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Baglioni e le chicche nascoste

04 Luglio 2013 Claudio Baglioni Famiglia Cristiana a Abbiamo notato delle differenze tra l’intervista di Famiglia Cristiana in forma testuale e quella audio pubblicata sul sito CON VOI. La nostra redazione ha voluto trascrivere tutto quello detto da Claudio Baglioni in quei lunghi minuti.

Tante “chicche” e anticipazioni che forse a qualcuno sono sfuggite.

Audio Intervista:

TRASCRIZIONE INTEGRALE:

D.: Se non ricordo male, da Fazio hai detto che la scomparsa di tua mamma ha giocato un ruolo importante in questo tuo progetto. Perché?

R.: Perché da una parte è stato il motivo per il quale io non avrei più continuato. Mia mamma è morta poco tempo fa, a 94 anni. Ha vissuto tanto, io ce l’ho avuta tanto.

D.: Come si chiamava?

R.: Silvia. Mio padre era morto dieci anni prima però con la morte di mia madre ho avuto la sensazione che la mia famiglia fosse completata, fosse finita, nel senso che comunque eravamo tre. Infatti mi è venuto da pensare che ci sono due date veramente diverse da tutte le altre nella vita di ciascuno di noi: la data della tua nascita e la data della morte di tua madre. E non di tuo padre perché in questo senso ci sono delle piccole diversità. Tante altre volte ho avuto questi pensieri ma senza grande tragicità. Penso che questo mestiere in special modo, non possa durare, non possiamo farlo durare. O lo vivi veramente se no è una pena cercare di portarlo avanti anche quando non ti va più di stare in mezzo alle persone. C’è il momento del rifiuto delle persone. A volte uno si butta dentro, bacia, vi voglio bene, god bless you, si dicono delle cose. Per fare questo mestiere tu devi volere bene alle persone, anche a quelle che non ti vogliono bene perché tu non ti puoi scegliere il pubblico e se tu cominci ad avere il terrore delle persone o il disgusto delle persone, che può anche capitare, perché quando ti butti in mezzo a tanta gente, è la gente, non è più le persone, una, una. Allora tante volte si pensa: adesso ho fatto il meglio di quello che potevo fare, tanto se no dovrò sempre confrontarmi con il passato ed il passato vince sempre per un artista, per un romanziere perché quello che ha fatto sarà sempre di più di quello che potrà ancora fare. Allora con questo accadimento anche della morte di mia madre, che chiaramente mi ha scosso molto dal punto di vista sentimentale, io ho detto: beh, allora forse si chiude, non vado nemmeno ad annunciarlo. Da Fazio dissi: non sono qui per annunciare il mio ritiro perché ogni tanto si va ad annunciare il proprio ritiro come se fosse fondamentale per la storia del mondo. Cioè, uno si ritira e basta. Ho detto: voglio annunciare che non mi ritiro. Però dall’altra, è stata la molla perché ho riconsiderato veramente l’esistenza di mio padre e di mia madre, che partono da una campagna umbra. Mia madre aveva un podere di agricoltori, allevatori, che stavano benino; mio padre, una famiglia poverissima. Mangiavano carne due volte l’anno, lui quando era bambino e questo fatto di avere affrontato proprio l’esistenza. Mio padre credo che mi abbia dato proprio degli insegnamenti senza saperlo perché aveva potuto studiare poco, ha studiato tutta la vita. La casa era piena di libri perché lui leggeva col desiderio del riscatto, del sapere e mia madre pure insomma, con una grinta. Mia madre, un carattere, insomma che se si potesse veramente ereditare anche il carattere, per quello che occorre…Quello mi ha dato veramente, una cosa ho detto: fosse anche l’ultima missione bisogna avere la voglia. Quindi adesso con alti e bassi, mi trovo in un progetto che ho l’entusiasmo dell’inizio e la disperazione…

D.: Spiegami meglio questo concetto.

