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“I figli della notte” di De Sica


I film sull’adolescenza sono un genere poco frequentato e i pochi che sono stati girati spesso evocano repertori di banalità. Non è il caso de “I figli della notte” dell’esordiente Andrea De Sica (buon sangue non mente). La critica italiana ha salutato l’opera con entusiasmo. In effetti adesso la pellicola punta alla prova del pubblico internazionale anche con la sua presentazione in concorso al Festival del Cinema Italiano di Annecy, Francia. Il protagonista è Giulio che finisce in un collegio prestigioso per rampolli benestanti. Se fossimo in Gran Bretagna Giulio sarebbe un Eton boy, cioè uno degli studenti del piu’ prestigioso liceo d’Inghilterra. Qui invece siamo sulle Alpi orientali in una Dobbiaco-Toblach simbolo di quello scenario europeo in cui la confluenza della latinità e del mondo germanico dovrebbe poter fiorire. Nel folto della foresta i figli della notte sono gli ‘uomini lupo’, di draculiana memoria. Il regista affronta il rapporto fra gli adolescenti e la morte. Gli psicoanalisti e gli scrittori dicono che i giovani pensano alla morte più di tutte le altre categoria di persone. Cosi’ si schiudono le azioni e le parole. Le parole e le azioni, la notte. Le fughe. La perlustrazione di un ambiente geografico che diventa immediatamente interiore, fantastico e tragico allo stesso tempo, capace quindi di affrontare la dimensione inziatica della sessualità anche attraverso corpi mercenari. Ecco che l’ex Gran Hotel di Dobbiaco diventa la base di uno spazio mitico che puo’ rintracciarsi ovunque in Europa e nel mondo. Non conta l’ubicazione, il luogo – di stanza – è pura immaginazione e sul confine della notte e delle nevi ardono le passioni che continuano ad innescare tutto il fuoco del mondo.






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