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Io dal mare: l’origine della vita

Io dal mare: l’origine della vita tra autobiografia, mito e filosofia.

Io dal mare è la seconda traccia del disco 1 di Oltre, album di Claudio Baglioni del 1990. Viene considerato quasi all’unanimità, dalla critica e dal pubblico, il miglior lavoro del cantautore, per i suoi testi enigmatici, onirici, filosofici e di certo poetici. Tanta ricchezza letteraria è accompagnata da musiche e arrangiamenti di altissima qualità. Il doppio album, vanta infatti collaborazioni con artisti di fama internazionale. Il testo di Io dal mare può considerarsi un componimento poetico a tutti gli effetti, sia per l’uso di un linguaggio aulico, sia per le immagini misteriose e di ‘grande impatto visivo’, evocate attraverso innumerevoli figure retoriche. La chiave di lettura di questo testo è sicuramente affidata alle terzine che compongono i tre brevi ritornelli, mentre i vari scenari visivi cambiano ad ogni sestina delle strofe.

“Saranno stati scogli di carbone dolce
dentro il ferro liquefatto
di una luna che squagliò un suo quarto
come un brivido mulatto
o un bianco volar via di cuori pescatori
acqua secca di un bel cielo astratto”

Ed ecco che nella prima sestina compaiono le metafore degli scogli di carbone dolce e del bianco volar via di cuori pescatori, che starebbero ad indicare, rispettivamente degli scogli notturni, scuri e frastagliati, e dei gabbiani, che sono di colore bianco e si nutrono di pesci. Gli ossimori ferro liquefatto e acqua secca, riferimenti al mare di notte e al cielo diurno, che sembra anch’esso fatto di acqua, introducono il dualismo tra il giorno e la notte, tra la luce e il buio, che praticamente, si ripresenta ad ogni sestina.

Questo perché Baglioni prova a immaginare le condizioni atmosferiche e le ambientazioni marine che fecero da sfondo ad un preciso evento. Si chiede, infatti, se in quel preciso momento, ci fosse stato il mare notturno oppure il mare sovrastato da un limpido cielo a fungere da scenario naturale.

In questa prima sestina, scopriamo anche una personificazione, che, come in ogni altra sestina, darà sembianze umane a vari elementi della natura. In questo caso abbiamo quindi una luna che squagliò un suo quarto, bellissima allusione alla luna calante, resa anche grazie alla felice  e metaforica similitudine come un brivido mulatto.

“Chissà se c’erano satelliti o comete
in un’alba senza rughe
larghe nuvole di muffa e olio
appaiate come acciughe
o una vertigine di spiccioli di pesci
nella luce nera di lattughe”

La seconda sestina si apre con l’allitterazione in “S” Chissà se c’erano satelliti, allo scopo di amplificare il senso di attesa, di mistero e silenzio. È la volta adesso di un’altra personificazione: un’alba senza rughe, per indicare un’aurora con cielo sereno alla quale si contrappongono la scarsità e l’assenza di luce descritte nelle metafore larghe nuvole di muffa e oliouna vertigine di spiccioli di pesci e nella luce nera di lattughe.

E, come nella prima sestina, anche qui torna il dualismo luce – tenebre. Ora infatti, il chiarore dell’alba senza rughe si spegnerebbe nelle larghe nuvole di muffa e olio (un’alba con nuvole verdastre e giallo oro o forse ancora il cielo del tramonto) o addirittura nella luce nera di lattughe della notte. Le nuvole sono però appaiate come acciughe, altra felice similitudine, che potrebbe alludere ad un rapporto di coppia, dandoci forse, un altro indizio per svelare l’enigma.

Anche in questa seconda sestina, quindi, l’autore  continua ad immaginare l’ipotetico scenario di questo evento per lui molto importante. Si domanda, allora, se questo sarebbe accaduto durante una luminosa alba (con o senza nuvole), nella penombra del tramonto o nell’oscurità della notte… Ma qual è questo evento così importante per Claudio?