R.: Perché comunque il lavoro della creatività è un lavoro che in certi momenti ti pone delle lacerazioni perché sembra che uno debba veramente partorire qualcosa che prima non esisteva e che deve essere fulminante, che deve essere sublime, che deve essere… C’è bisogno di sopravvalutarsi per essere creativi, c’è bisogno di sentirsi il sacerdote del tempio, di stare la notte alzato. Perché? Perché gli altri stanno tutti a dormire e tu sei la sentinella, quello che creerà come il fornaio il pane nuovo, il pane fresco e la mattina tutti potranno mangiarlo. C’è bisogno di darsi una favola e non la realtà perché la creatività parte come un’idea fantastica. Allora la disperazione è una gamma della fantasia, dell’immaginazione perché bisogna raschiare il fondo, perché bisogna commuoversi, bisogna dare un pugno al pianoforte perché non ti viene una cosa, mangiarsi i fogli. Bisogna farli anche a volte fisicamente. Ti capita di farle e non lo so perché uno ha visto troppi film, ha letto tante biografie degli artisti famosi. La disperazione è dietro la creatività ed è fatta per essere superata. La disperazione è una fase del sollevarsi dal tavolo e dire: dove non c’era niente prima, c’è qualcosa.

D.: Quindi, la disperazione intesa come difficoltà?

R.: Come difficoltà, sì. Come di non farcela, di non farcela mai. Come di arrivare sempre in cima alla montagna ma tanto non ce la farò.

D.: La famosa ansia del foglio bianco.

R.: Esatto. In questi dieci anni, io ho rimandato continuamente quello che doveva essere diciamo il vero non nuovo album, ma album nuovo, nel senso che avesse delle novità consistenti e non fosse solo altre dieci canzoni rispetto alle 350 scritte. C’è differenza tra nuovo ed inedito, tantissimo. Inedito è una cosa che è l’ultima cosa che hai fatto, che non si è ancora ascoltata, non è stata pubblicata. La cosa nuova ha un altro valore. Per uno che ha fatto tanto perché poi non è che sono stato mono genere, comunque ho svincolato un po di qua, un po di là. Ad un certo punto tu hai un pò la paura ed anche la sensazione di aver fatto tutto, tutto quello che puoi, no tutto quello che si può. Sta lì, bivacchi, aggiungi, fai la parodia di te stesso, cerchi di assomigliare a quello che eri in un mondo che poi rischi anche di farti sentire un pò… cioè c’è il problema di essere vecchio, giovane, insomma. In questi dieci anni io che cosa ho privilegiato invece? L’idea di essere musicista e cantante, non solo autore di canzoni e che io potevo trovare novità anche nel fatto di non scrivere una mia canzone ma andare a cercare canzoni di altri e cercare in quelle di mettere la mia novità. Addirittura di fare un’operazione quasi suicida, di riprendere un disco di grandissimo successo che era stato Questo Piccolo Grande Amore e di volere estenderlo, farlo ritrovare degli appunti, fare un remake da me stesso. Però sono state operazioni ed esperienze utilissime. Io anche in Q.P.G.A., abbiamo lavorato con questo team di lavoro, con altri 69 artisti che vengono a fare questa festicciola quasi di compleanno. Però secondo me, li facciamo della musica, cioè non è che facciamo: dall’ultimo disco di… Si cerca di violare quelle regolette ed anche il nostro ambiente, il nostro mondo culturale, spettacolare, canzonettistico, con qualcosa che non sia la liturgia, il luogo comune a tutti i costi. Oggi ci sono le cose nuove. A me sembrano più che nuove canzoni, sembrano canzoni nuove.

D.: L’idea di fondo di questo progetto, se non ho capito male, è di ridurre il più possibile il tempo che va dalla composizione del brano alla sua pubblicazione. Perché?

