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L’analisi di Luca per nuovo album Claudio Baglioni

In questa storia, che è la mia è un disco che si presta a più letture: una semplice, diretta, ed una più complessa.

Se ci limitiamo alla prima lettura, possiamo affermare che è un disco in cui Baglioni ritorna, dopo vent’anni, a comporre un concept album che riprende due filoni tematici topici, a cui il suo pubblico è decisamente abituato: lo sviluppo di una storia d’amore, dalle incertezze dell’inizio (Quello che sarà di noi) fino all’ossessione dell’assenza (Lei lei lei lei), aperta da una nostalgia nei confronti del passato, un passato indefinito, ma che sembra sempre migliore del presente (Gli anni più belli), e chiusa da una dedica musicale (Dodici note) nei confronti della persona amata, che non importa più se sia presente o meno, anzi, paradossalmente potrebbe anche essere morta, e la musica potrebbe, come nel Pascoli de La mia sera, attraversare la vita e raggiungere addirittura la morte e il Paradiso (e non è un caso che questo brano finisce proprio con un riferimento esplicito alla morte, alla risurrezione e all’ascensione). Questa è la storia descritta, per usare le parole dello stesso Baglioni, con un “teleobiettivo”; la storia-cornice, quella raccontata attraverso il grand’angolo, è la biografia dello stesso Baglioni, che tocca il brano di apertura (Altrove e qui), alcuni intermezzi piano e voce (sul modello di Strada facendo e di Io sono qui) e il brano di chiusura (Uomo di varie età), nel quale vanno a convergere, forse inutilmente e in modo eccessivamente ridondanti, gli intermezzi (come avvenuto nel 2007 con ’51 Montesacro, ma la scelta di farlo qua, all’interno dello stesso volume, risulta difficile da comprendere). Limitandosi a questa prima lettura, si possono comunque compiere alcune osservazioni: il disco è più curato dei due precedenti, innanzitutto perché qui vi è un’attenzione maggiore alla dimensione del macro-testo (ossia dell’interno album), totalmente assente nel precedente ConVoi, che era, per volontà dello stesso Claudio, un’accozzaglia di brani che non avevano niente a che vedere tra di loro, e che sembravano richiamare, per musicalità, parole e tematiche, alcuni brani o album scritti in precedenza, ma anche abbastanza assente in Sono io, anche se lì un tema di fondo sembrava esserci, ossia il rapporto tra la piccola storia della gente comune (Tienimi con te, Serenata in Sol, Tutto in un abbraccio, Quei due), fatta di amore, di tempo scazzato e di dolore, e la grande storia del mondo (Di là dal ponte, Per incanto e per amore, Requiem), inframezzata da una piccola storia per eccellenza, la sua storia (Patapàn, Grand’uomo, Sulla via di casa mia, Sono io), dell’uomo della storia accanto, ossia che vive accanto alle altre storie, per poterle cantare.

La tematica di In questa storia, che è la mia è, tra l’altro, proprio questa: in questa prima lettura, sembra che Baglioni sia riuscito a dare la forma del concept a un qualcosa che aveva già fatto, e per farlo ha utilizzato basi strumentali e armoniche di brani molto noti (Mille giorni di te e di me e Via su tutti) e  riferimenti a testi molto noti (penso alle rime in -aggio da Signora delle ore scure, e poi presenti in Chi c’è in ascolto, Fianco a fianco, Buon viaggio della vita e molti altri brani, o alle rime in -ondo de Gli anni più belli, presenti in Niente più, Un solo mondo e in molti altri brani; penso all’ambito giuridico, presente a partire da Dov’è dov’è e protagonista assoluto di Reo confesso, oppure l’ambito religioso, presente già in Oltre, e poi super presente negli anni Duemila in diversi brani, da Per incanto e per amore a In un’altra vita, per esplodere definitivamente in Dodici note). I riferimenti a parole e musica del passato, in questa prima lettura, servono per poter dialogare con una storia precisa, la sua; in effetti, il tema autobiografico è il tema portante della Trilogia, ed è stato toccato molto anche negli anni Duemila: difficile che i nuovi brani aggiungano qualcosa. Nonostante questo contenuto che possiamo definire “ripetitivo” e “ricorsivo” (oppure, se si vuole dargli un’accezione più positiva, si tratta semplicemente di “topos”, ossia di elementi ricorrenti all’interno di una poetica), il disco si presenta come fatto molto bene: ben suonato nella sua parte strumentale, ancora ben orchestrato (anche se molti brani suonano come Sono io o come Con voi, uno su tutti la bellissima Uomo di vare età), e ben scritto nei testi, anche se mancano veri e proprio guizzi che fanno saltare sulla sedia, capolavori linguistici, per citarne solo due, come Quei due o Tutto il calcio minuto per minuto, dove Baglioni indossava i panni del cineoperatore esterno per descrivere puntualmente situazioni come in un film. Un bel lavoro, dunque, ma in cui sostanzialmente non c’è niente di nuovo, anzi, ci si chiede che senso abbia avuto fare un concept album, poiché le due storie narrate restano parallele, e non si incastrano tra di loro.