“E io
dal mare venni e amare mi stremò
perché infiammare il mare non si può”

È il primo ritornello, sotto forma di terzina, che ci svela parzialmente il mistero: E io dal mare venni… e cioè che il Nostro venne generato al mare, e che l’evento a cui allude è proprio il momento del suo concepimento. I versi

dal mare venni e amare mi stremò

perché infiammare il mare non si può

costituiscono un’unica, lunga allitterazione in “M”. Inoltre, in essi è presente la iterazione del termine mare, anche contenuto in altri vocaboli o forme verbali, proprio per sottolineare il ruolo centrale del mare, come fonte di vita e allo stesso tempo motivo di struggimento per l’uomo – Claudio:

mare/a(mare)

infiam(mare)/mare

I contenuti di questa prima terzina o ritornello, partono da riferimenti autobiografici per poi sfociare nel mito e nella filosofia. Claudio Baglioni, infatti, non è di certo il primo personaggio illustre a ‘nascere dalla spuma del mare’: mi riferisco, ovviamente, al mito della nascita di Afrodite o Venere, che dir si voglia. Di certo, in questo brano e in generale nell’album, è evidente una forte volontà da parte dell’autore, di inserire la propria origine in una dimensione mitica ed ancestrale. Mi permetto di fare, un singolare e scherzoso parallelismo: Venere era la dea dell’amore, mentre Baglioni, in fatto di musica, è da sempre considerato il ‘dio’ dell’amore!

L’espressione perché infiammare il mare non si può potrebbe celare un rimando autobiografico, descrivendo poeticamente la difficoltà dell’autore nei rapporti sentimentali o comunque interpersonali, a causa del suo carattere schivo. Secondo me, però, c’è dell’altro: questo verso potrebbe anche alludere alla incapacità dell’uomo – Claudio di ‘dominare’ l’immensità, alla quale pur egli inevitabilmente anela, rimando filosofico al concetto kantiano del Sublime.

“Aveva forse nervi e fruste di uragani
scure anime profonde
tra le vertebre di vetro e schiuma
urla di leoni le onde
o tende di merletto chiuse su farine
corpi caldi di sirene bionde”

E siamo giunti così alla seconda parte della canzone, dove cambiano gli interrogativi. Dalla terza sestina in poi, infatti, non abbiamo più le condizioni atmosferiche e le ore del giorno a farla da padrone, bensì è il mare che diventa pienamente protagonista della scena. Una serie di personificazioni/metafore introducono le condizioni del mare agitato: nervi e fruste di uraganiscure anime profondevertebre di vetro e schiuma. Il concetto del mare mosso è amplificato dal verso successivo, che costituisce una allitterazione in “L”: urla di leoni le onde. Il suono fluttuante della “L”, contribuisce a rendere il dinamismo e il suono rabbioso delle onde. A chiudere la sestina abbiamo la metafora delle tende di merletto chiuse su farine, originale allegoria del mare calmo e magari anche in secca. L’immagine quieta e sensuale delle sirene bionde, va a rafforzare il senso di calma del mare e si contrappone alla frenesia e al fragore delle onde del mare mosso dei versi precedenti.

“Forse era morto senza vento nei polmoni
graffio di cemento bruno
barche stelle insonni a ramazzare
nelle stanze di Nettuno
o turbini di sabbia fra le dune calve
sulle orme perse da qualcuno”

