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Baglioni e Morandi: “La nostra Banana Republic”

di Gino Castaldo

I due “Capitani Coraggiosi” della musica leggera raccontano la loro prossima sfida. A settembre dieci concerti insieme sul palco del Foro Italico, a Roma. “Sarà dura decidere la scaletta”. “Claudio è un tipo serio e preciso. Io una volta fatto il ritornello, la canzone la cambio”. “Gianni è uno che va dritto al cuore. Io invece mi allungo, ma solo per complicare le cose”

GIANNI MORANDI
Ha lo sguardo sereno di chi vive in un piccolo paradiso, un bellissimo parco a poca distanza da Bologna dove uccelli, piante e persone sembrano stare in pace col mondo. Il riposo del guerriero, parrebbe, ma il cantante è un guerriero che non riposa, corre tutti i giorni, lavora, e ora si rilancia come “capitano coraggioso”, a settembre, a fianco di Claudio Baglioni.

Dice Baglioni che al vostro primo incontro lei lo ha chiamato “Signora Lia”, come la sua prima canzone…
“Sì, è vero, ai tempi della Rca le cose si vivevano diversamente. Ci invitarono tutti, noi cantanti più famosi, a sentire i nuovi, non li conoscevamo. Lui mi colpì, ma non mi ricordavo il nome. Poi per me cominciò il periodo critico. Venivo da ventotto milioni di dischi venduti ma intanto stavano arrivando i cantautori, stava cambiando tutto. Con Claudio non ci vedemmo per un bel po’ di tempo. Fino agli inizi degli anni ’80: io presentavo la “Vela d’oro” a Riva del Garda, mi riaffacciavo, e lui lì presentò Strada facendo. Non abbiamo mai collaborato ma ci siamo incrociati spesso. L’apice fu il concerto di Malta, nel 2007, con lui e Cocciante, una sfida, io cantavo le canzoni di Baglioni, Cocciante le mie, e viceversa. Ci siamo divertiti da pazzi. Dopo quella serata abbiamo pensato che avremmo dovuto farlo in Italia. Quando vai a vedere il repertorio di Claudio ti rendi conto che è sterminato. Ora mi sto rileggendo tutti i suoi pezzi. Ma in realtà abbiamo cominciato parlando di altre cose, della vita, del suo impegno nel sociale, di come stava cambiando il mondo della musica, del nostro lungo passato pieno di cose. E poi si vede che è arrivato il momento”.

C’è la sensazione di due protagonisti che s’incontrano dopo decenni di carriera. C’è dentro un pezzo della nostra storia…
“Ho cominciato nel 1962, giovanissimo, lui il grande successo l’ha avuto dieci anni dopo con Piccolo grande amore , ma è vero che ogni canzone è un pezzo di storia, niente evoca cola me una canzone, capita a tutti, ti ritorna il profumo, cosa era l’Italia, cosa siamo diventati, tre minuti e arriva l’emozione. Ti faccio un esempio: nel 1962 mi faceva impazzire Io che amo solo te, una canzone a cui sono rimasto sempre legato. Mi ricordo che c’era una ragazzina che mi piaceva da morire, allora io andavo al jukebox appena la vedevo arrivare e la mettevo, era H2, mi ricordo ancora i numeri. Mi ricordo tutto, com’era vestita, lei che arrivava e io tac… H2 e partiva la canzone”.

Come la state immaginando questa avventura insieme?
“Credo anche mischiando le canzoni. Io sono più abituato alle collaborazioni, ho lavorato con Adriano, con Lucio, lui meno, ma poi alla fine col suo festival O’scià ha cantato anche lui con tutti. A me piace fare l’assist, il compagno di squadra, se Claudio canta Strada facendo e c’è un boato pazzesco, io non soffro, sono contento. Il problema è fare la scaletta. Claudio mi ha dato una lista di 40 pezzi miei e ce ne sono almeno 40 suoi. Poi a un certo punto mi dice: possiamo anche fare un omaggio alla canzone italiana, a partire da Modugno, Battisti. Io gli ho detto sì, ma è un altro spettacolo, le nostre dove le mettiamo? Diciamo che il progetto ha avuto molte evoluzioni e ancora ce le ha. Io gli ho anche proposto di prendere la chitarra e fare un botta e risposta coi nostri pezzi, di giocare. Spero che nasca anche una canzone nuova. Certo, non sarà mai come le vecchie perché non può avere cinquant’anni di promozione come l’hanno avuto E tu… o Un mondo d’amore , però sarebbe una traccia importante, e magari ti da una spinta in più”.