Ci sono delle ottime intuizioni in tutto questo: Lei lei lei lei è una descrizione cinematografica pazzesca che parte da singoli oggetti per poi andare ad evocare l’assenza di lei, che si fa “parola” nell’accumulo ossessivo del pronome personale di terza persona; Pioggia blu è geniale nel contenuto, ma anche nel riferimento alla pandemia, ed ha una musica frizzante su un testo ricco di preziosismi lessicali inaspettati in musica; Come ti dirò e Mal d’amore sono tra i capolavori d’amore di Claudio, con figure retoriche dosate poco alla volta e con una cura quasi musicale delle singole parole, pensiamo all’allitterazione (ripetizione) della m nella prima strofa, che non a caso è la prima consonante della parola amore, in un brano che esplicita la difficoltà (se non addirittura l’impossibilità) nel trovare delle parole adatte per esprimere questo sentimento («Come ti dirò / di strapiombi e cime / di chi esprime a stento ciò che ha in sé / le prime / parole / o i versi in rime. / Cosa ti dirò / che non sia un pattume / mille e mille volte detto già / nel mio romanticume / cosa ti dirò / letto sotto un lume» – si osservi la rima pattume: romanticume, con parole inusuali in canzone), oppure tutte le metafore che mescolano astratto e concreto in Mal d’amore, dando al testo una doppia componente (sia fisica che astratta) che lo rende molto bello e particolare (per dirne qualcuna: «Non correremo più la stessa strada / di tramonti purosangue», «in un valzer di delfini / lungo orbite profonde», «con gli sguardi di un tormento / lampi di un secondo». Che dire, poi, dell’erotismo di Mentre il fiume va, con quei versi così carnali, anche se c’è quel «you you you» che non si riesce bene a capire se suona come scanzonato, o come zeppa metrica alla Adriano Celentano, che in bocca all’autore di Tamburi lontani sembra stridere tanto. Non mancano i brani un po’ anonimi, sia musicalmente (Quello che sarà di noi) che testualmente (Uno e due non è altro che un elenco sullo stile di Due universi, solo che qua è costruita su coppie di parole che vanno insieme, come fiume e sponda o scoglio e onda; In un mondo nuovo è un altro elenco, con sostantivi tutti tronchi uniti dall’avverbio senza, ed affronta il tema del nuovo mondo già affrontato in tantissimi brani – addirittura la chiosa «io la ritrovo e mi nascono in lei» ricorda quel Per il mondo che molti fan non ricordano con grande piacere).

Insomma, a questa prima lettura l’album è sicuramente buono, ma non è né un capolavoro, né brilla per originalità, soprattutto nei contenuti e nelle musiche (tra i tanti ricicli, anche la suite di Al Centro che diventa Altrove e qui, che però rende contento tutti quei fan che non si accontentavano di vedere un brano di Baglioni soltanto musicale, e che in qualche modo associano questo nuovo pezzo ai ricordi delle serate all’Arena di Verona).

Tuttavia, io non sposo questa prima lettura, che trovo semplicistica, e penso che non dia giustizia a questo album, ma ne sposo una seconda. Intendiamoci, penso tutto quello che ho scritto: i testi elencativi sono davvero tali, ma, ragionando, non sono i primi di Baglioni (pensiamo a Notti, paradossalmente anche a I vecchi e a Amori in corso, che erano costruiti tutti su un’anafora, ossia sulla ripetizione di alcune parole ad inizio strofa o all’inizio dei versi), così come penso che alcuni brani siano particolarmente riusciti, e altri lo siano meno (come per altro avviene in ogni album di qualunque autore). A rendere però, a parer mio, riuscito questo lavoro, è l’album nella sua complessità e nel suo incastro. Cerco di spiegare il perché.

