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Claudio Baglioni #50GiorninVersi completo

#50GiorninVersi

Per chi desidera rivivere l’attesa dei 50 giorni che hanno preceduto l’evento di Lampedusa con l’anteprima del GrandTour de La Vita è Adesso, abbiamo raccolto in un unico spazio tutti i 50 sonetti che Claudio Baglioni ha pubblicato giorno per giorno.

Un viaggio di parole da rivivere insieme.

Di seguito la raccolta completa
Buona lettura!

#50GiorninVersi

se ci riuscisse d’invertire i tempi
mandare gli orologi all’incontrario
avere paradossi come esempi
girare sottosopra il calendario
le cause mutare in conseguenze
le andate ci parrebbero ritorni
gli arrivi sembrerebbero partenze
e mancano così cinquanta giorni

mio padre mi scriveva da bambino
pensieri buoni come il pandispagna
quartine doppie con un finalino
usanza delle feste di campagna
io qui con rime rigide e alternate
mi sono sottoposto a queste prove
che finiranno insieme con l’estate
se oggi siamo già a quarantanove

ho cominciato quasi un po’ per gioco
come a volermi togliere uno sfizio
andando avanti giusto ancora un poco
prima che poi diventi un vero vizio
lo sfondo di domenica al tramonto
gettando sguardi verso l’isolotto
e un altro sole da sommare al conto
e sono solo a meno quarantotto

siccome non ne avevo già abbastanza
mi son trovato un’altra occupazione
e quindi anche quel poco di vacanza
la vivo ancor con più preoccupazione
che non c’è niente poi di eccezionale
in queste banalissime strofette
se non ci fosse un tocco maestrale
a soffiar via pure il quarantasette

la testa tra le nuvole di vetro
in un pensiero che più tardi posto
con dei dodecasillabi per metro
adatti per il dodici d’agosto
ma questi endecasillabi son giusti
per scrivere dei versi come i miei
che sono di proposito vetusti
per dir che andiamo per quarantasei

non servirebbe altro a questa scena
tra il vino bianco e la tartare di tonno
a un’ora che non è né pranzo o cena
che pieghi il capo e navighi di sonno
in una giravolta blu di un’onda
sul mare che si stira come un gatto
e ti risvegli in una cifra tonda
che mancano quarantacinque al fatto

scoprire ieri ritornando al porto
che non lontano c’erano altri lutti
e ancora tra abitudine e sconforto
un’altra volta abbiamo perso tutti
e che si somma sempre verso il peggio
in una graduatoria amara e scialba
se ognuno segna il proprio suo conteggio
e un gelido quarantaquattro all’alba

il mare si va a stendere giù calmo
come fa il cuore al calo di ogni sera
è un po’ come passare con il palmo
su e giù per farlo diventare cera
e sembra più distante l’orizzonte
quel limite di terra di confine
e le vigilie per andare al fronte
sono quarantatré fino alla fine

nell’aria c’era stato un gran fermento
tripudio di colori in uno schermo
poi all’improvviso si è azzittito il vento
e intorno tutto è divenuto fermo
si approssima nel cielo un’altra notte
in cui tracciare appunti sulle carte
fantasticando e disegnando rotte
quarantadue virate e poi si parte

un altro amico è andato e ormai è un ricordo
nell’album della vita in bianco e nero
si sale e poi si scende giù da bordo
e il sogno vola via sul suo veliero
in acque di bonaccia o di tempesta
portandosi qualcosa di ciascuno
e a noi rimane solo quel che resta
e un conto alla rovescia a quarantuno

che bello stare qui senza parlare
e pure intorno non si sente un suono
la costa sembra un gigantesco altare
e mentre scende lento giù dal trono
il sole dà la sua benedizione
in coda di un crepuscolo che incanta
le barche in fila come in processione
di giorni giunti al numero quaranta

il vento ha un profumato intenso odore
che balla tra il libeccio e lo scirocco
e si può pure spegnere il motore
così da navigare con il fiocco
e l’isola è la punta di una cima
che il mare assedia ma lei non si muove
come con le parole fa una rima
in questa litania di trentanove