Insomma, ci sarà improvvisazione?
“Spero proprio di sì, gliel’ho detto a Claudio, non dobbiamo essere troppo seri, perché poi lui ci tiene alla precisione, agli arrangiamenti, e ha ragione, ma a me piacerebbe che ci fosse anche libertà. E poi pensa, per esempio: La vita è adesso dura cinque e minuti e venti, io in quel tempo ne faccio tre di canzoni. Pensa ai nostri concerti, lui in tre ore aveva fatto trentuno canzoni, io in due ore e mezzo ne ho fatte quarantasette. Io quando ho fatto strofa e ritornello cambio”.

È anche interessante pensare alla diversità delle storie. Morandi figlio dell’Emilia partigiana, Baglioni romano figlio di carabiniere…
“Sì, è vero, mio padre era un ciabattino che vendeva l’Unità, lui figlio di un carabiniere, e comunque siamo tutti e due di estrazione popolare. È che allora bisognava per forza dare un’etichetta, vedi Battisti che per anni fu ritenuto un fascista. In realtà Claudio è molto attento alle cose sociali, è stato uno dei primi a parlare del problema dell’immigrazione, lì a Lampedusa, ha scritto pagine incredibili”.

C’è anche un Morandi che scopre i social…
“Il fatto è che io scrivo un diario da sempre, tutte le sere, ho pile e pile di quaderni, e allora questa idea del diario l’ho trasportata su Facebook, magari taglio un ramo e lo posto. Mi sono accorto che piace molto, tanto più se sono cose personali. Se faccio un post con la foto di mia moglie Anna che fa da mangiare arriva un milione di visualizzazioni, magari se metto che devo fare il disco non frega niente a nessuno. Anche quando è venuto a trovarmi Claudio: l’ho messo su Facebook ma con tono privato, parlando di un incontro con un amico che era venuto a trovarmi, e anche lì un diluvio. Alla fine è un piccolo giornale e io lo faccio quotidianamente”.

CLAUDIO BAGLIONI
Tutt’intorno si vede la città, la sua città, e Baglioni sembra cercare le tracce del suo passato. “Sono arrivato al mio cinquantesimo anno di carriera, che fa un po’ ridere, nel senso che nel 1964 sono salito per la prima volta su un palco. Ero giovanissimo ed era un concorso di voci nuove, San Felice da Cantalice, santo molto rinomato anche se non è diventato come Sanremo, a Centocelle. Gianni aveva cominciato prima. Una volta tanto adesso faccio una cosa con uno un po’ più grande di me”.
“In questo Gianni è più abituato e più bravo di me, ma io penso che dobbiamo minimizzare l’autoreferenzialità, in modo che quando arriveremo sul palco ci dovrà essere una terza cosa, che non sia né io da solo né lui da solo”.

Di sicuro avete tanto da raccontare, due storie, ma anche la storia del nostro Paese attraverso le canzoni…
“Questa parola, storia, fa tremare e va usata con giudizio e delicatezza. Però mi raccomando, non dobbiamo fare i monumenti. Perché alla fine sui monumenti ci vanno a fare la cacca i piccioni”.

Racconterete storie da “capitani coraggiosi”?
“Il titolo è più che altro un proponimento, evoca quella categoria di pensiero che non muore mai, il sogno, l’avventura, la lealtà, la nobiltà, lo spirito di servizio, ma anche una certa durezza, nessuna autoindulgenza. Sembrerebbe tutto un mondo che oggi è un po’ sparito, per andare insieme di nuovo alla ricerca di qualcosa che ti faccia sentire come un donchisciotte. Sarà presuntuoso? In questo momento di assenza di figure guida ci sembrava giustamente ironico. Ma anche propositivo. La voglia di rifondare qualcosa pensando ai grandi uomini che purtroppo non ci sono più, ai grandi padri, alle grandi parole, in questo insolentimento generale, in questa continua rissa da saloon…”.

