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Una strada da percorrere insieme

157q01La visita del Pontefice a Lampedusa nel racconto dell’esperienza vissuta da Claudio Baglioni

Una strada da percorrere insieme

Non deve restare solo un simbolo ma anche un segno che indica una strada da percorrere. Per uno come Claudio Baglioni, che ama profondamente Lampedusa, la sua gente, e che ha particolarmente a cuore il destino di quanti, disperati, sfidano la morte inseguendo un sogno di libertà, il timore è che la testimonianza resa da Papa Francesco nelle Pelagie non sia compresa nel suo valore più profondo. L’artista che dopo aver cercato, attraverso la rassegna musicale O’scià dall’isola di Lampedusa, di far comprendere a tutti che l’integrazione è un valore imprescindibile, anzi una straordinaria ricchezza «alla quale è davvero folle rinunciare», è tornato proprio in questi giorni a lavorare su un progetto discografico — che non a caso si intitola Con voi — attraverso il quale intende ancora una volta rendere onore alle «Isole del Sud», simbolo di un’umanità sola e troppo spesso abbandonata a se stessa. Dunque non poteva che restare affascinato dalla figura di Papa Bergoglio e dalle sue parole durante la messa nello stadio di Lampedusa, alla quale il cantautore romano ha assistito lunedì 8 luglio, confuso tra la folla. E dell’esperienza vissuta in questa giornata straordinaria, parla in quest’intervista al nostro giornale.

Lei ha fatto tanta esperienza di quella particolare atmosfera di amore e di solidarietà che si respira qui a Lampedusa. Qualcosa di simile a quanto vissuto in questa giornata con il Papa? Accanto a Papa Francesco è impossibile dire di aver vissuto le stesse sensazioni. Tutti hanno parlato del valore simbolico di questo viaggio.

È vero: c’è ed è forte. Io, però, preferirei sottolineare il suo valore reale. Non vorrei cioè che il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa rimanesse solo un simbolo, un segno. Qualcosa di immateriale, secondo il senso che comunemente diamo a questa parola. Mi piace di più il valore etimologico: quel “mettere insieme”, “a c c o s t a re ”, “a v v i c i n a re ” che invita a essere conseguenti, a unire la parola al gesto, il messaggio all’opera. Un segno che indica una strada; strada da percorrere, però, non solo da guardare.

E in questo senso cosa ha rappresentato questo viaggio del Papa a Lampedusa?

C’è una parola molto bella con la quale si definisce il Papa: “Pontefice”, vale a dire colui che costruisce ponti e, dunque, unisce rive lontane. Credo che, con questo viaggio, Papa Francesco abbia costruito il ponte più lungo mai immaginato: dalle coste di una minuscola isola del cuore del Mediterraneo a quelle dell’Africa, dell’Italia, dell’Europa e di tutti gli altri continenti, per unire, in un unico abbraccio, le anime di quanti — ovunque nel mondo — lottano, ogni giorno, per affermare quel diritto del quale nessun essere umano può essere privato: il diritto a una vita libera, giusta, onesta e dignitosa. E i diritti non sono simboli: sono realtà fondamentali e irrinunciabili.

Un obiettivo possibile?

Se la fede, come ha scritto Papa Francesco è lumen, allora illumina: i cuori, certo, ma anche la realtà. È un po’ come quando accendiamo la luce in una stanza buia: vediamo ciò che prima non potevamo vedere. È chiaro che, una volta che sappiamo come stanno davvero le cose, non possiamo più far finta di non conoscerle. Papa Francesco ha acceso la luce su Lampedusa e ora sarà meno facile — in Italia, in Europa, nel mondo — dire «non lo sapevo», «non credevo fosse proprio così», né voltarsi dall’altra parte.

Si è sentito in qualche modo provocato quando il Papa ha messo in guardia dai pericoli insiti nella cultura del benessere e quali riflessioni ha suscitato in lei?

Ci sono piaghe — povertà, fame, guerra, violenza, intolleranza — che consideriamo fisiologiche. Ci sembrano cose normali: cose che non possiamo eliminare e con le quali, quindi, dobbiamo imparare a convivere. Di normale, invece, non c’è proprio nulla. Anzi: sono realtà scandalose. Fin quando non le avremo debellate, potremmo definirci in mille modi ma certo non potremmo definirci umanità. Non vi è nulla di umano, infatti, nel tollerare povertà, fame, guerra o violenza. Ha ragione Papa Francesco: «La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri». Dobbiamo combatterla, smetterla con la viltà dell’i n d i f f e re nza, per tornare a sentire. Con le
orecchie, ma, soprattutto, con il cuore. E con coraggio.

Che impressione ha di Papa Francesco?