c’è come un grande mantice là in fondo
che gonfia in alto e in basso la marea
di un altro pomeriggio sullo sfondo
a caccia di una nuvola d’idea
e mentre penso seguo con lo sguardo
nel blu criniere e code di onde al trotto
che passano gridando sul traguardo
con scritto sopra il numero trentotto

dà sempre un po’ una scossa suggestiva
se appena svegli si aprono le tende
il fatto che una stessa prospettiva
già vista mille volte ti sorprende
ci sfrecciano in pattuglia due gabbiani
in un’esibizione di piroette
che termina in un bis di battimani
e s’allontana insieme al trentasette

la sera scende con un grigio umore
e spegne fuochi e braci nel suo forno
che muta sia la forma che il colore
e il cielo è come un sogno di ritorno
un tetto di pensieri senza nomi
laggiù sulla terrazza degli dèi
i pesci vanno in schiera come automi
sfilando incontro al giorno trentasei

un corpo trova in acqua la sua culla
il nido di una vita primitiva
in cui la nostalgia non pesa nulla
e giace allontanata sulla riva
ci si potrebbe pure addormentare
su tenui ninnananne di risacche
al lume d’abat-jour delle lampare
in una veglia a trentacinque tacche

un’alba è una promessa di avvenire
la luce di un domani già distante
la vita che non smette di fluire
riflesso dell’eterno in un istante
non ci si ferma dal pensare a quando
dovremo avere preparato tutto
si strappa di domenica il tagliando
di questi trentaquattro dì al debutto

il pomeriggio cade sugli scogli
e rotola giù in basso a passi sghembi
le spiagge delle cale sono fogli
che accolgono il turchese come grembi
e c’è qualcosa in aria di diverso
che liscia il viso e ti tormenta il ciuffo
e resta lì a ruotare di traverso
per trentatré rincorse al grande tuffo

lungo il pontile ruggine di sete
imbratta il dondolio di un peschereccio
messo a riposo insieme alla sua rete
che asciuga sopra un filo di libeccio
un cane piscia e va con noncuranza
per dire che le zone sono sue
come la sera lentamente avanza
così con questa sono trentadue

i fichi d’india mostrano le spine
che stanno lì per custodirne i frutti
proteggerli così fino alla fine
come i dolori fanno con i lutti
le onde furenti schizzano al galoppo
quasi che si recassero a un raduno
mentre vanno scappando col malloppo
dei giorni che ora assommano a trentuno

in mezzo al mare non ci sta una barca
e libero s’infrange sulle sponde
da un tremulo orizzonte che s’inarca
tra gobbe imbufalite e furibonde
muggisce il vento sui cammini angusti
nei curvi corridoi di una tormenta
lasciando traccia di aspri retrogusti
in questa aspettativa data a trenta

sgusciando tra le pietre del dammuso
levante sbuca in fondo al ripostiglio
su tante cose andate ormai in disuso
e ogni ricordo suscita scompiglio
una malìa d’autunno tropicale
fa un caldo appiccicoso ma non piove
e fuori e dentro si appariglia uguale
temperatura e giorni a ventinove

il cielo si è riverniciato azzurro
senza screpolature e senza ombre
che l’aria nuova asciuga in un sussurro
nell’indolenza e nella mente sgombre
le ultime nubi sono già ai saluti
se non ci fosse da pagar lo scotto
di terminare in undici minuti
gli endecasillabi del post ventotto

bagliori d’oro a margini soffusi
dal sole dietro l’albero maestro
spiarlo con gli sguardi semichiusi
mentre penzola appeso sul capestro
dà via l’ultimo scampolo d’agosto
l’estate di toppini e di magliette
e ciò che resta vende sottocosto
che attesa e data fanno ventisette