Le storie raccontate ne In questa storia, che è la mia non sono parallele, come sembra ad un primo sguardo, ma sono fondamentalmente interconnesse e legate tra loro. Diamo un’occhiata alla scaletta del disco: i quattro momenti della storia d’amore, quella dei brani centrali, sono, come detto da Claudio a Radio Kiss Kiss, ascesa (quando l’amore si sviluppa, forse in modo spesso inconsapevole e/o spontaneo), sospensione (quando si è totalmente immersi dentro l’amore, tanto che si è sospesi in una realtà parallela), la discesa (quando il sentimento se ne va in uno dei due, e il rapporto e la relazione iniziano a consumarsi e a far male mentre li si sta vivendo), e infine una ripresa, ripresa che fa sì che si prenda consapevolezza con il tempo che cambia, e che, con il tempo, anche il sentimento muta, per cui serve un nuovo sguardo anche nei confronti della propria relazione. L’album, nei suoi 12 brani interni, è proprio scandito su queste quattro fasi: l’ascesa è ne Gli anni più belli, un ricordo di un passato mitico in cui tutto è sempre più bello (forse l’infanzia, o forse la relazione precedente), in Quello che sarà di noi, dove ci si domanda se la relazione avrà un futuro, ne In un mondo nuovo, dove si pensa, con la propria amata, di poter costruire un mondo nuovo, e migliore del presente; la sospensione, ossia l’innamoramento, è nell’incertezza di Come ti dirò, nell’intesa strepitosa di Uno e due, e nell’amore carnale che si fa gioco di Mentre il fiume va; la discesa è negli ultimi strascichi di carnalità che ci sono in Pioggia blu, dove l’amore riesce ancora ad essere un rifugio sicuro, nel dramma che va a toccare la natura di Mal d’amore, e nella sincera ammissione di responsabilità, tanto da sembrare (e parlare come) un imputato di tribunale, in Reo confesso; la ripresa, per forza di cose, parte dall’assenza di Io non sono lì, transita dall’ossessione amorosa di Lei lei lei lei e si conclude nell’accettazione, quasi religiosa, dell’assenza di lei in Dodici note (che, appunto, potrebbe essere morta, o comunque lontana), che non viene più sentita grazie alla potenza della musica, che riavvicina il lui alla sua lei. Questo è lo sviluppo della storia d’amore.