Sin da quel suo primo buonasera, mi ha affascinato la semplicità del suo linguaggio. Una semplicità che non deve trarre in inganno. Non è un generico invito ai buoni sentimenti. È tutt’altro: è la semplicità della verità. La verità è semplice, anche se, spesso, dirompente. Ciò che è difficile è seguirla, praticarla. “Ama il prossimo tuo”, non è un comandamento difficile da capire: è

Cosa c’è che secondo lei impedisce oggi una vera integrazione?

La verità è che l’altro ci dà fastidio. È un problema, un peso, un intralcio. Qualcuno che limita le nostre libertà e dal quale, spesso, ci sentiamo minacciati. Ci sembra minacci noi, la nostra terra, il nostro lavoro, le nostre certezze… Mettere da parte tutto questo non è facile. E ancora meno facile è capire che l’altro è un dono: il dono della sua ricchezza. Perché la diversità è ricchezza. Pensiamoci: che musica potremmo mai scrivere con una nota sola? E che poesia o quadro, con un’unica parola o un solo colore? La vita stessa è il frutto di uno scambio; dell’unione tra due diversità. In mancanza di questo scambio la vita non nasce e, prima o poi, cessa di esistere. Rifiutare questo scambio, dunque, è un atto contro la vita, contro il futuro e, dunque, contro l’umanità.

Cosa rappresentano in questo contestole Pelagie?

Sono quelle “Isole del Sud” che in una mia recentissima canzone interpreto come il simbolo di una umanità, sola e troppo spesso abbandonata a se stessa, che non si arrende e non si rassegna all’idea che il sogno di una vita non possa trasformarsi in una vita da sogno. Una condizione nella quale la nostalgia pesa sempre più della speranza — partire è vivere e un po’ morire — e il richiamo di ciò che si lascia è sempre più forte di quello di ciò che si cerca. Vorrei contribuire a far capire — sia in Italia sia in Europa — che l’integrazione non è solo un valore imprescindibile, ma, appunto, una straordinaria ricchezza alla quale è davvero folle rinunciare.

Ma per questo Papa Francesco si è mosso oggi da Roma.

Papa Francesco viene — lo ha ricordato lui stesso — dalla «fine del mondo». È un migrante, figlio di migranti e sa, per esperienza diretta e non solo per cultura, che l’esistenza è, essenzialmente, pellegrinaggio. L’uomo è due volte pellegrino: perché la vita stessa è viaggio e perché — da che mondo è mondo — gli esseri umani si spostano, per cercare condizioni di vita migliori. Un viaggio nel viaggio, che è impossibile, oltre che inconcepibile, pretendere di fermare.

Lei ritiene che le migrazioni siano una  minaccia per i Paesi sviluppati?

Il vero scandalo non è nella minaccia delle migrazioni ma è nella minaccia alle migrazioni. Senza contare che l’indifferenza è il terreno nel quale fiorisce l’ignobile mercato di quanti — qui fuori e di qui — speculano sulla sofferenza altrui. Veri e propri aguzzini che, in cambio del miraggio del paradiso offrono — a carissimo prezzo — il deserto dell’inferno. Se, in nome della cultura dell’indifferenza ci voltiamo dall’altra parte, siamo molto più che complici. L’indifferenza è un virus che non risparmia nessuno: presto o tardi, ne rimane vittima anche chi la pratica. Con quale logica, allora, e, soprattutto, con che diritto pretendiamo di negare agli altri quelle stesse libertà che consideriamo fondamentali per noi stessi?

Cosa le è rimasto più impresso del messaggio del Papa a Lampedusa?

«Tutto il mondo — ha detto Papa Francesco a Lampedusa — abbia il coraggio di accogliere coloro che cercano una vita migliore». Troviamolo questo coraggio, allora. Se lo ha avuto una piccola isola come Lampedusa, perché non dovrebbero averlo grandi Paesi come l’Italia o ancora più grandi come l’Europa o il mondo? Non ci vergogniamo ad avere paura di ciò di cui un piccolo scoglio in balia del Mediterraneo non ha mai avuto paura? Se avessimo impedito a chi viene dalla «fine del mondo» di arrivare fin qui, oggi non avremmo nemmeno un Papa come Francesco e il mondo sarebbe di certo un posto più buio e più triste. Lasciamoci illuminare, allora, dalla fede, ma anche da quella umanità di cui non dovremmo mai dimenticare di essere portatori. Egli ci ha portato il suo O’scià, il suo respiro, il suo fiato per un vento nuovo e di cambiamento difficile da eseguire. Chi ce lo ha dato,
conosce fin troppo bene la natura umana e sa che, per amare l’a l t ro , abbiamo bisogno di un comandamento. La luce della fede illumina gli angoli bui della nostra natura.

The Godfather

The Godfather [Il Padrino] - Dietro questo nickname si cela il nostro fondatore e amministratore unico TONY ASSANTE, più grigio ma MAI domo. Il logo (lo chiedono in molti) è il simbolo dei FANS di Elvis Presley (Cercate il significato in rete).

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