La storia di Andrea accanto a Claudio Baglioni
Avevo poco più di otto anni, era il 2009, mia madre mi fece ascoltare una canzone, allora nuova e inedita, intitolata “Niente più” di questo cantautore che prima d’allora chiamavo “vecchio coi capelli bianchi”.
Fui immediatamente rapito, sì, nonostante la mia tenera e precoce età, nonostante poco compresi le parole e il messaggio effettivo, me ne innamorai. Da allora iniziai ad ascoltarla voracemente insieme a tutto il resto del suo repertorio.
Ora, ho quasi vent’anni e finalmente conosco cosa mi colpì tanto di quella musica, di quel testo: lo straordinario accordo tra melodia e poesia. “Niente più” ( come tanti altri tasselli del mosaico baglioniano) è il perfetto raggiungimento dove tutto assuona e consuona, soave danza dove partecipano una turba di immagini, ricordi, percezioni e stagioni d’amore.
Dove si risvegliano le emozioni, primordiali o neonate, caratteristiche dell’esperienza umana.
Non è tutto qui, crescendo ( e cercando) l’ascolto è mutato in studio, proprio come avviene con gli autori letterari: si carpiscono i significati ascosi (anche nei testi “secondari” o che non sono popolari), la variazione del linguaggio, la varietà degli argomenti trattati nelle opere discografiche, perché, come ogni autore che si rispetti, va osservato nel tempo e nelle opere.
La mia, più che storia, è testimonianza di come l’opera baglioniana abbia la virtù innata di essere fortemente virulenta e , quindi, intergenerazionale.
La sua più grande conquista è stata l’aver fatto della sua storia la storia di tutti e della nostra storia la sua.
Andrea
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