Intervista Baglioni su I love Sicilia
LAMPEDUSA, FRANCESCO E QUEL RESPIRO DA NOBEL
“E’ STATA UNA VERTIGINE SENTIR PRONUNCIARE “O’SCIA'” AL PAPA”, RACCONTA IL CANTAUTORE. CHE PROPRIO NEL GIORNO DELLA VISITA DEL PONTEFICE LANCIAVA IL NUOVO PROGETTO DI “ISOLE DEL SUD”. “QUANDO CAPISCI CHE NON PUOI CAMBIARE IL MONDO, TI ACCONTENTI DI UN PEZZETTINO: IO HO SCELTO LAMPEDUSA”
di Felice Cavallaro – I love Sicilia
Quando Claudio Baglioni, dopo avere cantato e organizzato per dieci anni O’Scià, azzardò l’invito a Benedetto XVI per una visita a Lampedusa, il Papa già fiacco gli rispose: “Seguo molto in televisione”. Testuale. Ed è come se il pontefice dimissionario avesse lasciato le consegne al successore, a Papa Francesco che, con sorpresa generale, appena eletto, ha scelto l’approdo dei migranti come prima tappa del suo primo viaggio nel mondo. Non solo, ma dopo l’energico richiamo ai potenti perché non voltino le spalle al Sud del mondo, con quella sua allegra vitalità, ha strizzato l’occhio ai lampedusani regalando un caloroso O’Scià, cioè il respiro, il saluto, il cenno di solidarietà dei pescatori che coincide con la kermesse da Baglioni ideata per scuotere da quello scoglio il mondo degli indifferenti.
Ecco perché adesso il cantautore che in dieci anni è riuscito a portare sulla spiaggia della Guitgia 380 artisti di fama internazionale è ancora emozionato: “E’stata una vertigine sentire pronunciare O’Scià al Papa, un brivido interno perché Lampedusa con lo slancio che lui ha donato non è più un luogo geografico, ma luogo della coscienza, come lo avvertivo dentro di me”.
Coincidenza astrale ha voluto che il Papa volasse verso Lampedusa il giorno in cui, dopo mesi e mesi di lavoro in sala di registrazione, con sistemi innovativi rispetto alla tradizionale distribuzione discografica, partiva sulla rete il progetto dei nuovi brani raccolti sotto l’idea delle “Isole del sud”. Anticipo di un altro salto, un viaggio chiamato “Con Voi”, un modo per stare insieme, ma anche un richiamo al “convoy”, al convoglio inglese, appunto la colonna che sarà pronta il 10 ottobre quando Baglioni si muoverà da Torino con una vera e propria carovana da Far West, quaranta mezzi ogni sera per nove giorni in cerchio in una piazza o in un grande spazio, attraversando l’Italia in senso longitudinale per approdare e concludere ancora una volta in Sicilia, nel cuore dell’isola, a Enna al lago di Pergusa, il 19 ottobre, un sabato, cinquantamila fans previsti. “Da Lampedusa a Con Voi per riaffermare la necessità di riflettere insieme, insiste Baglioni dalla sua terrazza che domina Roma, il Cupolone di fronte, un occhio sempre a Rossella Barattolo, la moglie, compagna di una vita, l’ombra che lo consiglia e assiste, anche da presidente della “Fondazione O’Scià”.
D. Bisogna riflettere sull’indifferenza bacchettata da Papa Francesco?
R. “E’ il tema su cui insistiamo da sempre. Lo abbiamo ripetuto anche l’anno scorso all’Albero Falcone, alla partita del cuore per ricordare dopo vent’anni i giudici e i loro agenti assassinati a Capaci e in via D’Amelio. E lo abbiamo ripetuto quest’anno. Dopo tanto tempo, sia per la mafia sia per l’immigrazione, è come se fossimo un po tutti anestetizzati”.
D. Siamo alla “globalizzazione dell’indifferenza”, come dice Papa Bergoglio?
R. “Capitava di avere un sussulto quando vedevamo i bimbi morire in Africa, gli occhi sgranati, le pance gonfie. Immagini improvvisamente scomparse. Metabolizziamo tutto, pure le guerre. Ci giriamo dall’altra parte. Rincitrulliti dalla fiction che non ci ha dato nemmeno felicità. Ma questa scelta che per non affrontare la realtà si sceglie una sorta di finzione, una tregua, la convinzione che quei drammi siano a noi estranei, che non ci appartengano, non sta bene. Il diavolo devi affrontarlo sennò non lo vinci mai. Ci vorrebbe una maggiore statura di tutti. Papa Bergoglio spicca con la sua altezza morale”.
