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Claudio Baglioni: «Ora che non ho più paura»

Più che «direttore artistico del Festival», o «dittatore di Sanremo», come l’hanno chiamato per strada, lui qui si sente «il sagrestano»: che «apre la chiesa all’inizio, accende le candele, e poi la chiude quando tutti i fedeli sono andati via». Il cantante si racconta: dal Sessantotto al terrore, dall’amore al piano B. Con parole sue
Festival di Sanremo, edizione 68esima. Claudio Baglioni con l’abito del direttore artistico. «Le parole sono importanti», è il suo mantra a Villa Ormond, dove ha aperto la prima finestra sulla manifestazione prevista dal 6 al 10 gennaio su Raiuno. Ecco le sue.

LA PAURA
«Non ho dormito a lungo, prima di essere pronto ad accettare questo incarico. Per tre volte non lo sono stato. Avevo paura: di non essere all’altezza, di avere pochissimo tempo, di dovere affrontare qualcosa più grande di me come fa il cavallerizzo che pensa di dominare il cavallo, ma intanto ha le gambe arcuate, e quello gli ha modificato la postura.

Sanremo è un cavallo. Se ci sali sopra rischi di uscirne con le gambe disastrate o disarcionate».

SANREMO
«Per me è la chiusura di un cerchio. Nel 1969, quando ho fatto il mio primo tour internazionale non essendo forse ancora neanche nazionale, in Polonia portavamo un repertorio di canzoni popolari italiane. Quella che andava per la maggiore era: “Gobbo tu’ padre, Gobba tu madre, Gobba la figlia della sorella, era gobba pure quella, la famiglia dei Gobbon…”». Sette bis. Un successo che neanche quando facevamo Yesterday. Ne uscivamo piegati in due. In tutti i sensi. Ci presentavamo come i Sanremo Six».

PRESSIONI
«Se ne ho ricevute, nella scelta della rosa di cantanti? Le chiamerei piuttosto “sollecitazioni”. Ho ricevuto la telefonata anche di un vescovo, di un ex ministro. Di Papa Francesco? Non ancora. Forse arriverà per gli ospiti internazionali».

IL PIANO B
«Andrà tutto bene. Ma se invece dovesse andare male, ricordo a tutti che sono un architetto. Ma di quelli laureati seri, non al Cepu. Iscritto all’albo in tarda età dopo essere stato uno studente lavoratore. Quindi se a casa avete un bagnetto da spostare, io sono abilitato, e disposizione».

SERMONI
«Non mi è mai piaciuto travestirmi da qualcos’altro. Da uno che fa i discorsi, i pistolotti su come noi abbiamo capito tutto e gli altri niente. Si può parlare di amore, difficoltà di vivere in un posto, ansia, futuro, lavoro, sua assenza senza mettersi su un pulpito, ma con l’arte dell’incontro. Anche perché più insisti su certi temi, più la gente scappa. Meglio l’emozione».

LE DONNE
«Ce ne sono poche in gara? Bisogna fabbricarne un po’ di più. Non solo nella musica pop e rock. Nell’arte in genere».

IL DISTACCO
«Bisogna imparare meglio a volersi bene, ad amarsi come si ama qualcun altro. Lo racconta bene il brano di Ornella Vanoni, Bungaro, Pacifico: una ballad con atmosfera profonda sulla fine di un rapporto».

INVECCHIARE
«Il finir di carriera è fatto a tratti di insensatezza. Sai che hai trovato la tua strada nella vita. Io mi guardo indietro e mi ricordo bambino, a sei anni, abbracciare il terrore che avevo di essere trasparente al mondo. Alla fine sono diventato un personaggio pubblico, nel contempo attratto e inadeguato dentro questo ruolo».

LA MEMORIA
«La Fondazione Dalla ha ritrovato tra le carte di Lucio un suo testo scritto a mano, inedito. E io ho in Ron la persona che lo interpreterà. Mi piace vedere in questo una restituzione inattesa».

L’AMORE
«Muove tutto. Anche quando sembra che non parliamo di lui».

DITTATORI
«Mi ha fermato uno per strada e mi ha detto: “Complimenti, dittatore artistico di Sanremo”».

IL SESSANTOTTO
«Arrivo proprio in questa edizione, la numero 68. Il Sessantotto fu l’ultimo anno in cui tutto il mondo sognò che il futuro sarebbe potuto essere diverso, migliore. Fu un sogno ingenuo e utopistico. Il ’68 è curiosamente un numero guida. Il mio pass qui – coincidenza – non è il numero 1, come quelli che conservo di tutti i concerti. Ma ’68. Magari è un segnale. Ci attacchiamo a tutto».

PARACULO
«Il mio numero di cellulare è sempre lo stesso, da 15 anni. Questo significa che le insolenze me le becco tutte. E che stanotte, quando abbiamo annunciato i Big, io l’abbia passata a mandare messaggi a tutti gli altri fuori dai 20, quelli che non ce l’hanno fatta, con su scritto il mio “Mi dispiace”. Sarò stato anche paraculo, ma almeno me la sono cavata con me stesso, con le crisi di coscienza».

TUTTI DENTRO
«Nella gara che ci sarà, ho “eliminato il concetto di eliminazione”. Anche qui, l’ho fatto per evitarmi l’imbarazzo di dovere dire: “Ti ho voluto, convinto, ora vai in albergo e fai le valigie”. Non esiste in nessun concorso. E così, questo farà a meno di parole abusate oggi dal nostro vocabolario come “eliminato”, “umiliato”, “rottamato”, “asfaltato”, “spennacchiato”, etc. etc.».

I PAROLIERI
«Passano la legna buona al fuochista, che è l’interprete».

LA FATICA
«Le mie canzoni non sempre riescono a venire fuori come un tempo: è autunno per le arti popolari. E complesso produrre cose buone in questo momento storico».

ELIO E LE STORIE TESE
«Lessi un loro cartello. Diceva: “Ultimo concerto”. Li chiamai. “Dovete chiamarlo concerto d’addio. Se proprio dovete, venite a sciogliervi sul palco dell’Ariston».

IL SAGRESTANO
«Io invece no. Io sul palco ci andrò pochissimo. Ho un retaggio da chierichetto, da catechista. Qui chiedo di fare invece il sagrestano. Che accende le candele all’inizio, e poi chiude la chiesa quando tutti i fedeli sono andati via».

LAVINIA FARNESE per Vanity Fair

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

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