Resoconti

Presentazione 16°cd Sorrisi

E’ la fine di gennaio del ’97 e Fabio Fazio (contornato da un drappello di giovani e brillanti autori: Pietro Galeotti, Tommaso Labranca, Massimo Martelli, Marco E’ la fine di gennaio del ’97 e Fabio Fazio (contornato da un drappello di giovani e brillanti autori: Pietro Galeotti, Tommaso Labranca, Massimo Martelli, Marco Posani e Guido Tognetti) lancia un nuovo “gioco” televisivo: il gioco della memoria. Gioco dedicato ad uno dei periodi più intensi e controversi della nostra storia: gli anni ’70. E’ “Anima mia”, la trasmissione che consacrerà Fazio stella di prima grandezza del firmamento televisivo, anche grazie ad una sorprendente, azzeccata e fortunatissima intuizione: la scelta di un insolito compagno di gioco: Claudio Baglioni. E’ questo, infatti, l’ingrediente segreto che darà un sapore totalmente inedito al progetto e renderà la ricette vincente. “Anima mia” (definito dal critico del Corriere della Sera, Aldo Grasso, “l’unica innovazione (…) nell’ambito del varietà televisivo) esplode già dalla prima puntata. Il programma è subito successo di ascolti e – cosa rarissima – diviene immediatamente un “cult”, soprattutto grazie al passa – parola del pubblico. Nelle case italiane si respira un’aria nuova e si organizzano veri e propri gruppi di ascolto, com’era avvenuto soltanto per i grandi eventi sportivi o quelle trasmissioni che avevano fatto la storia della televisione.
Il successo, tanto clamoroso quanto inatteso, è senza precedenti. Le puntate, dalle quattro inizialmente programmate, diventano sei. E, cosa ancora più importante per un prodotto ad alta deperibilità come quello televisivo, la trasmissione crea un nuovo linguaggio e un nuovo immaginario al punto che, quando il breve ciclo si chiude, resta nell’aria un gran voglia di “Anima mia”. Una sete mai esaurita, che nemmeno la coppia Fazio – Baglioni riuscirà, due anni più tardi, a togliere al pubblico televisivo, con “L’ultimo Valzer” (il cui titolo richiama un grande film di Martin Scorzese), programma televisivo di fine millennio (siamo nel 1999), ispirato alla felice intuizione di scegliere cosa portare con sé nell’ormai imminente duemila.
Con “Anima Mia” non è certo la prima volta che la televisione va a solleticare le corde della memoria. Gli episodi di questo genere, infatti, non si contano, anche perché pochi e più e meglio degli autori televisivi sono consapevoli del significato e della presa del motto romantico secondo il quale “Ogni cosa in lontananza diventa poesia”. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima. Ma era,certo, la prima volta (e sarebbe stata anche l’ultima) che un viaggio del genere avveniva in maniera non polverosa, né celebrativa o crepuscolare, ma con la sorridente leggerezza di una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola. Niente analisi storica o sociologica, niente ricerca di profondità, niente ostentazione (ricorrente e sempre sospetta) di un “come eravamo” immancabilmente migliore del “come siamo”.
La memoria, questa volta, non era altro che un gioco. Il gioco di un gruppo di ex-liceali che non hanno perso né la capacità né la voglia di sorridere (degli altri ma soprattutto di se stessi) e che hanno deciso di prendersi “un weekend sabbatico”, noleggiare un pullman e tornare nei luoghi reali o immaginari del proprio passato. Un viaggio divertente e spensierato il cui ingrediente fondamentale (e vincente) resta, dall’inizio alla fine, l’ironia.
Ciò che rese grande “Anima mia” (e che rende ancora più grande questo album, che è molto di più della semplice colonna sonora della trasmissione, in quanto cattura e condensa l’essenza migliore dello spirito di quel viaggio straordinario) è il fatto che (finalmente!) il passato non è un nemico da affrontare, né un cadavere da vivisezionare, indagando le cause della sua dipartita; non è il totem di una divinità da idolatrare, né uno scheletro nell’armadio e neppure la dolorosa elencazione di tutto ciò che non abbiamo più e che non ci resta che compiangere. Niente di tutto questo: esso è, più semplicemente (e più serenamente), una casa. La casa che abbiamo abitato in una delle stagioni più sorprendenti e misteriose dell’esistenza: quella a cavallo tra fanciulezza ed adolescenza. Un tempo meraviglioso e indecifrabile, drammatico solo in apparenza, da navigare al di fuori delle “secche” delle responsabilità. Una stagione che ci vede curiosi del presente e assetati di futuro, ma assolutamente incuranti del passato. Una casa nella quale non viviamo più da tempo e nella quale – da quanto abbiamo traslocato nella stagione “incravattata” della maturità – non abbiamo più avuto l’occasione di tornare.
