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Articolo Baglioni per Croce Rossa

SIAMO LIETI DI OSPITARE, IN QUESTO NUMERO DI 150+ UN PEZZO SCRITTO APPOSTA PER NOI DA CLAUDIO BAGLIONI, CANTAUTORE FRA I PIÙ AMATI, DA TEMPO IMPEGNATO IN CAMPO UMANITARIO E PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE O’SCIÀ, ORGANIZZAZIONE CHE SOSTIENE IL DIALOGO INTERCULTURALE.

Volontariato: seme del presente, radice del futuro

di CLAUDIO BAGLIONI

È un pronome possessivo e si espande ovunque come un gas. Un gas velenoso, che inquina aria e pensieri e, prima o poi, soffoca. È la parola “mio”. Fateci caso: ogni cosa è sempre e solo “mia”. La mia vita, la mia casa, la mia famiglia; mia moglie, i miei figli, i miei amici. E, naturalmente, i miei soldi, i miei beni, le mie cose. Tutto è “mio”. Un atteggiamento che spesso si traduce nella stessa ossessione che travolge Mazzarò – il protagonista de “La roba” di Verga – che, quando scopre di dover morire (fatto né insolito, né inaspettato per noi esseri umani), essendo incapace di separarsi dei beni e delle ricchezze che l’avidità gli ha fatto accumulare, comincia ad andare in giro ad ammazzare a legnate anatre e tacchini, gridando “Roba, vieni via con me!”

Intendiamoci: possedere è legittimo. Avere tanto non è di per sé una colpa e tenere alle proprie cose è giusto e saggio, perché significa conoscerne e rispettarne il valore. Ma quando la parola “mio” si trasforma in un muro invalicabile, che ci impedisce di pensare, vedere ed accogliere l’altro e, soprattutto, di riconoscere a lui quegli stessi diritti che, per noi, consideriamo indispensabili e inalienabili, allora c’è qualcosa che non va, perché quel pronome è diventato un idolo e noi i suoi idolatri. E la storia dimostra che servire un idolo – questo è il senso della parola – non è mai una scelta illuminata.

In quel momento, la mia terra, la mia lingua, le mie tradizioni, la mia storia, la mia fede e persino il mio lavoro smettono di essere “valori” alti e nobili e diventano “armi” infide e mortali, in nome delle quali e con le quali combattere l’altro, che non è più uno come me, ma un ingombro, una minaccia, un nemico.

Un impedimento, un ostacolo da eliminare.

Ha ragione Erri de Luca quando scrive che “Il nostro mondo poggia sulle spalle dell’altro”, aggiungendo che “spalle di sconosciuti reggono il nostro peso, obeso in sproporzione di ricchezze”. Ma è un problema che non riguarda unicamente gli squilibri, drammatici, tra Nord e Sud del pianeta. Riguarda tutti noi. Ogni giorno ogni volta che ci relazioniamo con gli altri. Troppo spesso l’altro è sud; un sud che il nord del nostro io vuole condizionare, prevaricare, sottomettere.

E, se potesse, addirittura annientare. Non serve citare esempi alti, basta pensare alle liti nel traffico, alla fila alla posta o in un ufficio pubblico, alle rivalità da stadio o da campanile. È la natura, si dice. Vero. Ma non tutto ciò che è naturale è anche bello o giusto. Mille sono le ingiustizie perpetrate dalla natura. Madre, ma spesso anche matrigna. Provate un po’ a chiedere cosa ne pensa il “pesce piccolo”! Spetta alla cultura compensare, ridurre e chissà forse un giorno eliminare gli squilibri, le distorsioni e gli errori della natura.

Il volontariato è esattamente questo, una grande forza riequilibratrice.

Una delle più grandi: la cultura dell’altro. Il tentativo di rimettere in equilibrio l’asse del nostro rapporto con lui – sia esso vicino (familiare, amico, collega di lavoro, ecc.), sia esso lontano (povero, malato, solo, straniero…) – compiuto da chi sa che non solo la vita è una strada quasi impossibile da affrontare da soli, ma che è infinitamente più bella da percorrere insieme. Perché, dunque, non provare a viverla da compagni di viaggio, facendo riflettere sul fatto che, se anche se il finale è già scritto, vale sempre la pena viaggiare.

“Volontariato” è una parola fondamentale per questo tempo e per quello che verrà, perché mette in gioco un elemento senza il quale è impossibile operare e diffondere la cultura dell’altro: la volontà.

Se è la coscienza, infatti, che ci fa capire che l’io è importante ma più importante ancora è il noi, è la volontà che fa in modo che quel noi, tolga il veleno a quel gas e lo renda alito di vita e vento in grado di sospingere la vela dell’umanità verso nuove conquiste.

Questi dieci anni di musica e incontri a Lampedusa nel segno di O’scia’ (che significa, appunto, “fiato mio”, “mio respiro”), come pure la straordinaria giornata di Italia Loves Emilia ci hanno fatto capire che il prossimo non è soltanto l’altra persona, è quello che avverrà, è il futuro. È la chiave dell’esistenza di ciascuno di noi, ma, soprattutto, quella di una società che vuole vivere e non solo sopravvivere.

Non si scrive una bella canzone con una sola nota, né una poesia con un’unica lettera. L’altro è colui che porta in sé e con sé note e lettere fondamentali per la ricchezza del nostro pensiero e della nostra lingua comuni e chiunque metta in gioco se stesso, il proprio tempo e i propri talenti per aiutarlo ad avere fiato e voce dà spazio e dignità alla sua vita e aggiunge senso e valore alla nostra.

Grazie a DANA CIELO MATTO per la segnalazione

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

Un Commento

  1. …ho letto e riletto …e se pure mi trovi quasi sempre d’accordo con Claudio, in questo caso e su questo tema così delicato…le mie riflessioni mi hanno portata altrove. Che non è altrove “diverso” da quello di Claudio…Sono infatti fermamente convinta che il “noi” debba essere più importante dell’ “io”…Però mi sono messa nella posizione scomoda (complicata forse) di chi non sempre può! La vita di tutti i giorni non ci consente di avere tempo per noi, da dedicare ai nostri svaghi (e parlo in primo luogo per me che per poter portare a compimento un mio desiderio devo faticare e programmare e modificare piani …così a lungo…) figuriamoci per fare volontariato. E allora mi convinco sempre più di quanto sia vero che a volte anche un semplice gesto nei confronti di chi ci/mi sta vicino possa aiutare. Oggigiorno soprattutto ove la “cultuta dell’altro” (uso i termini in senso lato…) pare spesso sia andata perduta, ove “non si conosce più il valore di niente”, anche un piccolo gesto di amicizia mi pare un prodigio…
    Aggiungo solamente che nel P.O.F. (progetto offerta formativa) della “mia “ scuola esiste da tempo il progetto volontariato e che i ragazzi in genere aderiscono. E se si vuole pensare “in futuro e per il futuro” questo credo sia di buon auspicio

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