La quarta sestina si apre con l’immagine personificata e abbastanza controversa del mare morto senza vento nei polmoni, che, letta in relazione al verso successivo graffio di cemento bruno, potrebbe indicare le acque del porto, prive di onde. La metafora graffio di cemento bruno, potrebbe indicare infatti la strada inclinata per mettere in acqua le barche. Potrebbe altresì avvalorare l’ipotesi del porto, la splendida metafora delle barche stelle insonni a ramazzare (=pulire) nelle stanze di Nettuno  (=il mare), riferimento alle barche dei pescatori con le luci accese e pronte ad uscire in mare aperto. Altrimenti, questi versi potrebbero semplicemente alludere ad un mare praticamente piatto, con qualche increspatura, sotto un cielo plumbeo (graffio di cemento bruno). Questa sestina si conclude con l’immagine del vento sulla spiaggia, indicato metaforicamente con turbini di sabbia tra le dune calve, personificazione che indica l’assenza di vegetazione. Il tutto sulle orme perse da qualcuno, che allude per la prima volta alla presenza umana, in un paesaggio marino fino ad ora apparentemente disabitato, dove era la natura ad assumere sembianze umane.

La terza e la quarta sestina, carrellata di varie condizioni del mare che si alternano (agitato, calmo, stagnante in un porto notturno o sotto un cielo grigio) e l’immagine finale della spiaggia con le dune spazzate dal vento, sono di nuovo frutto dell’immaginazione dell’autore. Infatti, Baglioni cerca ancora di ricostruire l’ipotetico contesto nel quale è stato generato: inizialmente concentrandosi sui vari momenti del giorno o della notte e successivamente sulle varie condizioni del mare, che fa da sfondo all’evento.

“E io
dal mare ho il sangue e amaro rimarrò
perché calmare il mare non si può”

E il mare, come abbiamo già appurato, non è solo un’ambientazione che fa da cornice a questo ‘attimo di eterno’, ma è inteso dall’autore come il principio generatore della sua vita e per estensione anche degli esseri umani (perché la vita ebbe origine nell’acqua), destinato ad influenzarne anche il carattere e il comportamento. E questo lo vediamo nella seconda terzina o ritornello, in cui, appunto, si ripresenta l’iterazione del termine “MARE”, anche contenuto in altri vocaboli o forme verbali:

dal mare ho il sangue e a(mar)o ri(mar)rò

perché cal(mare) il mare non si può

Il verso dal mare ho il sangue e amaro rimarrò, costituisce una doppia allitterazione in “M” e in “R”, consonanti dure, che evocano emozioni intense,  o forse addirittura un conflitto interiore, a conferma del coinvolgimento emotivo dell’autore. Le tre terzine dei ritornelli, infatti, sono di spiccato contenuto autobiografico: il pronome io, che le introduce, serve infatti a proiettare Claudio nella storia in prima persona. In particolare, i versi di quest’ultima terzina, alluderebbero al carattere dell’autore: essendo stato generato al mare, ne avrebbe ereditato anche il senso di inquietudine e di perenne insoddisfazione. E il riferimento perché calmare il mare non si può, vuole, ancora una volta, ricollegarsi al tema del Sublime kantiano della prima terzina. Infatti, abbiamo di nuovo, l’immagine dell’uomo-Claudio, da solo, di fronte alla forza e all’immensità del mare-natura. L’autore ammette, quindi e di nuovo, di non poter dominare questa immensità, ma nonostante ciò continuerà lo stesso a tendere verso quell’infinito, che sa di non poter mai raggiungere, rimanendo così, amaro per tutta la vita. E’ possibile individuare un parallelismo tra il sublime dualismo dell’Uomo (finito) con la Natura (infinito) con quello che si instaura tra l’Uomo e la Perfezione: l’essere umano sa che è impossibile raggiungerla, ma non per questo smetterà mai di tendere ad essa, in un continuo tentativo di migliorarsi. Questo tema, che evidentemente evoca concetti dell’Idealismo e del Romanticismo tedesco (Hegel, Fichte, Schelling, Novalis), costituisce, a mio avviso, l’ossatura filosofica di questa canzone. Da questo si può facilmente comprendere come il testo di Io dal mare non si fermi al mero aneddoto autobiografico (seppur calato nel mito: il mare che gli ha dato la vita, in senso metaforico) ma vada oltre, dando vita ad una vera e propria introspezione psicologica ed esistenziale. Il mare si configura quindi, per l’autore, come lo specchio della sua anima, forse tormentata dalla smania di perfezione tipica degli artisti e dal timore di non riuscire a dare abbastanza amore alle persone care, a causa del suo carattere introverso e delle lunghe assenze per motivi lavorativi.