Nella lettura complessa, però, non è lo sviluppo solo della storia d’amore, ma anche della storia di Claudio Baglioni e del rapporto con la sua arte musicale, che talvolta si fa musica, talvolta ispirazione, talvolta invece semplicemente una compagna per passare il tempo. Baglioni ha da sempre lottato con sé stesso per poter fare questo lavoro, lo dice in modo estremamente metaforico e pungente in Altrove e qui, e lo dice in modo molto più diretto e confidenziale negli intermezzi e in Uomo di varie età. Anche il rapporto tra Baglioni e la musica, protagonista di questa seconda storia (attenzione: non è la biografia di Baglioni questa, non vediamo mai Baglioni in azioni che non hanno a che fare con la musica, come lo vedevamo invece in ’51 Montesacro o in L’ultimo omino, o perfino in tutto Oltre), è scandito dalle stesse fasi: l’ascesa è la scoperta del mondo musicale, cantata in Non so com’è cominciata, che non a caso si apre con una negazione e con un dubbio, lo stesso dubbio di Quel che sarà di noi, che non a caso rimanda all’infanzia, a quel tempo passato e mitico che è stato sempre il più bello (sappiamo quanto Claudio sia legato all’infanzia, lo sappiamo almeno da A Clà, da Patapàn o da Dieci dita, e anche dai tantissimi aneddoti che ha sempre raccontato sulla sua infanzia nei concerti), così come c’è l’ascesa nella speranza di poter creare un mondo nuovo grazie alla musica. Poi, serve l’impegno, quell’impegno che lo porta Al pianoforte ogni giorno, nel quale vive la vera sospensione all’interno del mondo musicale (suonava la chitarra invece che guardare le ragazze: la musica lo stava facendo vivere fuori dalla realtà, per inseguire un sogno), un impegno che non riesce ad essere chiaro, ma è carnale come un sentimento che non riusciamo a definire (Come ti dirò); grazie all’impegno si crea una grande intesa con la musica (Uno e due), che resta ferma mentre il resto della vita se ne va (Mentre il fiume va), e nello stesso tempo diventa un gioco, un gioco molto fisico (sappiamo quanto Claudio è legato carnalmente a tutti i suoi primi strumenti: ricordate la storia del suo primo pianoforte?). Dopo, arriva il disincanto, la discesa: non a caso la discesa inizia con la firma in fede di un contratto, che è fatta “in fede”, cioè fidandosi che tutto vada bene, ma è quasi una condanna, perché da quel momento Claudio smetterà di essere uomo e diventerà Artista, anzi, da quel momento avrà l’anima spaccata letteralmente in due (come ci ha detto bene in Oltre e in tutta la trilogia degli anni Novanta); non può farne a meno, ormai, della musica, non “guarirà mai da questo male”, perché ormai è talmente dentro di lui che non riesce a farne a meno, è come se la musica si sia impossessato di lui, ma è lui che ormai ha perso per strada sé: la colpa è solo la sua, è lui il colpevole, di come ha gestito (o, meglio, di come non è riuscito a gestire) la popolarità e il rapporto con essa, per cui si assume tutte le responsabilità. Così, valuta l’assenza e la lontananza dalla musica, ma quando è lontana da lei vorrebbe tornare a lei vicina (Io non sono lì), la vede dovunque, anche quando ricerca ossessivamente un’ispirazione che sembra andata via, ed essere ferma agli anni Novanta (Lei lei lei lei): pensava di aver trovato la pace, finito il viaggio del viaggiatore, ma non gli è bastato: ha voluto di più, si è rimesso in gioco e non ce l’ha fatta. Aveva bisogno ancora di qualcos’altro: di capire che non doveva fare altro che suonare “finché ha un cuore e dieci dita”. Nel 2013 l’ha detto, ma non l’ha fatto suo: ora, sembra averlo fatto suo davvero, perché per la prima volta ha messo a nudo tutto il rapporto con la sua arte.

La seconda chiave di lettura dell’album, dunque, a parer mio, è estetizzante, anzi, fortemente estetizzante: vita e arte arrivano infatti in questo lavoro a coincidere più che mai, anzi, la vita è rappresentata quasi metonimicamente dall’amore, quell’amore che è protagonista indiscusso di tutta la serie di brani e di album che hanno reso famoso Claudio Baglioni, condannandolo nello stesso tempo alla musica, e a cui lo stesso cantautore sente di dover dare al contempo sia un tributo che una summa finale (in un album che può apparire di commiato: «e lascio il meglio all’ultimo / in questo ballo favoloso / che è lungo mezzo secolo, un attimo / ma è stato un brivido grandioso», Uomo di varie età). Baglioni dunque in questa storia sigla e segna definitivamente, come un vero esteta, che fa della sua vita un’opera d’arte, e dell’arte tutta la sua vita, il binomio amore/vita e arte, dopo per altro aver passato tutti e tre gli album della Trilogia degli anni Novanta a riflettere proprio sul rapporto, sempre complesso e talvolta contradditorio, tra sé stesso e la propria arte (pensiamo a brani come Dov’è dov’è, Acqua dalla luna, Stelle di stelle, V.o.t., Titoli di coda, Cuore d’aliante, Opere e omissioni e A Clà, solo per limitarsi ad alcuni titoli), finalmente ha raggiunto la pace. Ha capito chi è e ce lo ha ammesso: è un uomo di varie età (che ha vissuto diversi momenti: proprio questi momenti qua descritti), ma anche di arte varia, e di varietà: tempo, arte musicale e vita si uniscono insieme nel brano finale.

