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A Clà come è andata poi (Premio Tenco)

“A CLA’ COM’È ANDATA POI?”
È andata che hai vinto, finalmente
Paolo Talanca

Claudio Baglioni vince il Premio Tenco, e questa è una buona notizia.

Cominciamo però da una provoca zione: per anni buona parte della critica di sinistra l’ha considerato il cantante delle ragazzine, che pare sapesse scrivere solo canzoni d’amore adolescenziale.

Uno dei più grossi abbagli del giornalismo musicale italiano.

Quali sono le motivazioni?

Vediamo.

Baglioni è nato artisticamente solo. Non viveva nella piccola e fervente Genova; non frequentava il Derby, il Santa Tecla o l’Osteria delle Dame.

E nemmeno il Folkstudio. Nessun movimento musicale, nessun circolo, nessuna parrocchia. Quando parla dei suoi inizi a vent’anni, ricorda mesi e mesi di inerzia nella RCA, a cui propone le sue canzoni con velleità da cantautore.

Poi, nei corridoi, incontra quasi per caso quelle poche persone con cui stabilire un rapporto umano degno di questo nome; da lì un viaggio in Polonia, seguito da una lunga permanenza, gli fanno capire con quali parole arrivare alla gente.

Nasce così Questo piccolo grande amore. C’è una bella e lunga intervista di Michelangelo Romano per Lato-Side
del gennaio del 1977, in cui Baglioni parla chiaramente delle sue intenzioni in quel momento:

«Semplicità di linguaggio dei testi e un certo rigore come musicista, ho scelto di fare cioè delle cose facili ma non banali, com prensibili a un pubblico che considero intelligente e non come una mandria di deficienti».

Claudio Baglioni, classe 1951, ha un apprendistato certamente cittadino e metropolitano. Ma il suo luogo di provenienza è la borgata periferica non ideologizzata, il posto in cui (ancora dall’intervista a Romano) la massima aspirazione rivoluzionaria

«era la chiassata nel cinema dopo aver passato la giornata a sturare i lavandini o a smontare le bobine dell’automobile, era fregare la ragazza bene al ragazzo della Balduina o dei Parioli».

Probabilmente, a una certa intellighenzia di sinistra, spaventava tutta questa realtà che abitava la vita vera fuori dagli schemi ideologici.

Quel porsi di fronte alle cose in modo pragmatico, disincantato e spesso candidamente disimpegnato, proprio di quella gente, era raccontato in tutti i dischi di Baglioni. Era anche quella la realtà, non solo la lotta tra buoni e cattivi. Erano i ragazzi di Questo piccolo grande amore, che lasciavano i tumulti sociali sullo sfondo, o i pro- tagonisti di Poster e Lampada Osram. Era la «gente che fa la Storia», poi cantata da De Gregori, quella che ti ritrovi con gli occhi aperti e che sabenissimo cosa fare, che Baglioni cantava già nei suoi tanto bistrattati album degli anni Settanta.

Quei critici, che venivano da sinistra, le periferie di Baglioni non le capi vano. Anzi, le disprezzavano.

Vedete com’è utile la storia della canzone per capire il mondo di oggi?

Claudio Baglioni raccontava la gente comune e lo faceva con onestà, senza mettersi dietro una cattedra, senza lanciare messaggi o dire agli altri come si deve vivere.

Dopo quei “criminosi” anni Settanta, comunque, Baglioni si è rinnovato continuamente, diventando più com- plesso ma mai ostico all’ascolto. Ne siano prova i due lavori degli anni Ottanta, Strada facendo (1981) e La vita è adesso (1985), in un periodo in cui sembrava che le persone non volessero più ascoltare le parole dei cantautori; e invece, secondo Enrico de Angelis che ne scrive nel 1986, «ha imprevedibilmente ripristinato tra i giovanissimi un valore che avevamo creduto atrofizzato per sempre: quello della parola, dell’ascolto […].

Sono proprio i nuovi testi ad essere bellissimi: dicono in bella forma e con ispirata commozione cose sensate, comprensibili e concrete, al contrario dell’andazzo corrente (anche tra i  cantautori) e in linea invece con la canzone d’autore classica».

