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Il ricordo di Claudio Baglioni per Pino Daniele

Il nostro canto venuto dal mare come l’amicizia

NOI DAL MARE – Claudio Baglioni

Immaginarsi lontani e scoprirsi vicini.
Sospettarsi diversi e trovarsi simili.
Temersi dissonanti e, invece, sentirsi accordati.
Tra noi era andata così.

Parlavamo due dialetti differenti della stessa lingua, e dialogare e comprendersi era venuto naturale.

Come se ci fossimo sempre conosciuti, come fossimo cresciuti insieme, come se avessimo sempre condiviso e continuassimo a condividere lo stesso sogno.

E, in fondo, era proprio così.

Il sogno era quello.

Partito più o meno nello stesso  modo, ci aveva trascinati via, come il puledro imbizzarrito di un rodeo, travolgendo i ragazzi che eravamo stati – e che, per certi versi, non avevamo mai smesso di essere – e, chissà?, forse accompagnando anche i sogni di altri ragazzi come noi, magari lasciando loro un sacchetto di note e parole, da tirar fuori in quei momenti nei quali si ha voglia di «restare» ma non di «essere» soli.

Questa, almeno era la tua ambizione.

E anche la mia.

Non riesco a non pensare a quel pomeriggio d’estate, a Lampedusa, alla fine di una delle tue partecipazioni a «’O scia’». Eri venuto, ti era piaciuto – «Si fa musica come una volta» – avevi detto, annuendo come chi ritrova qualcosa che non ha mai dimenticato – ed eri tornato.

Sedevamo uno di fronte all’altro, sul bordo del terrazzo. Attorno, la vita, con gli affanni di sempre, quelli dai quali sembra non riuscire a liberarsi mai; davanti a noi, spalancato come l’Infinito ai piedi del colle di Recanati, il mare.

Quel mare che, sia per te che per me, aveva il potere di scacciare quegli affanni, infondere serenità e trasmettere la certezza che, se lo avessimo seguito, non ci avrebbe delusi.

Restammo a parlare, più tu che io, soli soli, non so quanto.

Qualcuno ci scattò una foto.

Una foto bellissima dalla quale non mi separo mai.

Al mare tu ci eri nato.

E in un certo senso anch’io, dal momento che era al mare che i miei avevano cominciato a dare forma a me.

E quel mare era lo stesso. Raccontavi. Con un filo di voce soffiata, che sapeva di risacca sulla battigia. E come la risacca, portava storie lontane, che avevano fatto il giro del mondo, toccato mille porti, e ora tornavano per raccontare quello che avevano visto.

Sapevano che tu avresti saputo cosa fare delle loro storie.

Qualche tempo dopo, a Roma, la foto mi era tornata tra le mani.

All’improvviso. Senza un motivo apparente. In quello strano modo con il quale la vita cerca di dirci qualcosa, di metterci sull’avviso. La guardavo. Sorridevo senza capire. Nell’aria risuonava la risacca della tua voce.

Non sapevo ancora nulla, ma ricordo che, a poco a poco, mi avvolse una misteriosa malinconia, una tristezza nuova, sconosciuta.

Avevo una chitarra tra le mani e, soprappensiero e quasi senza rendermene conto, mi ero ritrovato a suonare e poi a canticchiare «Io dal mare», immaginando – nel lunghissimo finale che ti aveva avuto come protagonista – i tuoi fraseggi di corde e i tuoi voli di voce senza testo.

Quegli stessi voli con i quali la voce dei grandi chitarristi insegna alle loro mani cosa dire. Tu non c’eri. Ma era come se fossi lì con me a ricordare il pezzo, a ripassarlo per la prossima occasione nella quale l’avremmo suonato insieme.

L’avevamo registrato venticinque anni prima e tu – che non eri stato bene – l’avevi voluto fare lo stesso. «Ci ho messo tutto il cuore», mi avevi detto sorridendo. Ci avevamo scherzato su per tutta la cena al ristorante, ricordi?

Quella sera, un quarto di secolo dopo, mentre strimpellavo, ignaro, «Io dal mare» davanti alla foto di noi due sulla terrazza di Lampedusa, il tuo cuore si era fermato. La tua voce, invece, non si è fermata mai. Né le note calde della tua chitarra; il blues, lo swing, l’armonia profonda, le canzoni belle. Anzi, bellissime. Non la tua passione, la sincerità come melodia di vita, l’amicizia vera, diretta, brusca a volte, quasi antica. Amicizia di altri tempi, tempi nei quali non si aveva paura della verità.

Anzi. Tutto questo è qui.

E se tu fossi qui ti accorgeresti che le mie non sono frasi di circostanza, ma che chi ti ha conosciuto e ti ha amato, non ha smesso di amarti. E anzi, ha cominciato ad amarti anche chi non ti aveva ancora conosciuto.

E più ti sentiamo qui, più ci manchi.

Mancano la tua voce, il tuo sguardo, la tua anima, il tuo cuore.

Ma a me mancano, soprattutto, le tue parole.

Vorrei fossimo ancora lì su quella terrazza, a conversare insieme. Perché so che, oltre alla musica che non muore mai, abbiamo ancora bisogno di dirci parole.

Quelle che restano per sempre lì, come un segreto da spartire. E che nessun silenzio è in grado di dire.

Perché nessun silenzio è come la tua voce.

Nessun silenzio sa della risacca del mare.

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

5 Commenti

  1. Oddio che bravura hai ad esprimere i sentimenti…..le lacrime escono dagli occhi come se io ero li con voi….BELLISSIME sensazioni sai sempre creare per questo ti stimo e ti adoro da sempre PINO ERA UNA PERSONA BELLISSIMA COME TE DENTRO E FUORI…… CI MANCHERÀ TANTO

  2. Emozione e sentimento…
    in un ricordo e in un pensiero…
    dal mare e dall’anima…
    tu e Pino…
    l’oltre e l’infinito…
    una voce di risacca custode di segreti e tende di merletto chiuse su farine…
    e nel silenzio di una lacrima, solo la musica e una sola parola…
    Immenso!

  3. nel 79 ricordo un concerto di pino daniele in riva al mare di livorno. . io son pazzo cantava con la sua voce inconfondibile uno strumento come il mare in sottofondo. . nel mio cuore solo claudio. . baglioni quel cuore pazzo l ha portato via fisicamente e come il mare continua ad infrangersi a riva e lentamente torna indietro cosi sara la tua musica e claudio il portavoce per stasera. . ciao pino. . dimmi quando quando. . un capolavoro

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