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La musica unisce, la musica divide

In questi giorni sto commentando lo scorso Festival di Sanremo. Dopo aver parlato la volta scorsa di Armonia, questa volta è il turno della Musica.

Fil rouge che accompagna l’uomo da sempre, della musica hanno parlato i più grandi pensatori della storia dell’umanità, che ci hanno regalato pensieri che sono diventati quasi proverbiali: Agostino parlava della musica associandola al più alto (a suo parere) desiderio dell’uomo, Dio e l’infinito, infatti affermava che “chi canta prega due volte”; Friedrich Nietzsche invece ci ha tramandato che “senza musica la vita sarebbe un errore”. La musica ha accompagnato le liriche dei poeti greci oltre Duemila anni fa, i canti d’amore dei trovatori provenzali, le arie d’opera seicentesche, i caffè ottocenteschi e i teatri, e oggi accompagna la nostra vita quotidiana dovunque ci troviamo. La musica ci unisce: grazie alla musica ci sentiamo appartenenti ad un popolo (l’inno nazionale) o ad un gruppo di persone, e ci fa sentire come parte di qualcosa di più grande. La musica ci divide: la musica fascista o quella comunista ha creato una forte opposizione nel nostro paese, così come la musica che ascoltiamo spesso (soltanto apparentemente, si intenda) ci identifica come persona, e secondo alcuni sottolinea anche il nostro livello culturale.

Questo Sanremo ha diviso e ha unito, esattamente come la musica. Anzi, ha senza dubbio più diviso che unito. Potremmo parlare di effetto-boomerang del clima di divisione che ormai sembra il nuovo paradigma del nostro paese: un clima di diffidenza, un clima in cui si preferisce l’insulto e un post sui Social rispetto all’argomentazione, un clima in cui chi grida più forte conta di più rispetto a chi è intelligente, un clima in cui conta di più la posizione piuttosto che la preparazione, e molto, molto altro ancora.

La settimana scorsa scrivevo che tra armonia e disarmonia aveva vinto Claudio Baglioni [Leggi qui], e nei commenti  [Leggi i commenti] mi avete fatto notare le debolezze del format di questo SanremoBis del Nostro, nonché un po’ di delusione per come Claudio stesso ha gestito la sua presenza. E in fondo io sono d’accordo sulle critiche fatte al format (ne parleremo più avanti). Non è tutta via una scusa affermare che “non è il format quello che conta”, perché nel caso di un programma televisivo il format conta, eccome se conta; non è dunque soltanto pane per gli haters di Claudio. Ma davvero, credo che la musica conti di più.

La discussione sulle giurie è uno dei leitmotiv di buona parte dei Festival di Sanremo, ed è un discorso che andrebbe affrontato con maggior razionalità senza per forza cercare l’assoluta verità, che non esiste. Non esiste una giuria migliore di un’altra. Solo il voto del popolo, con buona pace di quanto ha affermato Claudio, rischierebbe di far vincere sempre artisti che sono in mano a chi vota (perché chi vota non è tutto il popolo, perché non tutti possono farlo – vedi la questione del costo e la questione del “non diritto di voto”: c’è un netto confine tra il voto di Sanremo e la democrazia, nonostante da diverse parti si sia letto il contrario). Ma, sempre come dice Claudio, potrebbe essere una scelta ben precisa (e forse giusta) per un Festival la cui natura è quella di essere nazionale-popolare. Ma servirebbe un distinguo tra popolare e populista, ai tempi che corrono oggi, perché la distinzione è piuttosto netta. Il sistema ibrido abbiamo visto a cosa porta, a divisioni. Mentre un sistema solo con un voto “tecnico” snaturerebbe la natura popolare del Festival. E nel tecnico, su questo credo non ci siano dubbi, non c’è spazio per cuochi o attori, “retaggio” di gestioni precedenti (forse la Rai che punta su nomi noti per attirare audience?), ma c’è spazio per i giornalisti che, checché se ne possa dire, sono professionisti del settore musicale. C’è da ragionare, pensare e riflettere.