“I miei si amarono laggiù
in un agosto e un altro sole si annegò
lingue di fuoco e uve fragole
quando il giorno cammina ancora
sulle tegole del cielo
e sembra non sedersi mai”

Ed eccoci giunti, così, alla parte finale della canzone. Dopo tanto mistero, evocato dalle sestine iniziali, finalmente la tensione si scioglie, dando vita ad un crescendo di emozioni.

La quinta sestina si apre con un verso autobiografico: I miei si amarono laggiù, dove laggiù sta ad indicare questo meraviglioso scenario marino e, di seguito, i versi successivi ci danno l’idea di quell’idilliaco ed infinito tramonto infuocato di agosto (in un agosto, appunto). La descrizione di questo paesaggio incantato è affidato, infatti, ad una serie di splendide metafore (un altro sole si annegò = il tramonto che ogni sera si ripete, ma che ogni volta, ci offre allo stesso tempo uno spettacolo inedito; lingue di fuoco e uve fragole = le nuvole di forma allungata di colore rosso e violaceo di questo tramonto infuocato; tegole del cielo = la parte più in alto del cielo) e all’ennesima suggestiva personificazione, di cui l’intero testo è ricco: quando il giorno cammina ancora sulle tegole del cielo e sembra non sedersi mai, allusione ai lunghi tramonti estivi, in cui il sole impiega molto tempo per inabissarsi nel mare.

Le informazioni per decifrare l’accaduto si fanno ora più chiare: Claudio ci sta dicendo esplicitamente quello che fino ad ora era stato accennato con delle allusioni e cioè che i suoi genitori lo concepirono in un contesto marino, che tuttavia resta sempre alquanto indefinito. Dai suoi versi, infatti, riusciamo solo a capire che l’evento avvenne in agosto e al tramonto, davanti al mare.

Ora, se la matematica non ci inganna, Baglioni nacque appunto il 16 maggio 1951, esattamente nove mesi dopo quell’agosto. Ci resta ora da scoprire solo di quale mare si tratti, di dove si trovi questo angolo di paradiso descritto nella canzone. Adesso il mistero può essere finalmente svelato: si tratta del meraviglioso mare di Ischia! La risposta era forse già nota ai fedeli estimatori del cantautore, in quanto lo stesso Baglioni ha più volte affermato, durante i concerti dell’Ischia Summer Festival degli ultimi anni, di essere appunto molto legato all’isola, proprio perché è il luogo dove venne generato. E’ proprio per questo motivo che Claudio era particolarmente pervaso dall’emozione durante quei concerti.

“E innanzi al mare ad ansimare sto
perché domare il mare non si può”

Ed eccoci giunti al terzo ed ultimo ritornello, che acuisce ulteriormente il senso di malinconia e insoddisfazione espresso negli altri due ritornelli precedenti:

E innanzi al mare ad ansimare sto
perché domare il mare non si può

I versi in questione costituiscono infatti un’altra doppia allitterazione in “M” e in “R”: sono quasi un ‘sospiro’, una dolce ma tormentata constatazione di piccolezza di fronte all’immensità sublime del mare, con il quale l’autore non può competere. Il mare, infatti, non potrà mai essere ‘domato’ da un essere umano, ma è anche vero che l’Uomo, in quanto dotato della Ragione, sarà per questo sempre superiore all’Irrazionalità della Natura. E questo riferimento è perciò – e per la terza volta – un rimando alle teorie kantiane sul Sublime. Come per gli altri due ritornelli, anche quest’ultimo ha una forte valenza autobiografica: Claudio sta affermando la sua continua ricerca della Verità e della Perfezione e, nonostante gli sia impossibile raggiungerle, egli non smetterà mai comunque di provare ad  avvicinarsi il più possibile ad esse.  Ovviamente tutto ciò crea un senso di irrequietudine nell’autore, evidenziato oltre che dalle consonanti monotone M e R, anche dalla iterazione del termine mare, come sempre contenuto anche all’interno di altri vocaboli e nelle forme verbali.

