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Sondrio si è inchinata a Claudio Baglioni

Il Sociale si è inchinato a Claudio Baglioni

CONCERTO Un teatro ricolmo e partecipe ha assistito alla performance del grande cantautore romano – Sul palco i successi di una vita, da “Io me ne andrei” a “Fotografie”, “Notte di Note” cantati con il pubblico

Il Teatro Sociale di Sondrio pieno come una bomboniera. Sono le 24,40 e ancora non si è spenta l’eco di una maratona musicale durata oltre tre ore e mezza. Ma il pubblico in deliquio non ha ancora voglia di lasciare una sala blindata dall’emozione.

Circonfuso di luce, un mito della canzone italiana come Claudio Baglioni, osannato dai fan che si accalcano attorno al palco solo per stringergli la mano, per scambiare due fugaci parole, per poter dire un tempo: “Quella sera c’ero anch’io!”. E di una magica, interminabile sera, si è trattato, sin dalla prima apparizione in proscenio, elegantissimo, avvolto in un serico sipario di luci blu, lo smagliante sorriso di sempre e quella voce da impazzire dai toni di velluto e diamante che si mette al pianoforte per dire ancora una volta “E io sono qui”, a domandarsi dov’ è stato in tutti questi anni da quando se n’era andato a lavare i panni dagli inganni del successo, per riscoprirsi sempre lo stesso, grigio, ma non domo. Sotto le rutilanti luci degli spot a raggiera eccolo a raccontarsi, “come in una seduta tra alcolisti anonimi”, in un concerto “singolare” – il 143° – in cui non v’è che un unico demiurgo e una sola creatura venuta al mondo sotto gli occhi farneticanti di un bambino nato da un’informe figura di fango bagnata dal mare ischitano, plasmata dai genitori che gli hanno alitato la vita.

Il pantografo rosso dei laser ha velato l’acquiescenza di quel “Lascia che sia tutto così”, chiedendosi tra le pieghe dei pensieri: “E chissà se prima o poi ti sei voltata indietro”. Gli spazi si sono infranti, a cantare c’è l’intero uditorio e sale tumultuoso l’applauso. E non c’è per il Claudio nazionale alcuna “captatio benevolenthiae” nei confronti della bella Sondrio visto che “ognuno ha il pubbliche si merita!”, quando scandisce i tempi della vita nell’allegorica presenza in scena di un pianoforte a coda accanto ad uno elettrico e l’ultimo digitale, in una storia che dal passato si proietta verso il futuro, in un percorso antiorario che cerca di ingabbiarlo il tempo, di fermarlo di una istantanea immortale, quando beve cantando la sua poesia “Io dal mare”, là dove “saranno stati scogli di carbone dolce dentro il ferro liquefatto di una luna che squagliò un suo quarto come un brivido mulatto o un bianco volar via di cuori pescatori”.

È alla compulsione cronica degli smanettoni informatici sempre pronti a immortalarlo e a selfiezzarsi, che Baglioni si rivolge con un’ironia pacata e ammicchevole per introdurre altra pietra miliare della sua carriera sfogliando un album di “Fotografie” sotto “un azzurro scalzo in cielo”, il cielo matto di marzo di un incontro di un pomeriggio lento e un po’ svogliato. E basta poco a evocare la danza della pioggia che fluttua in un cielo avido di stelle per ritrovarsi insieme a vivere “Tutto in un abbraccio” guardando i “vecchi sulle panchine dei giardini che succhiano fili d’aria a un vento di ricordi”, per evocare una “Notte di note”, note di una notte di luna piena a succhiare l’energia della bellezza celeste mentre un sol coro in duetto con l’artista si canta “Io me ne andrei”.

Da chi è baciato dalla fortuna è sempre difficile stilare una scaletta dei brani di un romanzo popolare che raspa nel fondo di un triste “mal d’amore” o a sognare cantando tutti insieme le visioni di un “Poster”, seduti con le mani in mano sopra una panchina fredda del metrò.

Tra le 350 canzoni dell’epopea baglioniana c’è ancora spazio per “Avrai” e “Mille giorni di me e di te”, poi inizia il delirio, tutti in piedi per i più grandi successi cantati un sol coro da “Con tutto l’amore che posso” ad “Amore bello” bello come il cielo, all’eterno “Piccolo grande amore” a “Sabato pomeriggio” sulla scia di un timido passerotto, a raccontarsi i sogni , accoccolati ad ascoltare il mare, fino a “Strada facendo”, una strada miracolosa e ancora lunga del cavaliere venuto da lontano.

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