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@ClaudioBaglioni – Opera totale, esperienza totale

“È una delle cose che io riguardando trovo ancora buone. Di solito quello che faccio non mi piace mai perché penso che si sarebbe potuto fare meglio”.

Ebbene sì, questa volta anche l’incontentabile perfezionismo di Claudio è forse pago. Il filmOpera tratto dal suo ultimo album (che ormai si avvia a compiere il suo primo anno d’età) è infatti un lavoro mastodontico e magniloquente.

Giunto alla terza visione di questo spettacolo strabordante di senso ed essendo avvenuta l’ultima di queste tre in una sala cinematografica, penso di essere finalmente in grado di poter esporre qualche parziale riflessione a riguardo. Non esprimo un giudizio definitivo perché In questa storia che è la mia è un’opera polisemica. Lo è già nella sua forma originaria di concept album, figuriamoci in questa forma ibrida in cui convergono teatro, cinema, danza. Non posso essere assertivo perché in virtù della sua grandezza questa realizzazione sprigiona ogni volta significati nuovi, disegnando sentieri ermeneutici non ancora battuti. Così anche questa volta i miei occhi si sono ritrovati davanti ad un nutritissimo buffet di colori, oggetti, persone e movimenti e, pur volendo fare incetta di tutte queste vivande, è risultato loro impossibile appropriarsidella vivace complessità che il grande mago è riuscito ad ideare ed animare.

I palchetti sono riempiti fino al terzo ordine ora dalle figure dei coristi del Teatro dell’Opera ora da quelle dei ballerini. In Altrove e qui gli stacchi delle telecamere rimbalzano spasmodicamente dai palchi alla figura solitaria di Claudio, che si staglia nell’unità totalizzante di platea, palcoscenicoe retropalco. Gli anni più belli, Quello che sarà di noi, In un mondo nuovo vedono Claudio mescolarsi alle coreografie del corpo di ballo. In un tripudio di colori e acrobazie incontro nuovamente il Claudio del 1985, quello di Tutto il calcio minuto per minuto, il narratore che è anche poeta, quell’uomo solitario con le mani in tasca che con occhio attento e acume raro osserva, assimila e racconta l’insondabile semplicità del quotidiano. Come ti dirò, Mal d’amore e Dodici note si dimostrano musicalmente degne del luogo che le accoglie: l’orchestra sinfonica le esalta poderosamente, i cori le riempiono con possenza. Il pathos è tale da proiettarmi all’interno di quell’ambiente incantato, in cui ogni angolo è intriso di bellezza. In Mentre il fiume va rimango ancora una volta di stucco di fronte alla capacità di impossessarsi di corridoi, foyer e camerini: ogni spazio disponibile è conquistato con entusiastico dinamismo. Pioggia blu e Lei lei lei lei mi lasciano esterrefatto per le coreografie e le scenografie: l’erotismo e l’intimismo portati in scena sono toccanti, spossanti, travolgenti. Nella prima vengo rapito da immaginifiche luci color blu che, con la complicità di note calde, mi catapultano in pochi attimi su un letto, avvinghiato al corpo di un’anima bella e intensa, a gustarmi la quiete blu di un malinconico pomeriggio autunnale in cui il tintinnio della pioggia delicata ma incessante riempie il silenzio denso di intesa. Nella seconda le lacrime mi riempiono gli occhi perché la mia anima riassapora sensazioni conosciute: su quel divano ci sono io, inerme e esanime, sfiancato dal logorio di un amore rincorso con affanno e divenuto ossessione, ostaggio diasfissianti vincoli tentacolari tesi dalle mille immagini idealizzate di lei, a raccogliere le ultime energie per gridare: “Fammi andar via, liberami!”. Ma l’apice di questa esperienza così ampia e profonda è Reo confesso. Dal silenzio del teatro inizia a salire graduale la voce plurima del coro lirico. È ferma, convinta, seria. Incute timore. È la voce della coscienza che insorge rimbombando dai più bui e remoti fondali di ognuno di noi. Emergendo si infrange contro le sovrastrutture dell’ego e inizia a frammentarsi: il coro non è più univoco, più voci si disallineano, si sovrappongono e si rincorrono fin quando non vengono assorbite dall’impeto della musica. Delle luci bianche illuminano una coreografia elettrizzante. Claudio, fino a quel momento pacato, vi partecipa guadagnando il centro. In corrispondenza del ritornello una scarica di adrenalina mi percorre e mi abita fino alla conclusione del brano, tanto da rischiare di ritrovarmi in piedi sulla poltrona.

È qui che l’opera totale, come Claudio l’ha definita, hagenerato l’esperienza totale. Sono stato investito e trascinato da un vorticoso turbine emotivo e sensoriale in cui mi sono sentito un tutt’uno con l’opera. Nell’incoscienza tipica del vissuto immediato, colto al suo sbocciare con empatica intuizione, mi sono riscoperto parte di un tutto indistinto, di quella stessa totalità che aveva trasformato il Teatro dell’Opera e che mirabilmente ha sfondato la quarta parete inebriandomi.

Eccolo l’ennesimo incantesimo di Cucaio: in un’epoca in cui la bellezza è oppressa da una spessa coltre di bruttura, lui ripristina costantemente il concetto cardine della cultura greca, il kalòs kai agathòs Non solo il bello ma anche il buono, in un rapporto di mutua imprescindibilità. E tutto sommato è questa la cifra di una carriera artistica che si è sempre situata al di sopra del pop medio, di canzonette commerciali, di meccanici automatismi e noiosi schemi. Nel cammino di questo uomo mezzo semplice e mezzo strano la ricercatezza, lo sperimentalismo, la volontà più o meno celata di volersi spingere oltre sono sempre stati punti fermi, irrinunciabili e qualche volta forse anche odiati. Tuttavia se abbiamo assistito a questa magnifica creazione è proprio perché dopo mezzo secolo Claudio Baglioni punta sempre più in alto (là dove solo il falco va, là dove solo c’è Verità), con idee che più passano gli anni e più sfiorano l’immensità. Il filmOpera In questa storia che è la mia, dichiaratamente ispirato al concetto wagneriano di “opera d’arte totale”, per mezzo della sua spettacolarità complessa e trasversale, è il perfetto emblema di questa perenne tensione. La bramosia d’eterno del cantastorie dei giorni nostri è più forte che mai e lontana dall’esaurirsi.

Federico Laudizi

 

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

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