Questa doppia interpretazione forse può sembrare esagerata, ma penso che sia volutamente ambigua. Per dimostrarla, in conclusione, penso che basti leggere il testo, così potente (come tutto il brano), di Altrove e qui, che reputo uno dei più riusciti di tutto il canzoniere baglioniano, perché Baglioni riesce a mettere per iscritto, in modo chiaro e sincero, tutta la lotta contro sé stesso nell’atto di svolgere il mestiere di musicista e cantautore. In questo testo, forse l’autoritratto più autentico mai scritto da Baglioni, troviamo infatti di tutto: dalla sua presunta incapacità nel saper svolgere questo mestiere («Ho suonato il tema della sera / senza saper leggere le stelle»), alla consapevolezza di essere, in fondo, uno spirito libero («per trovare un posto a un’anima ribelle»), dal bisogno spasmodico della musica per cercare di essere qualcuno, e distinguersi dalla massa anonima del mondo («ho smarrito il passaporto del destino / di esser chiunque ma non chi» – si osservi l’efficacissima parestesia del primo verso, e l’altrettanto gioco pronominale del secondo), al bisogno quasi carnale di non passare inosservato nella storia («Ho vissuto per lasciare un segno / come se non fosse mai finita»), dalla consapevolezza di aver trovato nella musica leggera un rifugio sicuro, un luogo dove poter trovare riparo dalle difficoltà della vita quotidiana («ho disegnato un universo parallelo / dove non ero più così»), all’angoscia del cercare sempre di sorprendere il pubblico e, nello stesso tempo, stupire sé stesso, superandosi sempre e andando “oltre” («In ogni notte accesa a far le prove / di storie nuove nell’attesa / di quell’impresa che commuove / che mai si è arresa e che si muove»).

Tutto questo è riassunto nel titolo di questo brano, Altrove e qui: Baglioni è sempre stato davvero altrove, fuori dal mondo, sia quando si sedeva sulla terrazza del bar Lo Zodiaco, immaginandosi di spiare la gente comune a muoversi nella città («ho costruito una terrazza sopra il cielo»), che qui, immerso e schiacciato dalla quotidianità orizzontale, da cui cercare di fuggire in tutti i modi («per stare ovunque ma non qui»). Altrove e qui è quindi la spassionata ricerca del tempo verticale, di un tempo eterno, in un altrove, che permetta nello stesso tempo di vivere nel migliore dei modi nel qui del «vecchio albergo della terra» da cui nessuno può fuggire finché è in vita, e che si rimpiangerà quando si arriva alla fine della vita stessa; è la ricerca spassionata di un uomo che ha sempre cercato di «colorare sé stesso come fa un bambino», per vincere, grazie alla verticalità (qua finalmente raggiunta grazie alla potenza eternatrice dell’arte musicale), il grigiore del tempo orizzontale.

Non è un caso (e non è solo per recuperare la suite musicale, e darle delle parole a caso) che i ritornelli del brano siano ritmati dalla parola centro: l’uomo-Baglioni è da anni, ormai, al centro dell’opera del Baglioni-cantautore, anche se è consapevole di essere un fuoricentro e, soprattutto, di essere sempre, costantemente, anche a settant’anni, «in cerca del suo baricentro»; quel centro che si trova nel mezzo del palcoscenico, da cui tutto il suo pubblico può guardarlo: in quel momento, finalmente, l’uomo-Baglioni e l’artista-Baglioni si fondono, e volano sulle ali della alla forza eternatrice della musica, che in quel momento può trasformare «quella storia, che è la sua» in un «attimo di eterno» grazie ad un atto d’amore reciproco e doppio, da parte dell’artista verso il suo pubblico, e da parte del pubblico verso l’artista.

Ecco, questo disco è un atto d’amore, ecco perché tutta questa storia doveva necessariamente essere trasfigurata in una storia d’amore. Perché è una storia d’amore in tutti gli effetti. Un solo appunto, a Baglioni: questa storia non è nostra, è davvero la sua. Noi abbiamo solo il privilegio di ascoltarla, e ogni tanto anche di viverla.

Ne è uscito un disco estremamente coerente con tutto il suo canzoniere, che aggiunge tasselli non riprendendo i fili della Trilogia, ma ragionando su tutte le sue tematiche esposte in tutto il canzoniere. Qualcuno ha osservato che “mancano gli altri”, ed è vero: Claudio ci porta dentro sé stesso, nei meandri del sé stesso. Non lo fa con il gioco del doppio (Claudio-Cucaio), non lo fa con la filosofia di Bergson o di Nietzsche, ma ci porta dentro i meandri di una persona che ha avuto la (s)fortuna di essere artista, e che non ne può fare a meno: ci fa entrare dentro un dramma interiore che tutti noi possiamo vivere, anche se non facciamo gli artisti di mestieri, perché infondo ogni uomo vivere per essere chi, e non chiunque.  Parlando di sé stesso, e NON DI NESSUN ALTRO, Baglioni riesce a regalarci un disco introspettivo, che possiamo usare come mezzo per farci un esame di coscienza, per ragionare sul nostro rapporto con la vita, con il mondo e con l’altro, e sì, anche con il sentimento dell’amore.