R.: E’ anche questo, sì. Allora io ho sempre sofferto, non solo io – l’ho scoperto anche in altri miei colleghi – che noi non vorremmo finire il lavoro mai perché noi vorremmo essere infiniti, una cosa finita è definita. Io ho l’ansia, l’ho detto, che l’incisione (prima si diceva incisione dei dischi perché venivano in effetti incisi), che eravamo come quelli che fanno le lapidi, cioè una cosa scolpita nel tempo. Questa cosa fa soffrire tutti quanti, tant’è quando andiamo ad ascoltare gli artisti dal vivo, loro continuano a trasformare un po i pezzi. Addirittura certe volte usiamo violentarli ma perché? Perché non possiamo essere costretti in quella fotografia. E’ come avere sulla patente la foto tua di 40 anni prima e tu non sei più quella persona. Allora, in questo caso dall’avvento della musica registrata, noi siamo stati fortunati perché abbiamo potuto far conoscere tutta la nostra opera e non dovevamo andare casa per casa come farò dopo che ti canticchierò all’orecchio il pezzo (ride, n.d.r.), ma andava una copia di noi stessi. Però quella è una lapide, è scolpita nel tempo, sa anche un po di mortuario, sa anche un po di questo. Allora, il fatto di poter arrivare fino all’ultimo momento, di cogliere anche l’ultima sensazione, l’ultimo ritratto perché venga conosciuta, innanzitutto mi da idea di freschezza cioè non è raffermo, non è una cosa che sta in busta da tanto tempo ma arriva sul piatto molto in fretta. L’altro aspetto è di presentare alle persone non un’opera nel suo insieme, visto che non ha un’unita di senso. Io lo farei se avessi scritto di nuovo una storia come piccolo grande amore o come altre cose che ho fatto, però la maggior parte dei dischi sono raccolte di canzoni. Quindi noi le mettiamo insieme e li facciamo uscire ma potremmo benissimo isolarle una dall’altra, tant’è che il pubblico lo fa sempre di più. Non c’è più il concetto dell’album, del primo singolo, del terzo singolo o nel tuo computer, nell’Ipod c’hai un pezzo in mezzo ad altri sei mila di altri artisti, quindi c’è una grande frammentazione. Un po questo e poi poter lavorare dando valore e luce e rispetto ad ogni brano. Le canzoni è vero sono canzonette però nei loro tre minuti di durata, dodici minuti di durata, hanno un mondo, devono avere la potenza di un’opera lirica di tre ore. E’ vero che le dimensioni sono enormemente diverse però io penso che proponendo anche in questo modo, chi vuole farlo, chi vuole anche acquisire un po di tempo e non prendere un disco e poi buttarlo dopo un mese e mezzo chissà in mezzo a quale altre cose, abbia la possibilità anche di avere un appuntamento, cioè di appropriarsi anche di questo tempo dell’emozione, del godimento, per il quale se no noi bruciamo tutto. E’ sempre tutto passato.

D.: Parlavamo dell’ansia da foglio bianco, tu ti sei dato delle working progress con delle scadenze ben precise?

R.: No, non c’è un piano. Allora, l’appuntamento è del martedì perché il negozio digitale ha questa sorta di abitudine ed il martedì escono. Fino ad oggi c’è stata una cadenza di un pezzo ogni quindici ma siamo ancora a tre pezzi.

D.: Però, potrebbe non essere così?

R.: No, no, potrebbe non essere così.

D.: Nel senso che tu, è anche per quello che fai avanti – indietro da Roma e Milano, quando ti senti pronto per una nuova canzone, vieni e la registri.

