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“Lo stupore mozzafiato di una storia magica”

Lo spettacolo “In questa storia che è la mia” in streaming dal 2 giugno sulla piattaforma ITsART è nato dalla collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma. Sul palco 188 artisti per l’opera totale di Claudio Baglioni

Mozzafiato è la veste di raso che scivola nel corpo di giunco di lei, mozzafiato è la sua schiena nuda, mozzafiato sono i suoi tacchi a spillo. Mozzafiato è lui col corpo nervoso e duttile, con la camicia bianca sbottonata quel tanto che basta per vederlo arreso, mozzafiato è quello sguardo in bilico tra il desiderio e l’appagamento. Lui e lei e “Lo stupore mozzafiato di una storia magica”. Lui e lei sopra il palcoscenico di un sentimento. Lui e lei sono, nel gioco di specchi, un artista e la sua musica: un amplesso perfetto.

Claudio Baglioni è l’artista, la musica è quella di cinquanta anni di una carriera straordinaria, condensata, citata, omaggiata in un disco e in uno spettacolo “In questa storia che è la mia”. Il disco è già di platino, lo spettacolo è già il sensualissimo trionfo di note e accordi, di danza e immagini, di luci e oggetti. Lo stupore mozzafiato è di Baglioni di fronte a una storia, la sua, incredibile e fortemente voluta e meticolosamente costruita su un talento innegabile. Stupore mozzafiato è dello spettatore nei novanta minuti di questa felice bulimia di teatro, musica, cinema, danza. Opera totale la chiama Claudio Baglioni, con quella sua ambizione appassionata di trasformare ogni canzone in un’esperienza estetica. Claudio Baglioni chiude ( in attesa di riempire le Terme di Caracalla, l’Arena di Verona e il Teatro Greco di Siracusa)  la sua musica e se stesso dentro un Teatro, il Teatro dell’Opera di Roma (con la complicità del sovrintendente Carlo Fuortes), affida la sua storia a due ballerini perfetti Tamara Fernando e Gabriele Beddoni (due di un corpo di ballo dalle più varie professionalità, dall’hip hop alla danza acrobatica, dalla danza classica alla moderna) e le note ai suoi “da sempre” Paolo Gianolio e Danilo Rea su tutti e all’orchestra del Teatro diretta da Danilo Minotti. La sensualità già sta in questo abbraccio di classico e pop e continua nell’intreccio di voci tra le coriste del suo gruppo e il coro lirico del Teatro. Dissolvenza sarebbe il termine adatto se si fosse al cinema. E al cinema si è: la regia di Luigi Antonini, la direzione artistica di Luigi Peparini e la fotografia di Ivan Pierri raccontano tra campi lunghi e primi piani, riprese dall’alto, cameracar e tagli sui particolari ogni spazio dal retropalco ai palchi (dove stanno coristi e pure i ballerini) dal golfo mistico al foyer fin dentro i camerini e i corridoi. E raccontano il tempo. Il tempo che è il tema di “In questa storia che è la mia”. Il tempo è una clessidra con la polvere d’oro che nella scena finale si consegna al futuro, a quel palco in cui Giovanni Baglioni fa il suo assolo di chitarra. Assolo era il titolo di un suo disco live del 1986, un gioco lessicale per confondere spartito e vita: qui Baglioni ha sfidato ogni solitudine (se mai i suoi milioni di fan lo avrebbero permesso!) e si è fatto in tre. Anzi in quattro: c’è un Baglioni per ogni età e poi c’è il Baglioni clown, quella follia che è lo spettacolo tra candore, gioia e amarezze.  Incroci, citazioni (dal balcone shakesperiano al carro trionfale dantesco fino al gobbo di Hugo; la più intensa è poi di Eleonora Abbagnato che danza sulla Capostoria del disco con un abito bianco memore di Carla Fracci) specularità, metonimie: questa in sintesi è l’estetica di uno spettacolo il cui obiettivo è la perfezione. Non nuovo a esperimenti di questo genere, Claudio Baglioni con “In questa storia che è la mia” forse ha raggiunto l’obiettivo. Perfezione per la centralità, non ovvia in operazioni come questa, data alle canzoni.

Baglioni occupa fisicamente il centro della scena (unico artista ad avere un ego ipertrofico e timido assieme) e fisicamente vuol dire con la voce e le parole. Nemmeno per un secondo gli splendidi balletti, i quadri fotografici, gli oggetti di scena, le luci riescono a distrarre dalle parole delle canzoni. Una dietro l’altra da Altrove e qui fino a Uomo di varie età (passando per Mal d’amore e Pioggia blu a proposito di sensualità) rivendicano il campo della poesia. Ed è tutto loro, il campo. Basta leggerle o lasciarsi trasportare dall’overture con Pierfrancesco Favino che recita un medley dei loro versi. I versi, appunto, di “questo ballo favoloso/ che è stato lungo mezzo secolo o un attimo/ ma è stato un brivido grandioso”. Ecco, proprio un brivido grandioso.

Daniela Sessa per BarbaDillo.IT

The Godfather

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