in tutto ieri non ho fatto niente
e oggi vorrei far la stessa cosa
poiché non ho finito interamente
così la mente intera si riposa
il pomeriggio abbassa la sua voce
tra aromi d’olio e ariette di parei
in questo corso sempre più veloce
che il calendario marca a ventisei

il mare è ancora molto capriccioso
dove le coste affondano le gambe
che in un impazzimento vorticoso
ruotano incontro a un mescolìo di sambe
in cui mi getto lungo a capofitto
e vado avanti a spinte e giravolte
alla metà precisa del tragitto
che ho fatto proprio venticinque volte

un sole a forma di corolla sboccia
nel vuoto di un’acuta nota fissa
e illumina di brividi la roccia
che con i fianchi scabri s’inabissa
un refolo fa muovere la palma
come una marionetta del puparo
in una fiacca intorpidita calma
e ancora ventiquattro giorni al varo

la mente è un luogo immensamente grande
per starci tutti quanti quei pensieri
che cercano risposte alle domande
e insegnano preghiere ai desideri
il cielo è un piatto fondo in porcellana
che ci ricopre e ci conserva gli occhi
la volta di una chiesa e una campana
che batte al cuore ventitré rintocchi

si vedono soltanto ormai i profili
nell’aria che scurisce di misteri
le barche son lusinghe sui pontili
che aspettano domani già da ieri
le prime luci accendono un presepe
con luna e sole come asina e bue
che vegliano sull’isola di pepe
la sera di vigilia ventidue

un fuggi via di alati sopraccigli
a mezza costa dove c’è la frana
e i massi in crollo formano giacigli
controcorrente ai pesci in fila indiana
a fine dì si pensa più alla vita
che dà le carte a tutti uno per uno
se hai perso ancora o vinto la partita
con il punteggio pieno di ventuno

lassù la rossa musa ispiratrice
che ruba gli occhi quando il cuore langue
artista di burlesque o domatrice
stasera si traveste color sangue
in frac o in lingerie lei che seduce
e tiene a bada sensi e sentimenti
da quella scena immane che riluce
su un palco che si accenderà tra vénti

la sabbia cambia aspetto a ogni passaggio
come se avesse nostalgia di un peso
poter restare l’orma di un messaggio
di chi ha lottato e ancora non s’è arreso
in ogni stanza in cui qualcuno attende
c’è un vecchio mappamondo dell’altrove
un cielo immaginato oltre le tende
il numero in ritardo diciannove

a prima sera il mare è un tempio bruno
un santuario ignoto un luogo sacro
non c’è rumore e non c’è più nessuno
e stare in acqua è il tempo di un lavacro
fa quasi male dopo uscirne fuori
come se fosse un coito interrotto
e senza l’illusione di altri amori
fermando adesso il computo a diciotto

l’arbusto si difende con gli artigli
dal vento che da sud ride a stantuffo
e imbroglia e imbriglia le onde nei grovigli
e sulle rive in mille assalti a sbruffo
nel gran soffitto nubi mosse a fiocchi
come giostrine d’api e di civette
sospese sui lettini dei marmocchi
che a dita incerte fanno diciassette

chissà perché fa sempre un bell’effetto
l’istante in cui si rientra nella tana
e sembra tutto in ordine perfetto
anche se intorno poi c’è una buriana
qualunque cosa torna familiare
così com’era prima dell’estate
è stata buona buona ad aspettare
da un po’ e per altre sedici puntate

la linea cieloterra è più sottile
su tela controsole in filigrana
la cupola che svetta è un bel monile
in cui i riflessi fanno la gincana
come i pensieri affollano la testa
e sono fili e piume e pietre e sassi
sul manto di una via di cartapesta
dove risuonano quindici passi

il cielo grigio cenere è una coltre
la cappa di uno spento focolare
e non si può perciò scrutare oltre
ma poi in aiuto viene da pensare
che la bellezza è un bene di conforto
solcando un verde oceano di colline
per fare vela verso il vecchio porto
puntando su quattordici alla fine