R.: Sì. Allora, io per due, tre anni passati io ho accumulato annotazioni, appunti. Tant’è che ad un certo punto sono stato persino spaventato dalla mole. Ho un librone di fogli di pentagramma così che conterrà 1500, 1600 spunti, anche brevi, che è una cosa con la quale potresti fare 150 canzoni. Questo non succederà mai, quindi lo dico, nessuno deve temere (ride). In fondo twitter secondo me è l’esemplificazione di quello che gli autori dei testi di canzoni ma probabilmente anche dei romanzieri, fanno da una vita. Si appuntano 15 righe, 12 parole e poi ogni tanto lo vanno a rivisitare, riprendono quell’idea, l’amalgamano con qualcos’altro. Poi certe cose sembrano moderne ma sono sempre state fatte e nuovo solo il sistema attraverso il quale vengono diffuse. Quindi, io insieme a Paolo Gianolio, erano mesi che pensavamo ad un progetto che dal punto di vista musicale dovesse avere un certo tipo di suono, come se fosse registrato all’aperto perché noi pensiamo comunque che queste siano delle tappe come di una carovana ed in fondo le canzoni sono come una città dopo l’altra, è come un percorso: è partire da Con Voi per arrivare a Dieci Dita. Sono dei posti, dei luoghi, non sono solo delle canzoni.

D.: Con Voi in inglese…

R.: Con voi significa convoglio. Sono prefigurazioni. L’ambizione è quella di dire: siamo partiti da un posto per andare come facevano le carovane. Non è detto che andassero per certo, andavano in una direzione ma non sapevano inanzitutto bene cosa avrebbero trovato e forse non sarebbero andate neanche li esattamente ma ad un certo punto avrebbero deviato e sarebbero andate da un’altra parte. Quindi la cadenza ce la danno alcune regole che bisogna rivoluzionare il mondo, quindi: il negozio digitale ti chiede il martedì di uscire e noi consegniamo pochissimo prima. Proprio il tempo tecnico che venga messo nel sistema.

D.: Però, per dire potrebbe accadere che in un mese ci siano tre canzoni, come in un mese non ce ne sia neanche una.

R.: Sì. Questo per fortuna, non avendo fatto il patto con gli italiani, il contratto con gli italiani (ride). Sì, può accadere benissimo.

D.: Senti ma, questo tuo lavoro è ancora come nel passato cioè che ti è più difficile scrivere il testo delle musiche?

R.: Enormemente sì. Purtroppo c’è sempre stato. Io forse all’inizio non me ne accorgevo perché era tale l’entusiasmo. A 18 anni scrivevo una, anche due canzoni al giorno, ma come venivano. E poi è sempre più difficile un pò perché vorresti scrivere sempre meglio, oppure quello l’hai già scritto e poi perché si riduce comunque, cioè la creatività, il bagaglio che uno ha del racconto non è una miniera inesauribile. E’ quantificabile, poi chi riesce ad esprimerla tutta o ad averne di più. Però io sono schizzofrenico purtroppo. Mentre la musica è un godimento, la musica è aria, è metafisica, non lo so. Tu combatti grosso modo specie se devi cantarla, con dodici note, quattordici note. In italiano ci saranno trecento mila parole; le parole sono materia, mentre la musica è aria. Credo che l’arte della canzone o di tutta la musica che viene anche cantata, sia più difficile della sola grande musica suonata proprio perché deve mettere insieme due ingredienti molto diversi: uno va in una direzione, uno in un’altra. Poi ci sono dei fatti tecnici: l’italiano è una lingua bella da parlare però è molto larga, molto lunga, ha poche parole tronche, la musica invece tende ad avere un appuntamento spesso con una frase più breve. Però, io ce l’ho e quando me ne libero? Quando comincio a voler di nuovo bene alle parole, allora sto pure durante la notte. Mi parli ed io cerco di analizzare la parola per quello che è ed è un incubo, per cui dovrà finire. Qualsiasi cosa succeda, stai cercando di impiegarla per il tuo lavoro perché le parole veramente in questo senso non finiscono mai. Però ce l’ho sempre avuta tant’è che qualche volta ho anche desiderato di chiedere a qualcuno, ad un poeta, ad un romanziere che usa la parola, di farlo al posto mio, tranne poi considerare che è moralmente molto difficile. Ho visto anche degli esempi in altri paesi, poeti francesi, poeti inglesi che si sono prestati a scrivere canzoni e non sempre sono così bravi perché è un’arte a parte quella anche di scrivere le parole. Le parole devono suonare; noi spesso leggiamo i testi delle canzoni ma è un divertimento a parte, quelle le devi cantare, è diverso.