D. Espressa anche in quel suo scoglio dove, come dice il sindaco Giusy Nicolini, “adesso si parte, non si arriva soltanto”?
R. “A vent’anni scatta una molla che ti vuole fare cambiare il mondo, scopri dentro di te il senso della rivoluzione, anche non violenta. Poi, ad un certo punto della vita, capisci di non avere questo potere. E allora scegli un pezzettino di mondo in cui fare bene. Ecco, io mi sono misurato su questa piccola isola, la mia “zolla due punto zero” da dove potere accendere l’attenzione”.
D. Una scoperta che risale a quando?
R. “Arrivai per la prima volta a Lampedusa nel 1998 e undici anni dopo, quando davvero Lampedusa era stata lasciata sola ad affrontare i flussi alla “porta d’Europa”, proposi provocatoriamente l’isola per il Nobel, il Nobel per la pace”.
D. Stessa proposta avanzata, dopo la visita di Papa Francesco, dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia, lega Nord, addirittura per un Nobel “senza se e senza ma”.
R. “Anche questo un miracolo di Papa Bergoglio… Sì, del Nobel per Lampedusa nel 2009 parlai con l’argentino Adolfo Perez Esquivel e altri due premi Nobel che mi promisero di interessarsene. Sarebbe una gran cosa per l’isola che meriterebbe, come proposta l’anno scorso, anche di diventare sede di un osservatorio internazionale sulle migrazioni”.
D. Un’idea in linea con il progetto delle “Isole del Sud”?
R. “E’ l’idea del pensiero del Sud come luogo non solo geografico, ma luogo del riscatto, della rivalutazione, forse anche del sovvertimento di un modo di vivere. Un invito a capire che c’è un Sud in tutti noi, la parte più difficile da portare sulle spalle, a volte rinnegata, ma presente ad ogni latitudine, in noi tutti, in me”.
D. In lei?
R. “Penso al grande sacrificio che fa chi si muove da casa per cambiare e la memoria va a mio nonno materno emigrato in Argentina, come i genitori di Bergoglio. Penso a tanti italiani nelle Americhe, in Europa, a quanti si sono smossi dal Sud al Nord, a quelli che partono oggi per farsi riconoscere merito e talento da qualche altra parte. E’ l’eterno viaggio che nelle “Isole del Sud” diventa leitmotiv, “partire è un po morire. Perché noi siamo fatti del posto in cui siamo nati, dei sapori, dei colori, dei costumi che nessuno lascia volentieri. Non parlo solo dei migranti che ho visto arrivare sui barconi a Lampedusa ma anche del lampedusano che lo stesso giorno, alla stessa ora, partiva col traghetto in cerca di fortuna. Si incrociavano, si sfioravano, ognuno di loro con il proprio tormento”.
D. Come e perché arrivò per la prima volta a Lampedusa nel 1998?
R. “Eravamo a Palermo, in agosto, alla fine di un concerto alla Favorita. Con altri. Anche con Fabio Fazio. Dopo una settimana ricca di eventi collaterali: dagli incontri nelle scuole di Brancaccio alla visita in carcere, ai contatti con la Fondazione Falcone. Grande adrenalina. E decidemmo di concludere restando tutti insieme per qualche giorno. Dove? Sentivamo parlare di Lampedusa da amici che l’avevano scoperta negli anni Settanta. Ma per noi Lampedusa e Linosa erano isole esotiche. Assenti pure per il meteo, nelle previsioni del tempo. Fu un abbraccio straordinario. Ammaliati”.
D. E prese casa a Lampedusa.
“Una casa frequentata dal 2005”.
D. Fonte di ansia per le inchieste accese su dammusi costruiti all’inizio degli anni Settanta?
R. “Lampedusa non ha un piano regolatore. Grande la responsabilità di uno Stato intero che non ha voluto bene al suo paesaggio. Dal dopoguerra in poi si è costruito tanto e male. La gente è stata anche lasciata solo con il suo cattivo gusto. Occorre difendere un paesaggio unico al mondo. Ma tutti abbiamo bisogno di legalità e di sapere quali sono le regole per poterle rispettare”.
D. Dopo l’ultima “partita del cuore” disputata fra cantanti e magistrati l’anno scorso alla favorita anche con Miccoli in campo, è rimasto deluso dalle frequentazioni dell’ex capitano del Palermo?