Insomma, niente male per un settantenne che ha già scritto tra le pagine più belle della canzone d’autore italiana

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

10 Commenti

  1. nell’anno di Dante sembra o forse lo è un richiamo al sommo poeta. In “questo bosco in cui mi addentro” è l’ inizio del viaggio: inferno purgatorio e paradiso. Grande Claudio, UN GENIO!

  2. Ciao a tutti. Ho letto in questi giorni, con molta curiosità, il dibattito nato tra noi appassionati di Claudio su quello che è probabilmente il suo ultimo lavoro di inediti. Ci siamo divisi tra chi lo ritiene un’opera straordinaria e chi lo ritiene lontano dai lavori migliori del nostro idolo. Io penso intanto che il suo popolo sia cambiato. Abbiamo raggiunto in tanti i 50, 60, 70 anni e più di età. E probabilmente siamo noi i primi a non recepire nella stessa maniera la sua musica. Se Claudio dovesse riscrivere oggi “accoccolati ad ascoltare il mare” probabilmente sorrideremmo. Ma tanti di noi sono legati a quel tipo di musica. Sapeste quante volte ho discusso con gli stessi fan perché sostenevo che il vero Baglioni è stato quello da Strada Facendo in poi. Invece ancora adesso molti fanno riferimento a quei primi album, per carità, meravigliosi, ma ormai lontani dal nostro modo di essere a quest’età. Ci siamo trovati spiazzati negli anni scorsi con testi complicati e lontani da ciò che aveva abituato a farci sentire. Però le persone cambiano, Claudio è cambiato. Dobbiamo accettarlo come abbiamo accettato i nostri di cambiamenti. E per tornare al nostro album, dovremmo riuscire a giudicarlo come se noi ascoltassimo Baglioni per la prima volta. Dimenticando ciò che è stato. Ma capisco che sia impossibile. 50 anni di carriera e di viaggio fatti con lui non si possono scordare. Per cui i paragoni vengono naturali.
    IL DISCO. L’ho ascoltato. Più volte. Cominciamo dalle cose che ci sono in più, secondo me inutili. I 4 interludi. Non danno nulla, tra l’altro nascono un’idea già usata. Citare se stessi può essere naturale, copiare forse no.
    GLI ANNI PIU BELLI. Io l’avrei tenuto solo come singolo, alla pari di Avrai che fu pubblicato prima di Strada Facendo ma non inserito nell’album. E’ un pezzo già sentito, tra l’altro con testi che non lasciano il segno.
    I 4 PEZZI ACUSTICI. Onestamente, fosse stato un omaggio avrei anche potuto capirlo. Ma dover pagare in più per ascoltare gli stessi pezzi suonati solo con chitarra o piano, non credo abbia molto senso. Però, siamo in un paese di libera scelta, per fortuna. Quindi chi ha voglia lo faccia.
    IO NON SONO LI. Non avrei scelto questo pezzo come singolo di lancio. Ce n’erano altri secondo me di maggiore impatto. Più orecchiabili, più accattivanti. Se proprio dovevi scegliere una canzone d’amore, allora meglio Mal d’Amore. O Uomo di varie età che penso racchiuda il Claudio più nazional popolare.
    REO CONFESSO. Torno al discorso del citare ma non copiare. Perché una canzone uguale ad una sua precedente? Ce n’era bisogno?
    Al netto di questo, ciò che rimane resta un buon album. Alcuni pezzi come Pioggia Blu, Mal d’Amore, Mentre il fiume va, Uomo di varie età, Uno e due, valgono come si dice il prezzo del biglietto. Meno Dodici note o Come ti dirò che sono buoni brani ma che ripercorrono sempre la traccia di pezzi “inno” o “solenni”.
    Che dire. Probabilmente questo è l’ultimo dei suoi album. A livello di inediti. Gustiamocelo, ricordandoci come ho detto all’inizio che certe stagioni non tornano più. Ciò che Claudio ha fatto rimane. Chi lo ha conosciuto musicalmente nel tempo sa cosa è stato capace di fare. Dobbiamo fare pace con noi stessi ed accettare ciò che lui è diventato e ciò che noi siamo diventati.
    Per tutto e per sempre, grazie Claudio.