D.: Nel tuo percorso come autore di testi, c’è una prima fase delle canzoni più semplici che poi non è vero perché ci sono testi come: Quante volte, Poster che sono tutt’altro che semplici. Poi hai cercato sempre più di complicarti la vita fino ad arrivare ad Oltre che forse è l’apoteosi. E adesso mi sembra, ho sentito solo tre canzoni, che non sei tornato, tanto per intenderci, a “passerotto non andare via”, però non sei neanche più al livello di…

R.: Ho dischi ancora più complicati, ad esempio il Viaggiatore, quasi iper filosofico, molto bui. Questo me lo son dato di nuovo. Allora Questo Piccolo Grande Amore doveva essere il mio ultimo disco, curiosamente il primo disco di successo però per me mentre lo facevo era il mio ultimo disco perché nei quattro, cinque anni precedenti avevo fatto altre cose, ma non c’era verso di bucare verso il pubblico, quindi di andare bene. Allora, io scrivevo prima di Questo Piccolo Grande Amore bene altri testi, un po alla maniera di quelli che poi sarebbero stati cantautori impegnati, testi con la parola difficile, l’esistenzialismo. Poi mi sono accorto durante la notte che devi comunicare con le persone. Ora non è detto che comunichi con le cose semplici o con le cose complicate, non lo sai mai. A volte comunichi con delle cose complesse però devi trovare un linguaggio che passi dall’altra parte, che sia emotivo, emozionale. Questo piccolo grande amore è fatto appunto di testi che saltano, che hanno la parola vivace ed io mi sto riponendo un po in quella ottica li. Al di là della bellezza, della frase nella quale uno si pavoneggia ed io l’ho fatto molte volte nel passato. Dicevo: che bella frase! Uno che si riguarda da solo il tratto, però la cosa importante che abbia vita e quella parola suoni un pò come quando senti una bella cosa di chitarra, come un bell’accordo di pianoforte ed allora è quello che mi sta portando avanti. Sì, dire una cosa magari vera, sincera o bella. Magari una bella domanda però dirla in un modo in cui salti subito, che voleva dire, che cosa avrà potuto significare.

D.: Il progetto si chiama Con Voi. Il pubblico da un punto di vista tuo creativo, che ruolo ha?

R.: Adesso ha un ruolo di compagno ritrovato, di persone – sai come quando si fanno i reclutamenti, abbiamo bisogno di fare una battaglia. Chi si vuole arruolare? – E’ un pò un arruolamento, non c’è ancora una empatia, una cosa per mettersi insieme. Però, con questa tecnica per la quale io scrivo e completo volta per volta, oppure dico: no questa non va più bene, noi facciamo delle valutazioni sul mese, sulla temperatura, cose che non si fanno mai. Cioè quando fai un disco, un disco esce. Possiamo uscire a settembre? No, non è pronto. Allora usciamo a maggio, indipendentemente da cosa stai raccontando. La cosa bella è che tu adesso fai uscire delle canzoni e dici: secondo te questa può uscire ad agosto? Ci sono dei presupposti che uno non aveva mai considerato. Il pubblico che cosa è? Col fatto che adesso con i social media tu puoi comunque vivere in tempo reale il bello e purtroppo anche il brutto che c’è, però ti accorgi che ci sono delle percezioni su quello che hai scritto che stanno andando in una certa direzione, piuttosto che in un’altra. Uno ne tiene conto e no perché si faccia scrivere le cose dagli altri o si faccia così condizionare, però ne tiene conto. Ti accorgi se stai in effetti comunicando o se solamente sei chiuso in studio. Io quando ho presentato il progetto ho detto mille volte abbiamo fatto tutta questa strada insieme, le mie canzoni con voi. Ma la verità è che io le mie canzoni le ho scritte sempre in assenza degli altri, le ho registrate in assenza degli altri. Al massimo c’erano una o due persone che seguivano il progetto, che per pudore non le faccio ascoltare neanche prima che non siano abbozzate neanche ai più stretti collaboratori. Quindi ho mentito a me stesso quando ho detto questo. Adesso voglio provare a vedere se la quasi contemporaneità è in grado di darmi delle suggestioni diverse. Abbiamo aperto un po anche per ragionare intorno ai temi, una sorta di blog, di graffiti, con i quali quella canzone vi parlava anche dell’onestà o altro. Vedere anche le persone cosa dicono anche perché io trovo che gli altri media parlino sempre di quattro, cinque cose. La sensazione di crisi non è solo economica, se mai la crisi è dei discorsi. Non si fa altro che parlare sempre delle stesse cose dalla mattina alla sera ma non ci sono visioni. Ieri ho scritto una cosa ed ho detto: secondo me il politico, comunque il dirigente mediocre è quello che continua a dirti come stanno le cose, lui ti deve dire come saranno le cose. Sta li per questo. Io trovo che la miseria nostra e la sensazione certe volte che vuoi sfuggire a tutto è che parliamo sempre di Berlusconi, ma poi talal’altro neanche in maniera approfondita. Alcuni argomenti sono completamente scomparsi. Ci sono milioni di argomenti nella vita.