Ma Claudio ha vinto con la musica, proprio con quella musica che unisce e che divide. Divide, perché se Guccini si è lamentato dell’omaggio a Sanremo, la musica divide: non entro nel merito della questione, anche perché le lamentele di questo tipo lasciano un po’ il tempo che trovano e sono poco argomentate, ma è evidente che la non-stima di Guccini per il Festival è piuttosto esplicita, soprattutto per la natura nazional-popolare rimarcata e voluta da Baglioni. Ma la diatriba tra una musica elitaria contro quella realmente popolare è specchio del solito modus operandi tutto italiano, in cui bisogna per forza dividere la cultura alta da quella bassa. Divisione che in realtà ha poco senso di esistere, se ci si attiene strettamente alle Canzoni. La musica divide, se un partito propone l’obbligo di mettere una canzone italiana ogni tre. Difesa del patrimonio nazionale o autarchia? La musica divide, laddove i fan dell’uno gridano allo scandalo, o i fan dell’altro gridano alla felicità per il successo di un brano o di un artista. Che sia Ultimo o Claudio, poco cambia.

Ma la musica unisce, anche e forse soprattutto: è bene ribadirlo oggi, dove i media e i Social hanno rimarcato forse più la divisione dell’unione. Unisce, se Soldi è una canzone che, con buona pace di tanti, ha raggiunto diversi record, tra cui quello della posizione italiana più alta tra i brani su Spotify. Unisce, se i brani di questo Festival sono i più trasmessi dalle Radio. Forse unisce anche perché ha diviso nelle polemiche tra chi ha amato Cristicchi e chi la Berté, chi Claudio Baglioni e chi Virginia Raffaele, chi Achille Lauro e chi l’ha odiato, e via dicendo. La musica unisce perché parla un linguaggio che ha pretese di essere universale, o comunque di essere per tutti (o quanto meno, per tanti). È una forma di arte particolare quella della canzone, e non è un caso che Claudio all’inizio di questo Sanremo lo abbia ribadito, ancora una volta. Una forma d’arte che unisce il popolo, unisce nel piccolo e nella povertà, ma anche nelle emozioni.

E la sfida l’ha vinta Claudio, anche contro un format debole, contro duetti abbozzati e contro errori di impostazioni di base ben descritti da tanti critici. No, qui si vuole andare un po’ più “oltre”. La musica divide, e la musica unisce. E se lo fa, vuol dire che è davvero Musica. E a questo Festival, forse c’è stata poca armonia, ma c’è stata molta Musica. Che poi, l’armonia è nascosta dentro la musica, per cui c’è stata: forse bisogna solo cambiare gli occhiali per poterla vedere davvero.

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

2 Commenti

  1. Caro Luca, l’articolo, nella sua estensione e’ ben fatto e probabilmente raggiunge l’obiettivo di accomodare tutti nella distensione. Ma non ti sembra un po’ ” tarallucci e vino”? Ha la vaga propensione a risolvere la questione all’Italiana (ops…). La musica unisce perche piace a tutti pero’ divide perche non a tutti piace tutta. E’ una formula che azzera le discussioni, mette fine o ci prova, allo scontro musical-culturale che ha creato gli ultimisti e i mamhooddisti ma non come i beatles/ rolling stone o duran duran / spandau ballet, quelli si di un certo spessore musicale, ma un maramaldeggio che addirittura scomoda e paventa enormi differenze tra nazional-popolare e populista. Finiamola qua, e’ andata come e’ andata e di questo Sanremo mi rimane l’incanto di ascoltare ” la leggenda di Cristalda e Pizzomunno”…

    1. Ciao Roberto, accetto molto volentieri il tuo punto di vista. Personalmente, non era mio intento buttarla in “tarallucci e vino”. Certo, la questione popolare-populista e quella di cultura alta/bassa e musica alta/bassa è molto complessa, e dall’articolo forse ne esce un po’ sfilacciata (per non dire banalizzata). Sui contrasti musicali di generazioni passate, certamente hai ragione, ma il contrasto tra musica popolare e la cosiddetta canzone d’autore è ancora vivo e vegeto oggi, ed il dibattito è molto aperto. Sul “finiamola qua”: certo, su questo Sanremo si è detto tanto, tantissimo, talvolta troppo. Io quest’anno ho parlato a Sanremo concluso, decidendo di cercare di sviscerare di volta in volta diversi aspetti del Festival visto che, per svariate ragioni, ha fatto parlare tantissimo di sé. Più che affermare una banalità (quella che hai ben rimarcato tu sulla musica che piace e non piace), ho cercato di spiegare il perché di questa affermazione direi lapalissiana, cercando di offrire spunti di riflessione intorno al tema. Vedremo la prossima settimana. Certo, dell’incanto che la musica offre forse pago la dimenticanza di non averne parlato abbastanza. E poi, per noi Balgioniani l’incanto arriverà a breve: c’è un tour che sta per ripartire, e (forse) un album in cantiere aperto!
      Grazie per la condivisione del tuo commento e della tua opinione! Ne farò tesoro!

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