R. “Sì, grande delusione. E’ la perdita delle dimensioni. Artisti, giocatori, cantanti siamo molto privilegiati, avvolti e travolti a un certo punto da un successo di cui a volte è difficile capire le dimensioni. E per superficialità, per distacco dalla realtà, per piccoli deliri di prepotenza sui quali non si può essere indulgenti, maturano errori destinati ad annullare tutto ciò che si è fatto. E’ una storia che appartiene ai nostri anni buttati via così. Forse Miccoli non l’ha nemmeno capito… Ringrazio Dio di non essere un giudice. A vent’anni ero più categorico. Ma la pagherà comunque. Più che penalmente, moralmente”.
D. Il suo impegno civile negli ultimi anni si è sempre di più saldato alle iniziative della Fondazione Falcone. Come ricorda il “suo” 23 maggio 1992?
R. “Ero al concerto finale di un tour, a Firenze. La notizia di Capaci ci raggelò. Quella notte andammo dritti in camera senza brindisi, senza parole. Ognuno con i propri pensieri. Chiusi la porta e pensai “Abbiamo perso…”.
D. Lo disse il giudice Caponnetto due mesi dopo per Borsellino, “E’ finita”…
R. “Sembrò davvero finita. Proprio il 19 luglio, la sera di via D’Amelio, ero al debutto di un altro tour, ad Alba Adriatica. No, non avrei potuto cantare. Dissi che ci dovevamo fermare. Metà del pubblico applaudì, ma la metà fischiò”.
D. Rodeva il germe dell’indifferenza in un Paese diviso?
R. “Quel giro prevedeva nove concerti in Sicilia. In agosto arrivammo alla Favorita di Palermo. Cantai “Giù la maschera”. C’era Battiato con “Povera Patria”. Ma lo stadio era pieno a metà. Come se una parte della città, intimorita, pensasse che fosse appunto finita”.
D. Non erano finite catene umane e lenzuola ai balconi.
R. “Avvertii uno spunto positivo. Avevo appena scritto “Noi no”. E la vidi adottare come un inno popolare per un taglio con la cultura della prevaricazione. Beh, noi cantanti spesso ci portano in giro come attrattiva. Capitò nelle scuole del Nord. A Bassano del Grappa conobbi proprio Caponnetto e Maria Falcone. Ascoltai con entusiasmo. Non era finita, la speranza si riaccendeva. Come nell’eco di quel monito di Rosaria Schifani: “Vi perdono, ma inginocchiatevi”. Messaggio fortissimo, anche se oggi la sensazione che gli inginocchiatoi siano vuoti”.
D. E le polemiche spaccano tutto, anche il mondo dell’antimafia. Senza risparmiare nemmeno Pietro Grasso, l’anno scorso addirittura rimproverato per un presunto “premio antimafia” a Berlusconi.
R. “Divisioni assurde. Critiche spesso basate sul nulla”.
D. Fu anche lei accusato per un invito a Berlusconi.
R. “Per averlo invitato a Lampedusa con Maroni e la sua band, finii pure io dentro la rete con bacchettate sulle dita. Spesso si inventano scenari inesistenti. E chi tocca i fili muore. Ogni volta ci vuole il casco, per una battuta”.
D. C’era sintonia con il Cavaliere su Lampedusa…
R. “Per O’Scià. Berlusconi fu il più rapido a cogliere i problemi, a cercare di risolverli. Ero a Palermo, non lo conoscevo, mi telefonò: “Guardi che io e lei facciamo lo stesso mestiere”. Guardi che io non ho mai fatto il premier, risposi. Lavorò subito a una legge. Nel 2004 fece cambiare destinazione al Centro di accoglienza”.
D. Si parla di una svolta di Baglioni. Un tempo intimista. Poi impegnato da Lampedusa all’Albero Falcone…
R. “La mia produzione non muta, ruota sempre attorno all’avventura e alla disavventura del vivere. Canzoni d’amore e di umore. Sono domande. Quando scatta l’opportunità di un interesse civilmente rilevante mi faccio avanti”.
O parte. Appunto, come si appresta a fare con il prossimo convoglio, il “Con Voi” che culminerà il 19 ottobre al centro dell’isola. L’isola grande. Un modo per continuare e ampliare il messaggio della “zolla due punto zero”.
Trascrizione a cura di Sabrina Panfili, in esclusiva per: https://www.doremifasol.org e http://www.saltasullavita.com