50 anni al CentroIn evidenza

Intervista con Claudio Baglioni preshow Zurigo

Intervista con Claudio Baglioni: “Le mie canzoni e io siamo cresciuti insieme, cambiandoci reciprocamente.”

“Al centro” è uno show che celebra i tuoi cinquant’anni di musica in modo straordinario, cosa significa essere protagonista di questa storia?

È incredibile. Letteralmente. Pensavo che non sarebbe mai cominciata e certo non avrei mai immaginato che sarebbe stata così lunga e così fortunata. La realtà, a volte, supera davvero l’immaginazione. Quello che ho fatto è stato cercare di rimanere me stesso. E, per farlo, non ho mai smesso di cambiare. Non è un gioco di parole: è la verità. Crescendo, tutti cambiamo. Cambia il nostro modo di vedere le cose e, di conseguenza, quello di raccontarle. Dunque cambiano anche le canzoni. L’importante è dire quello che si ha da dire senza bluffare. Conta rimanere autentici. Non tradirsi per non tradire. Nella musica la falsità non paga. Anzi, prima o poi, si paga. Ho detto spesso che le fake news possono fare il giro del mondo, ma un “fake artist” non riuscirebbe a fare nemmeno il giro del proprio palazzo. Il tempo – l’unico giudice che non sbaglia mai una sentenza – non mi ha ancora mostrato il ‘pollice verso’: si vede che ha le sue ragioni. Mi fido di lui. E faccio di tutto per far sì che lui continui a fidarsi di me.

La musica e il suo autore al centro, il pubblico tutto intorno a chiudere il cerchio. Come vivi questa avventura dal palco?

La dimensione live è la dimensione più autentica della musica. È lì che la musica è davvero musica. Del resto, per migliaia di anni, prima che nascessero i dischi, la musica o era dal vivo o non era. Per questo credo che la musica viva solo quando chi suona e chi ascolta si trovano gli uni di fronte agli altri. È quella l’emozione più grande. Solo in un concerto le distanze si annullano e si entra in contatto. Fisicamente, non virtualmente. Significa comunicare, scambiarsi occhi, voci, cuori, energia. Un momento unico e irripetibile. Nel vero senso delle parole, dal momento che accade solo lì e solo in quel momento. Emozioni rare e preziose, che sono felice di condividere con una città dalla quale manco da un po’ di tempo. Troppo, forse.

Come sarà il concerto a Zurigo il 7 aprile? Sarà un kolossal per durata e impatto?

Un kolossal, ma non per colpa mia: giuro. Cinquant’anni sono un po’ kolossal di loro. Poi c’è la scelta della scaletta cronologica: una prima assoluta. Nessuno ha mai fatto una cosa del genere. Quando ho cominciato a pensare “Al Centro”, però, mi sono reso conto che l’unico modo di raccontare questa storia era quello di partire dall’inizio. Le mie canzoni e io siamo cresciuti insieme, cambiandoci reciprocamente. Senza i brani che le hanno precedute, Strada facendo o E tu come stai?, La vita è adesso o Mille giorni di te e di me – solo per fare qualche esempio – non sarebbero mai state le stesse. E nessuna di loro né delle altre sarebbe mai esistita senza Questo piccolo grande amore. Seguire questa evoluzione, questa ‘doppia crescita’, mi è sembrato fondamentale. Poi c’è il palco Al Centro, che riduce al minimo le distanze: tutti vedono meglio e, soprattutto, sentono meglio. L’amplificazione, infatti, viene distribuita in modo più capillare e si può curare molto di più la qualità dei suoni. Infine, lo spazio scenico. È più grande e modulare, e può assumere forme diverse, diventando un vero protagonista dello show. Risultato: una sorta di “teatro totale”, nel quale suoni, voci, luci, immagini, coreografie e performance, si fondono alla musica, per renderla ancora più intensa, emozionante, affascinante, evocativa. Ancora più capace di farci sognare.

È pronto un album di inediti? Che capitolo sarà di questo lungo percorso?

È in lavorazione. Ma non posso dire quando sarà pronto, perché non lo so nemmeno io. Fino all’ultimo momento, tutto può cambiare. È sempre stato così. E continuerà così. È il mio modo di lavorare. E ormai ho capito che è inutile fare previsioni. Quello che posso dire è che non sarà, semplicemente, un ‘nuovo album’ ma sarà, a tutti gli effetti un ‘album nuovo’: nuovi temi, nuove melodie, nuove armonie, nuovi testi, nuovi arrangiamenti, nuove sonorità. Come, del resto, ho cercato di fare in ogni disco precedente, fondendo insieme mondi musicali molto diversi tra loro, proprio per il bisogno di dar vita a mondi sempre nuovi. Ripetersi avrebbe significato deludere. Prima me stesso e poi gli altri. E, prima o poi, anche le canzoni, che avrebbero smesso di fidarsi di me e sarebbero andate a bussare alla porta di qualcun altro. E quella sarebbe stata davvero la fine.

Il tuo Sanremo è stato un trionfo, cosa hai portato con te dell’esperienza del Festival?