  3. Come sempre in analisi molto attenta però in fondo la cosa bella dell opera d arte che sia un disco un libro un film o un quadro è quello che la stessa opera riesce a dare in base al suo stato d animo e ad esempio nelle canzoni ogniuno di noi in una canzone può provare qualcosa di diverso e in questo caso la canzone è bella perché riesce a dare sensazioni e chiavi di lettura diverse ! Credo sia capitato a tutti noi di leggere un libro a scuola che magari ci ha lasciati indifferenti per poi riprendere in mano lo stesso testo molti anni dopo e amarlo solo perché quando L abbiamo letto a scuola avevamo L interpretazione di chi ce lo faceva leggere e captavamo le sue emozioni ma non le nostre ! Il bello di ogni opera d arte è che è libera e ogniuno di noi dal più colto a chi ha studiato meno ha le sue emozioni ! Una canzone non va spiegata va ascoltata ballata suonata cantata e ciascuno lo fa a modo suo ! A me personalmente molte canzoni di questo album hanno emozionato senza pensare se una assomiglia all’ altra o se è una scoperta geniale

  4. Grazie Luca per l’analisi molto dettagliata. Ho bisogno di lavoraci su. Nell’immediatezza della lettura alla recensione ho trovato accordi e disaccordi. Sarà che il primo giudizio, quello di pelle e d’istinto, basato sull’aspetto puramente emozionale, per me ha un grande peso.
    Al primo ascolto dell’album la mia valutazione più sommaria è stata questa per punti:
    -tre pezzi davvero importanti, al pari degli Everest baglioniani, ossia Come ti dirò, Pioggia blu e Mal d’amore.
    -un album storia in cui non ho trovato un flusso organico e distintivo che si srotoli bene e si possa leggere in modo armonico, piuttosto un insieme di brani legati fra loro un po’ forzatamene ad erigere un’architettura di un percorso/storia che alla fine non mi risulta ben delineata.
    -l’accoppiamento di “Io non sono lì” e “lei lei lei lei” una susseguente all’altra nell’ultima quartina di tracce (ultimo dei 4 tempi della storia), l’ho vissuta come una ripetizione, un insistere sullo stesso tema, seppure i due brani raccontino il primo in modo più evocativo l’assenza e il secondo si concentri più sugli aspetti fisici della mancanza mettendoli in raffronto con oggetti e luoghi di casa. Ma nel complesso battono entrambi sullo stesso punto.
    -ho apprezzato lo sforzo compositivo mai banale e certamente curato, restituendoci comunque un lavoro raffinato ed elegante, in stile al Baglioni degli ultimi anni e di oggi.
    -non ho pienamente apprezzato certe forzature sulle parole ad acchiappare rime come “una fuga da ribelli/un pugno di granelli”, oppure “occhi di laguna/ladri di fortuna” per citarne alcune, oppure viso con sorriso etc, mentre ne ho trovate altre azzeccatissime e di grande impatto come “come ti dirò messo sotto esame qual è il senso di questa malia che non va via che ha fame”, oppure “lungo i chiaroscuri della faccia sopra il volo ambrato delle braccia sulle labbra morse senza fiato sempre a caccia.” (qui la rima che chiude con caccia è fortissima a mio parere).
    -in ”Mentre il fiume va” ho trovato un testo che per costruzione risulta simile a molti pezzi in “Oltre “ e “Io sono qui”. Ho ritrovato quel Baglioni, quel modo di scrivere. Geniale con trovate sublimi. Un testo molto brillante e frizzante.
    E’ certamente l’album di commiato di Claudio. Come fosse l’ultimo saluto in grande stile (spero ovviamente di no). È un album bilancio, resoconto, di un grande artista, di una grande carriera. Già questo sarebbe sufficiente per inserirlo fra i monumenti musicali della musica leggera italiana, dato che si parla di lui. Si respira una profonda malinconia. Per il tempo che è passato, per la grande avventura che è stata.
    Io personalmente ho sempre il maledetto vizio di rapportare i suoi lavori post 1990 a “Oltre”. “Io sono qui” ci è andato molto vicino, gli altri li ho vissuti lontani da quella cima artistica che è “Oltre”. Ma mi dico che è anche ora di finirla. Ogni periodo della vita di ciascuno ha le sue priorità e le sue identità. Le canzoni sono figlie di un preciso momento e non sono ripetibili, come non è ripetibile lo spirito artistico che le ha generate. Dunque da qui per dire che questo album è il grande saluto in grande stile, con eleganza e un talento mai sopito, di Claudio, e come tale va vissuto, letto e accolto.
    Riascolterò l’album sulle traccia dell’analisi di Luca. Se fossero davvero così sottili e ampi i contenuti dell’album, in cui il percorso di ascesa sospensione caduta e risalita (questo ciclo/storia così suddiviso è un dato di fatto perché detto direttamente da Claudio in una intervista), è riferito al tema dell’amore e contemporaneamente, in affiancamento anche al suo percorso artistico e personale, allora sarebbe da rivalutare in termini di un lavoro discografico di ben altro spessore e trasmissione comunicativa. In questo caso, per l’apprezzamento in pieno del suo lavoro, senza tralasciare neppure un pezzettino, ci vorrebbe il suo pubblico più attento che conosce sia il percorso artistico che quello personale. Sarebbe un lavoro dedicato ai baglioniani, che sarebbero gli unici in grado di coglierne le sfumature e delinearne il quadro artistico completo.
    Ci rifletterò su e lo ascolterò secondo queste interessanti indicazioni. Grazie Luca.