D.:Facciamo così che, attraverso questo tuo dialogo con il pubblico, come dici: non è che il pubblico ti deve scrivere le canzoni però…

R.: No però paradossalmente potrebbe esserci anche un giorno in cui io forse ruberò una cosa. Se arriva una frase, ma lo dirò esplicitamente, che è bella, che sta li, dirò questa mi è arrivata. Come forse ho rubato in altre occasioni, come tanti di noi. Alcuni apertamente hanno plagiato, altri si sono ispirati, hanno citato opere che già esistevano, i grandi scrittori di musica dell’800, lo facevano nel ‘700. Ci sono casi incredibili in cui persino i grandissimi orecchiavano. E’ questo però, farlo insieme, farlo insieme al tempo e al tempo delle persone. Questa è una diversità.

D.: Queste cose che stai dicendo, come si legono con due cose che dici: “la canzone più bella è quella che ho suonato meno, mi piace perché ho cambiato sempre la melodia”, ma questo me lo hai già spiegato, in realtà. E poi: “questo è il tempo di guardare con ingenuità, di tornare piccoli”.

R.: L’ingenuità è la luce degli occhi. L’ingenuità è avere gli occhi per  guardare le cose. Le cose sono nuove, le cose sono diverse se noi abbiamo gli occhi ed una novità dentro gli occhi. Un pò per il fatto che dicevo prima, di delegare sempre ad altri, di lamentarsi della conduzione degli altri ma poi dargli comunque sempre la responsabilità di risolvere il tuo problema, il tuo caso. L’ingenuità è la freschezza del primo sguardo, è anche un pò la stupidità; è fondamentale, è togliere via la sovrastruttura e la pigrizia. Noi siamo tal’altro, specialmente forse noi italiani, stiamo vivendo un’epoca spaventosa di indolenza. Questo non è un paese per giovani di ogni età, tutti vecchi tra l’altro. Ma pure a 12 anni, non c’è più un pensiero giovane, non c’è una cosa che dica: andiamo! Tutti stanno aspettando che qualcuno faccia qualcosa ma nessuno sa che, c’è una demoralizzazione generale. L’ingenuità è quello e la semplicità è lo stesso aspetto. La semplicità è una ricerca, non è la facilità della cosa ma la semplicità è ridurre all’osso le cose e cercarne il gusto, il significato reale. E quello pure, non ce lo abbiamo. La semplicità è un’arte sopraffina, è la fine di un percorso la semplicità. Trovo che molte delle esperienze siano fatte oramai, anche nel mio settore, mettiamo insieme un po di quello, mettiamo insieme un pò quell’altro, si fanno trasmissioni televisive dove tanto basta che ci sia un po di comicità. Un’altra cosa che non mi piace molto: ci sono mille trasmissioni in Italia di approfondimento politico – economico, sono usciti fuori negli ultimi 12 anni un milione e mezzo di economisti che prima nessuno sapeva neanche che esistessero. Mettiamo insieme: il problema, la durezza del momento e poi un comico che ci fa ridere sopra.
Li secondo me non riusciamo più ad avere la semplicità della cosa; la semplicità significa quella cosa e non quella e tante altre cose. Secondo me la semplicità è capire essenzialmente che cos’è un fatto e cercare di risolvere per quello. Se no, è tutto un mettere insieme altre esperienze. Tornare semplici è non confondersi con tutto e tutti.

