Claudio Baglioni si prende l’Opera
A marzo un nuovo spettacolo multimediale, su piattaforma
Claudio Baglioni – “Mi prendo l’Opera perchè la musica è teatro totale”
di Ernesto Assante per Repubblica del 26 gennaio 2021
Claudio Baglioni torna in scena. Lo fa alla sua maniera, sorprendendo tutti con uno spettacolo multimediale che andrà in streaming a marzo su una piattaforma e che prende le mosse dal suo ultimo album In questa storia che è la mia che nei due mesi dall’uscita ha registrato oltre due milioni e mezzo di stream e 50.000 copie fisiche vendute. Risultato notevole, che ha spinto Baglioni a reagire al silenzio imposto dalla pandemia: «Da settimane pensavo di fare qualcosa che ci permettesse di rientrare in zona operativa» ci dice, «ho rispolverato l’idea di rappresentare un album. Il mio ultimo è un concept album, una storia raccontata con le dinamiche narrative di un’opera popolare. Ho pensato di andare in scena con gli organici e le sezioni di una grande orchestra unita a una band ritmica e elettrica, e di farlo a febbraio con un po’ di prove e registrazioni prima delle rappresentazioni al Teatro dell’Opera di Roma».
Un grande sforzo produttivo?
«In tutto saremo 188 persone, un bel numerino: 76 musicisti, 69 coristi cantanti e 43 tra ballerini e performer. Ci ispiriamo alla vecchia concezione del teatro totale. Mi ci sono avvicinato altre volte ma mai in spazi così classici».
Progetto ambizioso, soprattutto in un momento come questo.
«Ma è proprio questo il momento di sperimentare cose diverse. Senza pubblico, useremo il palco e le sue prossimità, foyer, scale, corridoi, camerini. Una scena aperta a tutto lo spazio, utilizzeremo i costumi e le scene dell’Opera per integrare, evocandola, anche la grande tradizione del teatro lirico. Non un concerto, dunque, ma uno spettacolo in streaming».
È un progetto molto “progressive”, lei è sempre stato affascinato da quel tipo di complessità espressiva, persino in “Piccolo grande amore”.
«Certi vizi non muoiono mai, è vero. Quell’eredità me la sono portata dietro sempre, a volte con fortuna altre meno, anche in quest’album, che è un album di canzoni ma con il telaio del racconto».
Dove nasce questa passione per la teatralità? Non le basta la canzone?
«Non so esattamente da dove nasca, a dire il vero è stato così dall’inizio, quando suonicchiavo e non avevo un mestiere. Avevo un gruppo a Centocelle, ci chiamavamo Studio 10, giravamo per i “pidocchietti”, i piccoli teatri parrocchiali, e facevamo spettacoli con contenuti misti, canzoni alternate a un brano di Tagore o a una danza ispirata da qualche coreografo alternativo».
Questa propensione “progressive” è anche un rifiuto della contemporaneità, che è tutta superficie, immediatezza?
«È vero, siamo vittime della fretta, della scarsa attenzione, se vedi un libro un po’ piu alto di un wafer ti viene un colpo. Fare un concept album di 80 minuti usando qualsiasi frame per tenere aggrappato l’orecchio di qualcun altro è per me un bisogno quasi patologico. Sia chiaro, non ho la stoffa del “conducator” che chiede spazio per le sue opinioni, chiedo attenzione per la musica. Sarà anche un rifiuto della contemporaneità ma non mi piace che vada persa la dimensione della profondità, che la visione del mondo si risolva in un piano che non ha prospettive».
Nella dimensione teatrale dello spettacolo c’è anche un desiderio di fisicità che va oltre la canzone.
«Le emozioni sono legate al corpo, alla pelle, comprendono il tremore, la vibrazione, il freddo, il caldo. Ora divento nostalgico, ma che tutto questo oggi venga meno è terribile, ha fatto tramontare la centralità della musica a favore di altro. I “contatti” non sono il contatto. Io cerco l’emozione come i filosofi cercano l’uomo, come il cercatore va a caccia d’oro. È questione di sopravvivenza, o cerchi o smetti. Però, se negli ultimi vent’anni ho spesso fatto le prove del gran finale, da quattro o cinque anni non penso più a “chiudere” ma a vivere questa meravigliosa vicenda artistica e umana».
Sarà anche perché negli ultimi quattro o cinque anni la musica italiana ha mostrato una nuova vitalità?
«Sì, me ne sono accorto anche per questioni meramente “notarili”: nei due anni in cui ho fatto la direzione di Sanremo, la parte bella del lavoro è stata quella di occuparmi di tanta musica. Mi sono gettato nelle realtà anche meno conosciute, è stato bello. Oggi c’è molta vivacità nella musica italiana».
Cosa racconta la musica italiana di oggi dell’Italia di domani?
«La canzone sta vivendo una fase vitale ma non c’è la stessa vitalità in altri campi. La tv non è così coraggiosa, la letteratura non mi sembra. A “la musica salverà il mondo” non ci credo, ma può consegnarti spunti e stimoli, se si
riuscisse a trasferirli anche ad altri settori potrebbe andare meglio».
E dopo lo streaming dal Teatro dell’Opera?
«Ci prepareremo ai concerti dell’estate, antologici, con i cinquant’anni di repertorio oltre alle nuove canzoni, nello spazio di Caracalla».
Cosa scriverebbe oggi sul suo biglietto da visita?
«Potrei scegliere “artista”, è legalmente corretto da quando ho firmato il primo contratto. Ma anche “architetto” non sarebbe male, dopo la laurea ho preso l’abilitazione. O “artefice”, perché comprende tutto e non implica una gara, non puoi essere più artefice di un altro. Però puoi cercare di accendere delle cose in modo che domani non sia uguale a oggi».
Non ho capito.
Dove andrà in onda?
Raiplay? Prime? Netflix? Sky?
Sinceramente non si capisce .. Prima era una trasmissione in tre serate insieme a Favino sulla rai.
Poi è diventato uno spettacolo sempre in rai ma da solo in una sera.
Adesso è multimediale in streaming.
Sinceramente non è chiara la cosa