  5. Ho letto il tuo commento Luca… il mio giudizio sta cambiando man mano che ascolto l’album nuovo di Baglioni. Forse il primo ascolto è condizionato dal metodo che usiamo che è quello di cercare delle somiglianze con le canzoni precedenti e questo depista l’ascolto, lo contamina, lo inquina e non predispone a cogliere il messaggio nascosto in questo nuovi capolavori. Se dovessi dare un consiglio a Baglioni potrebbe essere quello di provare a cambiare gli arrangiatori senza nulla togliere alla bravura di Gianolio e di Valli…

  6. L’unicità di tutta la produzione artistica di Baglioni è sempre stata il personale che diventa universale, come a guardare “una palla di vetro che a girarla viene giù la neve”. Qui forse manca lo sguardo sugli uomini persi o su una spogliarellista al tramonto, ma c’è lo sguardo sulla parabola dell’amore, sublime in tanti brani, immenso in ComeTi Dirò, un diamante di riferimento per qualunque canzone italiana che verrà.

  7. Ciò Luca, mi piace la tua analisi, sarei curioso di sapere che no pensa Lui, CLAUDIO BAGLIONI e se davvero le cose stanno così come le hai analizzate tu, allora sei un genio. In ogni caso grazie per averci fatto riflettere.

  8. Mi spiace Luca, se già su Facebook su certe punti di vista eravamo in contrasto, adesso trovo proprio un muro netto fra la mia e la tua valutazione. Ci mancherebbe, non dobbiamo essere d’accordo.
    La tua recensione mi dà l’aria di un “Sì, però”.
    “Mi piace quella canzone, però..”
    “Il testo bello, però..”
    Non perché mi interessi celebrare questo lavoro di Claudio Baglioni, non mi serve, lo ascolterò a prescindere il tuo giudizio e i confronti con le opere precedenti, ma non ci siamo proprio, sfido qualunque autore – mettendo anche noi stessi al di dentro – a scrivere qualcosa di leggermente avvicinabile a quello di “mal’damore”, “come ti dirò”, piuttosto che “reo confesso”.
    I rimandi, poi, come da lui stesso ammesso ed annunciato, sono tutti voluti.
    Sembra quasi tu abbia bisogno di sconfessarlo questo lavoro, sento che non ti emoziona e se non ti emoziona, lascialo andare, lascialo perdere, perché le valutazioni tecniche sono comunque relative.
    C’è tanto impegno, c’è tanta produzione dietro a questo album e si coglie tutto. Poi, certo, non è “La vita è adesso” dove parlava prevalentemente di terzi, ma parla di sé in qualcosa di verosimile e lo fa in maniera altamente poetica, a tratti semplice, a tratti complicata.
    Mi spiace, speravo in una visione diversa da parte tua.
    Con la stima e la simpatia di sempre.

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