Insomma: Baglioni a quel punto avrebbe potuto pubblicare canzonette in serie. E invece no, si è sempre rin novato, ha continuato a raccontare la realtà, confermando e stratificando anche un’elegante e talentuosa capa cità compositiva musicale con il gusto del racconto dal taglio cinematogra- fico. Ascoltare, per credere, l’anda mento movimentato e significante della melodia di Fotografie (1981): c’è invenzione, guizzo, gioia; oppure provate a cantare alla chitarra un brano come Notte di note, note di notte (1985). La melodia dialoga con l’armonia, la completa e sembra che da essa voglia fuggire, acquietandosi nei passaggi in cui si tocca con mano la larghezza placida e lunare della notte, quasi sempre sull’accordo di  dominante, che nella prima strofa acquisisce protagonismo, fino a scandire i sostantivi nella seconda: un accordo in genere sospeso, che qui appare centripeto e materico, nell’atmosfera dilatata.

La musica nei brani di Baglioni non si limita ad accompagnare le parole, ma costruisce una tela sonora esclu- siva, che indirizza e dona significato a certe evocazioni testuali, a volte più narrative e plastiche, altre più schizzate, analogiche e liriche, come nel caso di Oltre (1990) e gli altri due dischi della Trilogia dei colori: Io sono qui (1995) e Viaggiatore sulla coda del tempo (1999). Il passato, il presente, il futuro. Tre album cen- trali, fondamentali, che cambiano nuovamente rotta per un intimismo estremo e presentano cura maniacale nell’armonia, nella melodia e nelle timbriche, oltre che nell’architettura e nello sviluppo del contenuto.

Nel finale di A Cla’, l’ultimo brano di quella trilogia, c’è un passo che recita così: «A Cla’ com’è andata poi? Sai se abbiamo vinto noi? Perché io so solo che con te di nuovo so sorridere ,e un giorno imparerò anche a vivere».

L’autenticità come approdo. In fin dei conti, nel corso degli anni, ciò ,che si deve chiedere a un cantautore non sono solo le belle canzoni. Biso- gnerebbe piuttosto sperare che resti fedele a se stesso, che resti sempre ,vivo lo slancio e lo sforzo di far com- baciare l’uomo con l’artista.

Si prenda a esempio l’ultimo disco, In questa storia che è la mia (2020). Baglioni che fa pace con il passato, in un album di interni, orizzontale nella scrittura e verticale nel duello con se stessi e nelle pene d’amore. Nei decenni passati, la voglia di alzare sempre l’asticella della scrittura e la  frenesia di risultare differente erano venuti certamente da un bisogno personale di ricerca artistica; ma forse anche per dimostrare, prima di tutto a se stesso, quell’onestà di intenti che facesse combaciare l’arte con la vita, chiamata nelle canzoni in diversi modi.

Ora “attimo di eterno”, ora “eterno istante”. L’ultimo disco ha perciò rappresentato un approdo: Claudio che fa pace con Baglioni, si accetta, canta l’amore in totale libertà.

È arrivato tardi il Premio Tenco a Claudio Baglioni. Tardissimo. Ma oggi è ancora più significativo, perché ha suggellato un percorso di estrema autorialità. Forse non è un caso che questo riconoscimento giunga in questi anni in cui il Club fa capire che non è guardando all’ambito d’origine delle canzoni – tanto meno se politico – che se ne celebra la qualità.

Lo si fa tenendo conto dell’onestà di scrittura, legata a fattori estetici imprescindibili, ovviamente.

Ecco allora che, in conclusione, mi tocca ancora citare l’intervi sta a Romano del 1977, perché queste parole, dette da Baglioni ben quarantacinque anni fa, sono la summa degli intenti che il Club Tenco ha perseguito negli anni più recenti:

«Vorrei che le canzoni, e non soltanto quelle che faccio io, venissero accettate senza fanatismi ma anche senza snobismi, senza etichette e classificazioni troppo rigide e rigorose, che ne snaturano il senso, la spontaneità e l’immediatezza, per eccesso di intellettualismo».

redazione

La redazione di doremifasol.org e saltasullavita.com è composta da tanti amici ed appassionati della musica di Claudio Baglioni, coordinati dal fondatore e amministratore Tony Assante. Un grazie a loro per il lavoro e l'aiuto apportato a questo portale - Per scrivere alla redazione usare wop@doremifasol.org

Un Commento

  1. Vero… però ( posso sbagliarmi, la memoria mi può giocare brutti scherzi), è stato proprio Cla’ a traumatizzare tutta Italia, in positivo o meno, cantando una versione spettacolare de ” El Pueblo unido jamas sera’vencidos” con gli Inti Illimani. E Claudio aveva anche dedicato una canzone a Gagarin…bastava saper ascoltare. Grande Claudio!

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