D.: Alla fine uscirà il cd?

R.: Io ho un contratto con una major discografica che chiaramente di lavoro fa quello più che altro di produrre dischi. Io credo e tal’altro non mi potrei neanche opporre dal punto di vista puramente contrattuale ad una cosa del genere. Ma io non è che ce l’ho con il cd, il cd è stato il mio taxi di tutta una vita. Sono una persona che sta molto meglio di come stavano i miei genitori perché ad un certo punto è esistito anche il cd. Non posso volergli male. L’unica cosa che mi dispiace è che lo vedo oramai ridotto ad un umile servizio. Se penso che Oltre aveva 550 mila copie in prenotazione, è arrivato ad un disco doppio, a vendere oltre un milione e cento mila copie; la vita è adesso è un disco da un milione e quattrocentomila copie, se penso ai numeri di oggi mi viene un avvilimento perchè scopro che si è tutto inpoverito. Una funzione di raccolta al cd gliela possiamo ancora dare ma non sono per un tipo di pubblico che è meno abituato allo scaricamento e così via, ma perché probabilmente saranno delle versioni diverse, non ci saranno tutte, non lo so, questo non te lo so dire.

D.: Questo volevo chiederti: mi diceva Paolo Gianolio che probabilmente, anzi senza probabilmente, saranno canzoni diverse.

R.: Eh sì perché noi nel contempo continuiamo a suonarle. L’altro giorno sono arrivati dei nostri colleghi coristi ed abbiamo messo su Con voi, dei cori, delle voci perché le cose vanno avanti per questo. L’arte è meravigliosa se è in trasformazione, non solo perché è fissa.

D.: Quando?

R.: Secondo me a fine percorso. noi ci siamo dati adesso una prima parte del percorso, stiamo vedendo anche se fare un primo blitz, un primo viaggio breve dopo l’estate proprio di concerti però al momento ancora una certezza non c’è, non c’è un calendario preciso. Io penso che verso la fine dell’anno un qualche modo per raccogliere tutto questo, ci sia.

D.: Però poi il percorso continuerà anche dopo?

R.: Sì perché poi c’è già invece la previsione di fare un lungo giro musicale nell’estate prossima, cioè da fine primavera fino addirittura all’autunno, che dovrebbe durare 4 mesi, che è la prima cosa che ci è venuta in mente, prima dei brani, del rilascio digitale. L’idea era proprio di questo insieme di persone che si mettono a fare di nuovo un viaggio tra le parole, la musica e le sensazioni che gli orrizonti siano anche altri, non solo quelli che abbiamo di fronte agli occhi adesso, che vadano a recuperare vecchie storie, vecchi valori e che però possibilmente hanno il passaporto del tempo, possono essere ancora validi. Quindi nel 2014, con la precarietà della nostra vita, però penso che invece li ci sarà un lungo giro ma che avrà proprio l’essenza dello stare insieme. Io prevedo anche che non ci sia solo il concerto alla fine della giornata, ma che ci siano delle altre attività nel pomeriggio. Un modo per far festa, per trovarsi.

