passavano e non accadeva niente. La serata finale iniziava ed io ero ancora convinta che avrei soltanto perso l’inizio.
    A sorpresa, ci comunicavano la necessità di un ricovero. Un pugno allo stomaco. Una voragine aperta sull’inferno e spalancata sull’ignoto.
    Un saluto da dietro una porta socchiusa e lasciavo mio figlio, 18 anni compiuti la domenica precedente, ad affrontare, da solo, la notte più buia. E la prova più difficile. La ricostruzione di sé stesso.
    Ancora oggi mentre scrivo, tremo. Incapace di dominarmi ed accettarlo.
    Tornata a casa, i miei, mi piazzavano davanti alla televisione. Letteralmente, affidata a Claudio. La mia medicina, appunto.
    Non ricordo nulla di quella serata. Solo quello che poi, molto tempo dopo, ho cercato di recuperare on line.
    Ho ben chiaro, invece, il successo. Per me ovvio, naturale e meritato. Nulla di inspiegabile per un fan di Baglioni. Solo una conferma della sua arte.
    Dopo qualche settimana mio figlio è tornato a casa per rimanerci qualche giorno perché da lì a poco è ricominciato tutto. Un sonno troppo profondo, l’ospedale, il dolore e la speranza.
    E’ passato esattamente un anno.
    Le cose sono, senz’altro, migliorate ma la strada è ancora molto lunga.
    Il mio ragazzo è un ragazzo eccezionale e io so che vincerà. Ma la guerra è ancora lunga.
    E così quando è stato annunciato un Baglioni bis, ho esultato e temuto.
    Avrei avuto la possibilità di recuperare qualcosa che avevo perso e superare un qualcosa oppure riviverlo minuto per minuto.
    E così è stato è una settimana che non vivo. O meglio rivivo l’anno passato.
    Mi stordisco con il Festival per non pensare e temo la serata dei duetti e la finale. Temo di perderle o di viverle.
    Invece, no.
    Ieri sera mio figlio è uscito ed è andato a fare una cosa che gli piace. Ed io sono rimasta a casa a vedere Sanremo ed i duetti. Tutti. E il dopo festival, godendomi ogni singolo secondo.
    E non me ne importa niente se la coppia Favino-Hunziker funzionava meglio di quella Bisio-Raffaele.
    Se gli ascolti sono leggermente diminuiti. Se si montano polemiche inventate.
    Per me è stato un enorme successo.
    Il Dittatore è diventato un Dirottatore e ci ha condotto verso una musica nuova.
    Ha fatto un Festival di altissimo livello e non una trasmissione televisiva.
    Si è, di nuovo, messo in gioco con ironia, con signorilità e una smisurata professionalità.
    Ci ha regalato duetti (per me Baglioni & Friends, forever, please!) da pelle d’oca.
    Ha fatto quello che sa fare meglio. Il Mago che da meraviglie agli occhi dei presenti.
    Non so come andrà fra pochi minuti la finale.
    Per me andrà bene, comunque.
    Anzi no. Perché la sento arrivare quella malinconia vigliacca.
    Che ti assale subdola quando pensi che sta finendo.
    Che è sembrato naturale trovarlo lì, in primo piano, per tanti giorni. In diretta e in trasmissioni connesse.
    Ora sparirà a lungo, temo.
    Un Baglioni ter? Al momento mi pare difficile.
    Comunque sia e comunque vada.
    Io il mio Festival quest’anno l’ho visto. Tutto. Compresi i duetti e la finale.
    Anche mio figlio l’ha visto, a sprazzi. Ma ha apprezzato. Come tanti altri giovani.
    Il vuoto dello scorso anno, in questo caso, si è colmato. E ho buone speranze che anche gli altri vuoti si possano colmare.
    Grazie Claudio.
    Non saprai mai quanto puoi essere d’aiuto. Un incarico delicato il tuo, anche gravoso, direi.
    Scusami di averti attribuito questo ruolo
    Un caro vecchio amico che non saprà mai di esserlo ma che come un caro vecchio amico sa trovare le parole giuste quando servono e, nel tuo caso, anche…l’Armonia!

    P.S. MI SCUSO MA NON VORREI CHE FOSSE PUBBLICATO IL MIO NOME

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