Piccole storie dentro la Grande Storia – Gli anni più belli
Quando è stata annunciata la collaborazione fra Muccino e Baglioni ho subito pensato alla mia tesi di laurea magistrale di un anno fa, sul rapporto fra Baglioni e cinema. Scrivevo così: «Baglioni non ha mai lavorato attivamente per il cinema componendo appositamente canzoni per i lungometraggi», e così infatti era stato, perché QPGA metteva in formato cinematografico canzoni già esistenti da diversi anni, e invece Fratello sole, sorella luna non conteneva canzoni realmente di Claudio, ma solo brani da lui interpretati. Con Gli anni più belli la musica cambia: sembra quasi che Claudio (ovviamente sono ironico) abbia ascoltato quel mio messaggio implicito nella tesi, che denunciava appunto l’assenza di questo importante elemento che avrebbe suggellato forse definitivamente la relazione fra Baglioni e il cinema.
Ebbene, questo elemento è arrivato, ormai da tempo: il singolo Gli anni più belli è uscito quasi due mesi fa, mentre il film è uscito al cinema circa due settimane fa. Passato questo tempo, si può parlare del brano offrendone una recensione che sia il più razionale possibile. Perché lasciar passare così tanto tempo? E soprattutto: era necessario aspettare che uscisse il film? La risposta è sì, e ora cerco di spiegare rapidamente il perché. La semiotica moderna (ossia la scienza che studia il rapporto fra segni e significati, in particolare i significati complessi delle opere d’arte) fra le tante scoperte, ci ha insegnato che un’opera d’arte ha valore non in assoluto, ma ha valore in un determinato contesto. Questo vale per TUTTE le opere, si intenda bene, perfino per le opere dell’arte classica greca, che ricercavano una bellezza pura, assoluta e oggettiva, che fosse decontestualizzabile. Il contesto è un elemento portante della comunicazione artistica: l’opera si può capire SOLO se si fa riferimento al contesto in cui è stata prodotta; anzi, dirò di più: a seconda dei contesti, l’opera cambia significato, a riprova che il suo significato non è assoluto, ma è strettamente legato al contesto sia di produzione che di fruizione.
Ebbene, Gli anni più belli è un brano che va contestualizzato all’interno del film in cui si trova. È stato scritto apposta per il film? L’ha scelto Muccino fra i brani del nuovo album di Claudio? Si è letto un po’ di tutto sul web in questo periodo: chi vuole “difendere” Claudio sostiene che questo è un brano scritto apposta per il film, e che il nuovo album sarà invece totalmente diverso (e migliore); chi invece non lo vuole difendere, dice che questa canzonetta da quattro soldi c’era già, e che Muccino l’ha scelta così com’era. Stando alle dichiarazioni, pare che esistesse già la musica, ma mancassero le parole, che quindi Claudio avrebbe aggiunto proprio in base al film. E chi ha visto il film, certamente ha capito quanto le parole siano strettamente legato a quanto successo nel film (su questo punto, molto importante, tornerò più avanti).
Se ci si limitasse all’analisi della canzone singola, svincolata dal film, si potrebbe dire poco. Anzi, bisognerebbe constatare che Claudio ha fatto ancora una volta il Claudio da post-Viaggiatore in avanti. Ha fatto di meglio, ed ha fatto senza dubbio di peggio (intendo proprio da dopo Viaggiatore in avanti, prima sappiamo tutti che si gioca in un altro campionato), ma ha fatto quello che ha saputo fare da quel momento fino ad oggi: scrivere su quelle armonie alla Niente più, alla Un solo mondo, alla Dieci dita/In un’altra vita; scrivere quelle melodie baglioniane doc, che si appoggiano naturalmente su quelle armonie (vedi prima); usare per i testi tutti gli artifici retorici che ha imparato e sperimentato dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta in modo talvolta eccessivo e talvolta misurato (sintagmi impressionistici, cambio di diatesi verbale, complementi oggetti retti da verbi con significati metaforici, ecc… – questa volta direi in modo misurato rispetto ad alcuni brani di Con voi come Isole del sud o Va tutto bene) senza sforzarsi minimamente in una ricerca testuale inedita (una rima fissa su cui costruire tutto il brano, in questo caso la rima in -elli; la rima abusatissima cuore:dolore; il ripetere e l’insistere dei monosillabi – noi –, ecc…), venendo tuttavia meno anche a quei giochi fonici che gli erano stati tanto criticati nel primo decennio del Duemila («e parte il tempo di un tempo a parte», Un solo mondo; «sono solo un uomo / non un uomo solo», Va tutto bene).
