50 anni al CentroIn evidenzaStasera a casa di Luca

Claudio Baglioni, un viaggiatore solitario

Qualcosa mi dev’essere andata per storto: un disguido, un
ritardo, una coincidenza perduta; forse arrivando avrei dovuto
trovare un contatto, probabilmente in relazione a questa valigia
che sembra preoccuparmi tanto, non è chiaro se per timore di
perderla o perché non vedo l’ora di disfarmene. Quello che pare
sicuro è che non è un bagaglio qualsiasi, da poterlo consegnare al
deposito bagagli o far finta di dimenticarlo nella sala d’aspetto. E
inutile che guardi l’orologio; se qualcuno era venuto ad aspettarmi
ormai se n’è andato da un pezzo; è inutile che mi arrovelli nella
smania di far girare all’ indietro gli orologi e i calendari sperando
di ritornare al momento precedente a quello In cui è successo
qualcosa che non doveva succedere.

Nel 1979 Italo Calvino scriveva così in Se una notte d’inverno un viaggiatore, un romanzo folle che la critica ha elevato a emblema del cosiddetto post-moderno: un inizio con l’invito al lettore, e poi dieci inizi di dieci storie diverse. Un gioco letterario, ma che dietro nasconde la grande inquietudine dell’uomo del non riuscire a cogliere veramente il senso profondo della realtà. La suggestione è ovviamente più antica di Calvino, lo diceva più di trecento anni prima per esempio Cartesio, ma nel Novecento questo senso di incomprensione del reale si è trasformato in angoscia. Nei primi vent’anni del Duemila, le cose non sono certamente cambiate, ecco perché nel nostro mondo si moltiplicano i palliativi per sfidare l’angoscia, il senso di incertezza e perfino la paura della morte: spettacolo e iperspettacolo, musica e intrattenimento, sport, farmaci, psicologi…tutto è un palliativo. Poi, certamente, ci riempie la vita, e la vita va riempita anche se proviamo l’angoscia di non capire il presente, perché una vita piena è sempre molto meglio che una vita vuota.

Il primo dei dieci incipit del romanzo, firmato nella finzione metaletteraria proprio da Calvino stesso, ha per protagonista un viaggiatore che va in una stazione deserta, in cui tutto sembra essere irreale e inafferrabile; con sé ha una valigia, descritta nel passo riportato sopra. La valigia del lettore calviniano è ambigua, perché ne ha paura (forse non ne conosce il contenuto?), ma nello stesso tempo non vede l’ora di disfarsene. Eppure è lì con lui, e lui la tiene in mano. La certezza è che non è un bagaglio qualsiasi.

Con la valigia inizia anche il nostro Al Centro di Claudio, che riparte stasera. Ho già osservato mesi fa quanto questo incipit sia efficace e significativo all’interno dello spettacolo. Ma ora vorrei soffermarmi un po’ di più su di esso, forse perché illuminato da questa assonanza calviniana. D’altronde, viaggiatore è una parola molto cara alla poetica Baglioniana, e non è un caso che Claudio sia il cantautore del viaggio per eccellenza (con lui forse solo De Gregori). Non il viaggio verso terre inesplorate, non il viaggio che prevede uno spostamento fisico o turistico, ma il viaggio che ognuno fa solo con sé.

Eccola, lì, quella valigia. Nera e angosciante. Vuota? Forse piena di qualcosa che non si sa? La valigia è lì che guarda Claudio, che la tiene in mano, fiero, deciso, dirimpetto. Dentro vi sono dubbi, incertezze, un carico di canzoni che in realtà è un carico di vita. E di fianco c’è lui, il viaggiatore. Un viaggiatore solitario, che sul palco è un leone-gladiatore (non è un caso la scelta dell’Arena), ma che nella vita è un solitario, un uomo alla ricerca di sé e alla ricerca dell’altro e degli altri, e di sé in tutti gli altri (perché tutti gli altri che incontriamo hanno dentro un po’ di noi, e viceversa). Un viaggiatore sognatore, che ha passato una vita ad inseguire un palloncino, e che ora si ritrova con affianco una valigia pesante, grigio ma non domo, e che si mostra al suo pubblico come ad una sorta di famiglia allargata. Ecco, credo che la valigia di Al Centro rappresenti bene questo nuovo inizio di Tour, che come tutti i nuovi inizi porta con sé entusiasmi e dubbi, tante domande e pochissime risposte, un po’ di frizz emotivo ma anche bordate di delusioni.

Claudio è lì, con la sua valigia, nella stazione di Calvino, dove tutto è irreale ed è difficile da cogliere. Noi siamo ospiti in questa stazione, che sembra sempre la stessa e nello stesso tempo sempre diversa. Claudio non ci può aiutare a fare luce, ma può allungarci una mano, e invitarci a proseguire lungo la strada, anzi, lungo il viaggio: a proseguirlo anche se abbiamo perso una coincidenza, a proseguirlo anche se non sappiamo quale treno prendere, a proseguirlo anche se il sogno cade. Perché lui è un viaggiatore: ha viaggiato, viaggia ancora, e come si fa quando si va in montagna o in mare, seguire un viaggiatore navigato ed esperto è l’unico modo per imparare a viaggiare su quel particolare terreno o territorio.

Teniamo stretta questa mano, come si fa con la mano degli amici, delle fidanzate o fidanzati, delle mogli o dei mariti, dei figli o dei nipoti (non di tutti, ma di quelli con cui si vive un rapporto vero e autentico); una mano nella mano dell’altro, e nell’altra mano questa valigia. Il viaggio ricomincia. Anzi, il viaggio è sempre. No, anzi, il viaggio è adesso.

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

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