Che idea di musica verrà fuori?
“Io riconosco a Gianni che tutto quello che ha cantato è riconoscibile, ha quello che pochi interpreti hanno: fa diventare sue le canzoni che canta. E poi sono ammirato dalla sua storia, dall’idea di mettersi a studiare musica quando tramontò la prima parte della sua carriera. Abbiamo in comune il rispetto della canzone popolare, lui anche più di me. Lui ha delle idee molto precise, quasi dei dogmi, deve raggiungere un climax a un certo punto, preciso. E poi ha la capacità straordinaria di andare subito alla sostanza delle cose. Io sono molto più disordinato “.

Anni fa lei si lamentava di essere percepito come un moderato di centro, allora si diceva un democristiano, mentre Morandi è sempre stato percepito come un uomo di sinistra, anche quando cantava semplici canzoni d’amore…
“Non siamo in presenza di un compromesso storico, quello l’hanno già fatto, ma guardandomi indietro quel tipo di collocazione un po’ da sagrestano col tempo è diventata un vantaggio. Oggi il fatto di non essere collocato non pesa più, penso che ci si possa affrancare da queste etichette. E in realtà molto di quella percezione fu causata da un piccolo incidente. Negli anni Settanta fui messo a mia insaputa in un manifesto contro il divorzio, diciamo per la famiglia, ed era difficile da spiegare l’errore. Sembrava quasi che volessi giustificarmi”.

Il suo approccio con le canzoni di Morandi, qual è stato?
“Mi piacevano tantissimo. A quattordici anni andavo in giro per festivalini di voci nuove, mia madre mi vestiva con camicia rosa e pantaloni celesti, sembravo un confetto bisex, e una volta a Bracciano avrei dovuto cantare Non son degno di te, che amavo molto, ma arrivò il direttore dell’orchestra e disse che la cantava già un altro. Quindi mi affibbiarono La fisarmonica che però mi piaceva meno: avevo già un complessino beat, e questa idea della fisarmonica mi sembrava vecchia. Erano canzoni meravigliose costruite in modo perfetto”.

Nella dinamica a due, qual è la differenza più vistosa?
“Gianni toglierebbe l’eccedenza, vorrebbe arrivare subito a qualcosa che colpisce emotivamente, toglierebbe le introduzioni, del resto è la sua scuola, e ha un senso. Io tendo ad allungare, a complicare, non riesco a rinunciare ai preliminari. Lui lo fa anche come vezzo, è un giocatore, deve agire. Chi scrive, come me, pensa di più alla strategia. Ci siamo raccontati un sacco di noi, anche delle famiglie, dei nostri genitori, mio padre che era monarchico, carabiniere, suo padre partigiano, però poi riscontri delle analogie fortissime nell’idea di paternità che è cambiata tanto perché nessuno di noi è disposto a fare l’attore vecchio, il caratterista. A volte ti ritrovi con dei figli che sono più rigorosi dei padri, mio figlio è molto più severo e rigoroso di quanto non sia io”.

La vostra idea non ricorda il precedente di Banana Repubblic, con Dalla e De Gregori?
“Magari, perché no, ma i tempi sono troppo diversi. Loro ci arrivarono col vento in poppa. Oggi si naviga di bolina, col vento contro”.

redazione

La redazione di doremifasol.org e saltasullavita.com è composta da tanti amici ed appassionati della musica di Claudio Baglioni, coordinati dal fondatore e amministratore Tony Assante. Un grazie a loro per il lavoro e l'aiuto apportato a questo portale - Per scrivere alla redazione usare wop@doremifasol.org

Un Commento

  1. CLAUDIO e GIANNI siete fortisssssssssssssssssssssimi *;*
    non vedo l’ora di vedervi
    le vostre canzoni sono le poesie che mi accompagnano sempre e da sempre
    vi voglio bene!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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