Con “Anima mia”, Fazio e Baglioni, ci regalano il brivido di quell’occasione e, con questo album, Baglioni ci offre la possibilità di ritonarci ogni volta che lo desideriamo. Insieme a loro e a questa ventata di canzoni, infatti, è possibile spalancare porte e finestre, far riprendere aria alla casa, inondarla di luce e correre alla riscoperta di ogni stanza, ogni angolo, ogni ripostiglio, ogni segreto. Eccoci, allora, affascinati da mobili, oggetti, quadri, foto, libri. E, naturalmente, dalle “vecchie” canzoni. E, con le canzoni, da ogni istante ed ogni emozione di allora. Emozioni magari dimenticate ma, certo, mai cancellate, che basta nulla – un suono, un frammento di melodia, una porzione di frase – per riportare istantaneamente al centro del boccascena della coscienza.
Attenzione però: in “Anime in gioco” non troveremo la musica “colta”, “intelligente” o “impegnata”. Sui venti pezzi che compongono questo cd, sono solo quattro o cinque gli episodi che possono essere considerati, seppure per diverse motivazioni, “alti”: “Giù la testa” (dalla colonna sonora, firmata Morricone, dell’omonimo film – 1971 – di Sergio Leone), “El pueblo unido” (il brano che il gruppo cileno degli Inti Illimani portò al successo internazionale nella prima metà degli anni ’70, come simbolo della lotto contro la dittatura di Pinochet), “Canzone intelligente” (Jannacci – Ponzoni – Pozzatto), “E la vita la vita” (Pozzetto – Jannacci), “Il nostro concerto” (Umberto Bindi, senza dubbio una tra le vette più alte che la canzone d’autore italiana abbia raggiunto, brano del quale Baglioni ha data due pregevoli interpretazioni personali – una pop e una simbolica – all’interno del doppio album “Quelli degli altri”). “Anime in gioco”, infatti, non sceglie la musica che noi andiamo a cercare per colmare il nostro bisogno di profondità. La musica che deve essere, allo stesso tempo, seme, terreno di coltura e frutto per i pensieri, le emozioni e passioni più forti e sconvolgenti. No: “Anime in gioco” sceglie la musica più semplice e più leggera, nel senso più autentico dell’espressione. Quella che viene a cercare noi e ci trova nei momenti più insoliti e improbabili: quando meno ce la aspettiamo. Mentre ceniamo guardando la tv, dalla radio un pò troppo alta di un vicino d’ombrellone, al supermercato quando trasciniamo il carrello della spesa, in machina, bloccati nel traffico delle ore di punta o, quando, ci chiediamo cosa e perché ci attiri tanto in una persona che si colloca al di fuori delle nostre personali regole dell’attrazione. La musica piccola e semplice che ci prende alle spalle e ci sorprende. E, nostro malgrado, entra dentro di noi e non se ne va più. Canzoni che, in fondo in fondo, ci rendiamo conto di amare esattamente come le altre (e qualche volta anche di più), ma di un amore quasi clandestino, che non abbiamo il coraggio di confessare a noi stessi e, meno che meno, agli altri. Tra i grandi meriti di “Anima mia” e di questo “Anime in gioco” c’è, dunque, il fatto che in quel lungo weekend sabbatico insieme ai nostri ex – compagni di scuola siamo riusciti finalmente a guardarci dentro e liberarci da pregiudizi e timori, per ammettere il peccato veniale di queste piccole fragilità, di queste passioni, talvolta inspiegabili ma sempre sane e divertenti. Una confessione – liberazione della quale è stata complice, oltre a Fazio e Baglioni, una incredibile ensemble di musicisti e personaggi del mondo dello spettacolo, che hanno dato vita a perfomance indimenticabili che sono entrate a far parte della migliore storia della nostra televisione e, naturalmente, della nostra discografia.
Anche perchè nessuno dei brani scelti viene qui ripresentato nella sua veste ordinaria e consueta. Al contrario, tutti i pezzi sono oggetto di un grande e sorprendente lavoro di rielaborazione e riarmonizzazione (opera dello stesso Baglioni e di Paolo Gianolio, che firmano anche gli arrangiamenti e le orchestrazioni e curano realizzazion e e produzione dell’intero progetto). Un lavoro che dà a tutti i pezzii una veste innovativa e decisamente affascinante. Veste che non solo riesce ad aggiungere ancora qualcosa ai pezzi più alti di questa raccolta, ma che nobilita anche quelli comunemente considerati più fragili, riuscendo a farceli guardare con occhi nuovi e a farceli amare se non li amavamo ancora o amare un pò di più, se li amavamo già.
Grandi ri-armonizzazioni e ri-orchestrazioni affidate alla sensibilità musicale e alle mani di una band di assoluto rilievo, guidata da Paolo Gianolio (chitarre, basso, programmazione computer e tastiere), nella quale – oltre allo stesso Baglioni (tastiere e cori) – trovano posto musicisti del calibro di Gavin Harrison (batteria e persuccusioni), Danilo Rea e Walter Savelli (pianoforte e tastiere), mentre il disco è impreziosito dalle voci di Antonella Pepe, Moreno Ferrara e Silvio Pozzoli ai cori.