D.: L’uscita di questi singoli si completerà con quest’anno o potrebbero anche essercene degli altri? Sarà il tuo modus operanti?

R.: Potrebbero essercene degli altri perché io ho detto: diamoci un tempo, pensiamo che arriviamo fino a ottobre – novembre del 2014. Quindi, voglio dire, se le canzoni vengono e se questo sistema e fino adesso funziona, funziona bene, almeno per i suoi ambiti, si va avanti. In questo senso, non c’è una cadenza, tranne quella di dire che sarà fino al 2014.

D.: La canzone che ci farai sentire, ha un titolo particolare.

R.: Si chiama: E chi ci ammazza.

D.: Di cosa parla?

R.: Questa parla di Centocelle in effetti e parla di quattro ragazzini che crescono insieme, dalle elementari fino al loro liceo. Poi si continua a ritrovarsi di tanto in tanto nel momento in cui diventano grandi, adulti, maturi, cominciano ad avere famiglia. E chi ci ammazza è questo perché con un’annotazione ad un certo punto, siccome di questi quattro, al momento uno solo può raccontare la storia perché gli altri tre non ci sono più, allora c’è questo ricordo.

D.: La storia è autobiografica?

R.: Sì. Ricordo di quello che era, di questa periferia, infatti comincia: “quattro cretini per la strada era la nostra compagnia”, di questo bighellonare, di quell’Italia di cui dicevo, questa Italia del ’60, che fu l’Italia del boom, dove c’era quell’ingenuità che poi negli anni a seguire si è persa. Quindi E chi ci ammazza è dire che comunque sia se tu sei contemporaneo, se poi raccontarla, ma in fondo se c’è qualcuno che ti racconta, tu ci sei sempre.

D.: Ecco questo fatto che tu ci sei, che questi tre tuoi amici non ci sono più, non ti spaventa?

R.: Sì, però la possibilità di raccontarlo, è una gioia, è una liberazione, un omaggio. E’ un pò struggente ma non è triste, non so come dire. Secondo me è un segno di vitalità. Ti riferisci ad un’idea della morte?

D.: Sì, anche.

R.: Non lo so. Io credo di non avere paura della morte, non ho paura di morire più che altro, di non vivere più. La cosa che mi dispiace non è di morire, ma di non vivere più. Però non ci penso. Poi sarà che in questo momento in cui per me la vita è veramente importante e vissuta anche in maniera sfiatata. La notte dormo di nuovo molto poco però non sono scontento di non dormire, cioè mi piace perché ho la sensazione di viverla. D’altronde noi chiamiamo notte un tempo che però non viviamo quasi mai. La sensazione della fine non ce l’ho perché ho in questo senso un’altra valvola di sfogo, che come artista, proprio la letteratura del palco, con la metafora del palco, è sempre comunque una fine. Quindi ogni volta che ci si inchina sull’applauso finale, è una morte. Ci si abitua, a quel punto secondo me l’hai sdrammatizzata, la vivi talmente tante volte in questa piccola morte, che poi forse il giorno in cui arriva, è molto meno brutta di come te la raccontano.

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Articolo Testuale

Trascrizione a cura di Sabrina Panfili in esclusiva per doremifasol.org e saltasullavita.com

redazione

La redazione di doremifasol.org e saltasullavita.com è composta da tanti amici ed appassionati della musica di Claudio Baglioni, coordinati dal fondatore e amministratore Tony Assante. Un grazie a loro per il lavoro e l'aiuto apportato a questo portale - Per scrivere alla redazione usare wop@doremifasol.org

Un Commento

  1. Complimenti bella idea 🙂
    Solo una precisazione Cento Celle si scrive tutto attaccato Centocelle, abito a 200 mt dalla vecchia abitazione paterna di Claudio e lo sento nelle mie corde da una vita.
    Altra cosa, bruttina assai l’interruzione brusca… quella no mannaggia 🙂

    Saluti a tutti e buon viaggio
    Massimo

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