Adrenalina ed energia. Ma, soprattutto, la voglia di fare sempre meglio. Credo sia questo ciò che dà senso al mio lavoro: non ‘sedersi sugli allori’ – ammesso che siano tali – ma rilanciare, rimettendo in gioco tutta la posta. È la strada più difficile, lo so, ma la scelgo proprio perché sono convinto che il fascino di un’impresa sia sempre proporzionale al rischio: più grande il rischio, più grande l’impresa. E io non mi sono mai tirato indietro di fronte a una sfida. Anche perché penso che l’unico modo di meritare la fortuna sia quello di rimettersi in gioco, alzando ogni volta la posta, vale a dire l’asticella della qualità. Solo così questo mestiere – almeno per come lo vedo io – ha un senso. E solo così riesco a viverlo e ad amarlo, ogni giorno come il primo giorno.

Il momento in cui la carriera cambiò la tua vita?

Una domenica mattina, mentre passeggiavo per le strade del mio quartiere e da una finestra, una radiolina accesa, mandava la mia voce. In quel momento, ho capito che qualcosa stava cambiando. Anche se non avrei mai immaginato che sarebbe successo quello che è successo e che le cose sarebbero andate come sono andate. Fatico a crederlo ancora oggi.

Ti sei spiegato perché le tue Hit sono più famose per l’attacco che per il ritornello? Passerotto non andare via…. Quella sua maglietta fina…

L’attacco di un pezzo è un po’ come il primo sguardo e la stretta di mano quando incontri una persona: è una specie di trailer che ti dà l’idea di com’è quella persona e ti fa intuire se andrete d’accordo oppure no. Ho sempre pensato che quello sguardo e quella stretta siano importanti, forse perché mia mamma mi ripeteva sempre che “la prima impressione è quella che conta”. E così cerco di fare in modo che i miei pezzi diano subito un’impressione giusta. E, a giudicare da come sono andate le cose, direi che ci sono riuscito. Spero di continuare così.

La tua carriera è un bizzarro miscuglio di ambizione e timidezza?

Non so se sia bizzarro o no, ma certamente è un miscuglio. Il fatto è che sono un ossimoro: un sognatore concreto, un esibizionista timido, uno scettico fiducioso. “Papà: annunciami che devo cantare!”, ho detto, piccolissimo, durante una riunione di famiglia, poi sono salito su una sedia è ho cominciato a cantare. È stato il mio primo concerto. Morivo dalla paura. Ma sapevo che, se non avessi cantato, sarei morto davvero. Parlo di dentro, naturalmente. La stessa ‘morte’ che affronto ogni sera prima di salire sul palco. Palco che, ogni sera, è la magia che rende viva questa vita straordinaria.

Oggi i cantanti usano molto i social. Anche tu?

Il giusto. Questa, almeno, è l’intenzione. Sono un ‘mezzo’: ‘media’ significa, appunto, questo. Di per sé, quindi, non sono né buoni né cattivi. Sono come li rendiamo noi. Le nostre mani possono portare carezze o pugni: dipende da noi non da loro. Seminiamo bellezza: vedrete che raccoglieremo bellezza.

Hai raccontato che fino al 1975, quando uscì Sabato pomeriggio, potevi andare in giro tranquillamente per la città. Nostalgia di quei tempi?

Confesso che ho più nostalgia del futuro che del passato. Anche perché il passato non passa più, né smette di dirci quello che ha da dire. Il futuro, invece, deve ancora arrivare. E nessuno sa cosa ci dirà. Un po’ come quando ti siedi al piano o imbracci la chitarra: le note sono sempre quelle di ieri; la musica, però, è quella di domani. E il suo è un richiamo irresistibile. Impossibile non seguirlo.

La tua vita ogni tanto è normale?

Quasi mai, per fortuna. Fino ad oggi è stata sorprendente. Letteralmente. E spero che non smetterà di sorprendermi nemmeno domani.

Il brano che non ti stanchi mai di cantare dal vivo.

Non c’è un brano che mi stanchi. I brani sono un po’ come i figli. Ami tutti allo stesso modo. Un po’ di più, forse, quelli che hanno avuto un po’ meno fortuna di altri. Certo, può capitare che ci siano dissapori, incomprensioni e persino qualche litigio. Alla fine, però, ci si ritrova sempre. E, quando un padre ritrova un figlio, l’emozione è sempre immensa.

Autore: Luigi Farulli (*onduce Piazza Italia una trasmissione radiofonica in italiano su Radio RaBe di Berna.

07 APRILE 2019 – Hallenstadion di ZURIGO

(inizio show ore 19.00 – info: www.abc-production.ch)

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

2 Commenti

  1. Che fisico….. Sta male il 2 aprile x cantare a Trieste e guarisce in pochi giorni x Zurigo….. Poco rispetto x chi lo aspettava e arrivava da fuori regione!!!

  2. Spettacolare concerto con priorità alla rappresentazione musicale e teatrale dell’artista che ci accompagna da 50 anni. Mi ha fatto pensare a quei grandissimi girovaghi del teatro che recitavan o per i re e per il popolo, regalando in egual misura emozioni smisurate che restano impresse nella mente e nel cuore di ciascuno di noi con una connessione a banda larga che non ha rivali.

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