“E come pietra annerirò

a consumare
a catramare
a tracimare
a fiumare
a schiumare
a chiamare

quel mare che fu madre e che non so”

A racchiudere l’ultima sestina del brano (la n. 6), ci sono due versi isolati. Il primo, E come pietra annerirò, costituisce una similitudine ed è alquanto ambiguo: come interpretare tale affermazione? A mio avviso potrebbe rappresentare una allusione alla morte o comunque alla caducità e alla trasformazione della materia (“nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, Lavoisier), soprattutto se letto in relazione alla sestina che segue e al verso finale quel mare che fu madre e che non so. 

Nell’ultima sestina compare, infatti e di nuovo, l’iterazione del termine mare, contenuto in tutte e sei le forme verbali.

a consu(mare)
a catra(mare)
a traci(mare)
a fiu(mare)
a schiu(mare)
a chia(mare)

Il mare si configura quindi come la parola chiave di tutto il testo di Io dal mare, diventandone il centro assoluto, concetto ribadito dall’assonanza tra il termine mare e quello di madre, i quali si differenziano grammaticalmente solo per la lettera D (mare – ma(d)re). Grazie a questo accostamento, il mare viene a delinearsi con tutta la sua forza come fonte di vita per l’autore e, per estensione, anche dell’umanità. Inoltre il mare assume, nel verso finale, una connotazione quasi mistica per Baglioni, in quanto il mare resterà per lui sempre un mistero (quel mare…che non so…).

A mio avviso, si può interpretare l’ultima sestina, racchiusa tra i due versi isolati, in due modi. Si potrebbe semplicemente associare questo periodo al concetto del mare come mistero e cioè all’impossibilità da parte dell’autore di poterne comprendere i meccanismi segreti, nonostante egli si prometta di trascorrere tutta la vita nel cercare di carpirli. Oppure la si potrebbe interpretare in un’ottica panistica: se interpretiamo infatti come pietra annerirò come caducità o trasformazione della materia, si può ipotizzare un ciclo naturale secondo cui quando si muore si torna a far parte della Natura, e in questo caso, un riferimento dell’autore al fatto che essendo venuto dal mare, ne tornerà forse a far parte alla fine della sua esistenza.

Katia Picano per doremifasol.org

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The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

3 Commenti

  1. Ottima interpretazione di uno dei pezzi più belli e densi di significato della musica italiana.
    Quello che fa il Signor Claudio baglioni è un’altro sport !!! Purtroppo la maggior parte delle persone si lascia cullare dalle sole, ma sontuose, note musicali tralasciando un universo annesso, ed ignorando che nei pezzi di questo inarrivabile artista c’è molto di più.

    Personalmente trovo nei versi “Lingue di fuoco e uve fragole” un’allusione al sesso maschile e quello femminile, in virtù di una descrizione dell’atto propiziatorio riportata con incredibile delicatezza e sublimata da metafore affini alla sempre viva natura del mare.

    Grazie Claudio

  2. Bellissima introspezione. C’è una chiarificazione per ogni sussurro del pezzo. Non resterebbe altro da aggiungere se non una maliziosa nota investigativa, ossia, dove è stato concepito il Nostro poeta? Per semplicismo si potrebbe delimitare la ricerca sul litorale Romano, non me ne voglia Claudio, ma la sua famiglia (e potrebbe essere la fortuna..) era umile e nel 51 difficilmente ci si poteva permettere vacanze lontane. Il cenno alle dune calve mi ricorda Castel Porziano, così come gli scivoli per le barche e i pescatori mi sposta a Fiumicino. Il tutto comunque ci conferma, se ancora c’è ne fosse bisogno, la Romanita’ di Claudio che, anche venendo dal mare sicuramente era quello di casa nostra.

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