nell’aria risucchiata sottovuoto
fissare la città mentre si spiana
tra storie comandate da remoto
come spiarla alzando una sottana
di un pomeriggio assente e bianco smorto
che si rimangia tutti i suoi respiri
in un’ascesa che fa il fiato corto
e si consuma in tredici sospiri

un panorama è sempre un capogiro
di cui si ha un po’ timore e un po’ attrazione
è insieme un volo libero e un raggiro
perché ti tiene dentro una prigione
una sirena urla a intermittenza
sugli alberi che smuovono le chiome
e il giorno tiene il ritmo e una cadenza
con una pausa in dodici biscrome

un sole gonfio che lampeggia il quadro
sui vetri e le verande dei palazzi
poi fugge e si nasconde come un ladro
sparendo dentro i vicoli paonazzi
un brulichìo di macchine più fitto
si accoda in una marcia di soldati
per la destinazione è sempre dritto
su questa strada ad undici isolati

un’altra notte da passare in piedi
con stelle a macchie e a schizzi biancocalce
che non c’è sonno e non ci son rimedi
ai tagli di una luna fatta a falce
un ostensorio oscuro da adorare
tra cori e litanie di mille preci
quando si alza e tira a strisce il mare
il fiato di maestrale ad ore dieci

le nubi alte sembrano bandane
in cerca di avventure e un nuovo vento
brusìo d’irrequietudini lontane
che lasciano macerie di spavento
poter essere saldo come un faro
che rotea sguardi e occhiate in ognidove
fra i turbinii di un vortice corsaro
negli attimi che scadono tra nove

nel blu dietro la costa zabaione
stan pascolando le barchette bianche
ferme vicino a un cambio di stagione
e anche loro sembrano un po’ stanche
che le giornate sono già più corte
e a sera il cuore è come un bussolotto
in cui vanno a giocare vita e sorte
che lancia i dadi e viene fuori otto

una marea ci ha messo sotto assedio
coi suoi sfiancanti attacchi da levante
le cucciole si scialano in un tedio
che russa tiritere di acque infrante
poter sperare pure in uno stallo
di quelle inesorabili lancette
e invece tra non molto inizia il ballo
che sul programma sta alla riga sette

avanza sopra un filo d’orizzonte
come un equilibrista l’aliscafo
ogni anima risale alla sua fonte
e ricomincia a usare sogni a sbafo
nel cielo che scurisce già la pelle
tra le galassie a grappoli di nèi
su numeri in miliardi di cartelle
che per far bingo ormai si va per sei

gli sguardi e il cuore restano in ostaggio
per colorare i tasti a un pianoforte
e imprimere emozioni in un tatuaggio
come in un’incisione in acquaforte
le case scendono sulla scogliera
con le cornici gialle azzurre e rosse
finestre e porte sono una scacchiera
su cui finire il gioco in cinque mosse

distante fiata l’eco di un rimbombo
qualcosa il cui rumore lo precede
finché nell’aria irrompe acuto un rombo
e un aeroplano passa e non si vede
sotto un celeste carta caramella
l’ansia fa avanti e indietro a piedi scalzi
come guardare fissi un’asticella
e poi contare ancora quattro balzi

sugli orli delle cale le collane
che schiuma un mare a righe blu e smeraldo
partito dalle costole africane
da un alito d’estate ancora caldo
fin qui verso la fine della fiera
e si comincia a metter via le mappe
di questa inenarrabile crociera
con il rollìo residuo di tre tappe

mentre i pensieri fanno un’altra ronda
e l’aria sa di pane abbrustolito
si è teso come il tiro di una fionda
un cielo da toccare con un dito
che è quasi pronto a mettersi in azione
quando le barche allineano le prue
insieme nella stessa direzione
con il countdown che marca meno due

ormai si può vedere quasi il retro
della colonna della carovana
e sembra un po’ di muoversi all’indietro
tra perle di un rosario che si sgrana
e tutte insieme fanno una manciata
che con quest’oggi termina il digiuno
nei lunghi giorni della traversata
e di deserto manca appena uno

 


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Max Sott

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