Ed ecco, allora, più di 70 minuti di grandi canzonette italiane, con ben quattro sigle di apertura dell’indimenticabile Canzonissima: “Ma che musica maestro” (Silvestri-Pollini-Pisano), “Chissà se va” (Castellano – Pipolo – Pisano), “Felicità ta – ta” (Boncompagni – Ormi) e “Taratapunzi – e…” (Verde – Marchesi- Baudo – Simonetti). Canzonissima (asso piglia tutto della raccolta: 5 brani su 20) è presente anche con una sigla di chiusura: “E, la vita, la vita”, eseguita da un’inedita versione bossa, dal duo Baglioni – Jannacci. Tra i duetti – tutti assolutamente inediti e tutti “sorprendivertenti”: la siglia di un telefilm, come “Orzowei” (firmata dagli “Oliver Onions”) cantata con Natalia Estrada; “Donna felicità”, eseguita con Roberto Vecchioni (che l’aveva scritta per i “Nuovi Angeli”, terzi nella hit parade del ’71); “El pueblo unido”, cantata con gli storici autori – interpreti Inti Illimani; “Figli delle Stelle”, interpretata insieme al suo autore, Alan Sorrenti; “Buonasera Dottore”, cantata con la storica valletta di “Rischiatutto”, Sabina Ciuffini (il brano è cantato a “parti invertite”, nel senso che – al contrario dell’originale – nel quale una appassionata e impaziente Claudia Mori telefonava al “Dottore” Alberto Lupo – Baglioni interpreta il trepidante innamorato che telefona alla “Dottoressa” Ciuffini); “Nano nano”, la siglia (dall’oscillante andamento reggae) della divertente sit – com “Mork e Mindi”, cantata con Fabio Fazio; la già ricordata “Il nostro concerto” (unica “infiltrata del disco, dato che è stata iscritta nel 1960, mentre la trasmissione copriva l’arco temporale dal ’68 al ’83), interpretata in coppia con Orietta Berti (presenza fissa in trasmissione, insieme a Natalia Estrada e Sabina Ciuffini); “Canzone intelligente”, nella quale appaiono i Cugini di Campagna (il cui pezzo più famoso aveva dato il titolo alla trasmissione), citano uno dei loro primi successi (“Il ballo di Peppe”); l’indimenticabile “Pippi Calzelunghe”, qui in una trascinante versione in forma di milonga, cantata insieme a Riccardo Cocciante, che nel finale si lancia in una, tanto appassionata quanto divertente, parodia della sua “Margherita”. In veste di solista, invece, Baglioni fornisce superlative versioni di sigle di cartoni animati come “Ufo Robot” (nel quale riecheggia il tema del film “Rocky”) o “Heidi”, di sceneggiati televisivi cult come “Sandokan” (con un richiamo al riff di chitarra di “Hole lotta love” dei leggendari Led Zeppelin) e del successo di Daniela Goggi “Obabaluba” (disco di platino 1976, come sigla dello show televisivo “Due ragazzi incorreggibili”, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia). Last but non least, la già ricordata:”Giù la testa”, (nella quale il musicista si confronta a distanza niente meno con la voce indimenticabile di Edda dell’Orso, interprete di tutte le più belle colonne sonore scritte da Ennio Morricone) e “Anima mia”, che grazie a questa memorabile versione, smette di essere considerata uno dei brani trash per antonomasia degli anni ’70, e acquisisce, finalmente, il suo status naturale, di ballad pop di notevole appeal melodico e forza espressiva.
Un album senza alcun dubbio unico e irripetibile, che colpisce, fa sorridere, ma anche riflettere sul fatto che, anche nelle melodie apparentemente più facili può nascondere della musica degna di essere ascoltata. Un disco nel quale – come opportunatamente ricorda il titolo – c’è l’anima e c’è anche il gioco. Non solo a smentire il luogo comune che vorrebbe i due termini tra loro inconciliabili (nella pretesa – assurda – che, dove c’è anima non possa esserci gioco), ma, anzi a suggerire che, spesso, lunghi dal farcela perdere, è proprio il gioco l’elemento in grado di farci trovare o ritrovare l’anima nascosta delle cose. E chissà che il gusto di tutti questi insoliti incontri e duetti – attraverso i quali l’ironia, il divertimento e la gioia del fare musica insieme ha avuto il sopravvento su schematismi, rituali e rigidità di un certo show – biz, non abbia avuto un qualche ruolo nel suggerire a Baglioni quello straordinario spirito di libertà, apertura e condivisione che – da ormai dieci anni – contamina felicemente artisti e pubblico a Lampedusa in occasione della rassegna O’scià, durante la quale musicisti di ogni generazionie, linguaggio e tendenza si incontrano per il semplice gusto di dare vita, insieme, alla cosa che amano al di là e al di sopra ogni altra: la musica, ricordando a tutti il valore e il piacere del giocare e del mettersi in gioco.

Trascrizione a cura di Sabrina Panfili, in esclusiva per www.saltasullavita.com e www.doremifasol.org 

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