Ma, nonostante questo, anche se ci limitassimo all’analisi del solo brano,sarebbe necessario e doveroso ammettere che la canzone non è totalmente campata per aria, ma, è perfettamente coerente con il percorso artistico di Baglioni: parla di un tempo passato che non può tornare, che si è come cristallizzato. Se ci si pensa con attenzione, questo è un po’ il chiodo fisso di Claudio da Oltre in avanti: il tempo da fermare. E lo è anche in questi «anni più belli»: credo sia da un lato l’amara consapevolezza del suo autore, ma dall’altro lato anche una sorta di condanna: non riuscire per nulla a “uscire” da quegli anni più belli, che lo hanno risucchiato come in un vortice (dal punto di vista professionale: gli anni del successo, gli anni a cui tutti rimandano sempre l’immagine di Baglioni impressa nell’immaginario collettivo, gli anni in cui l’età giovanile dava la forza di sperimentare e tentare altre strade; dal punto di vista personale, gli anni in cui c’erano i propri genitori ancora in vita, e ancora altro che noi non sappiamo). La soluzione? «Combattere il tempo / a tempo di musica», cantando e suonando. E, sì, anche questa volta, questo compito gli è riuscito, anche aldilà della qualità forse discutibile del brano.
Tuttavia, come ho scritto in precedenza, il brano non è un singolo di lancio, anzi, non è pure manco il singolo di lancio del nuovo album (poiché non è supportato da alcuna pubblicità o campagna di marketing)…è solo una canzone “da film”. Sfatiamo, se ce ne fosse bisogno, che scrivere per il cinema è qualcosa che i cantautori “veri” non fanno: Modugno ha scritto e cantato per il cinema canzoni bellissime, tra cui la meravigliosa Che cosa sono le nuvole (parole di Pier Paolo Pasolini su musica di Modugno), per l’omonimo episodio inserito nel film a episodi Capriccio all’italiana, 1967 (l’episodio è diretto ovviamente da Pasolini); De Gregori ha scritto apposta Sei mai stata sulla luna? (per altro molto degregoriana e anche bellissima) per l’omonimo film del 2015 di Paolo Genovese; fa parte dello stesso stile di Gabriele Muccino la collaborazione stretta con un cantautore e un legame molto vincolante fra film e canzone (in modo certamente meno originale rispetto a quanto fatto da altri registi, come per esempio Nanni Moretti), si pensi alla sua collaborazione con Carmen Consoli per L’ultimo bacio, 2001, o al sodalizio con Jovanotti in Baciami ancora, 2010, e L’estate addosso, 2016, per non parlare del resto della sua carriera (nel 2003 dalla colonna sonora di Ricordati di me viene estratta Almeno tu nell’universo nella cover di Elisa, pubblicata come singolo, che darà una nuova linfa e un nuovo successo all’evergreen di Mia Martini, rendendolo così molto noto anche al giovane pubblico degli anni Duemila – gli esempi potrebbero essere ancora molti). La musica italiana (anzi, la musica in generale) è centrale nell’opera di Muccino: questa volta è stato centrale Claudio.
Claudio in due brani “dolorosi”, in due brani dove la tematica del passare del tempo non ha connotazioni esistenziali, ma si lega al più naturale dei passaggi (escluso il passaggio segnato dalla morte): la fine di un amore. Non è un caso che i brani inseriti sono quelli in cui dolore per il tempo che passa e dolore per un amore finito si danno la mano: Tu come stai e Mille giorni di te e di me. Anzi, nel secondo brano si assiste ad un’acronia: il tempo non scorre più, ma si ferma nei versi di Baglioni: «Ti presento un vecchio amico mio / il ricordo di me per sempre / per tutto quanto il tempo in questo addio / io mi innamorerò di te». L’acronia è data dall’incrociarsi del passato (il ricordo, il vecchio amico, l’addio d’amore), del presente (in “questo” addio: il momento dell’addio è adesso), del futuro (io mi innamorerò di te anche domani) e dall’eterno, dal tempo che scorre indipendentemente dallo scorrere naturale (il ricordo di me per sempre). Quattro elementi che si fondono fra loro, nel brano esattamente come avviene nel film di Muccino; forse non è un caso che i versi inseriti nel film sono proprio questi?
Gli anni più belli non ha questa acronia né questa complessità, perché suggella soltanto il finale del film, ossia il fatto che gli anni più belli non sono solo nel passato, ma accompagnanole «cose che ci fanno stare bene», frase da sola un po’ vuota, ma che nel film assume un significato quasi esoterico (e così, di conseguenza, nella canzone). Tante, come dicevo in precedenza, le frasi del brano che da sole appaiono come semanticamente vuote, senza significato o quasi retoriche, e che invece grazie al film acquistano chiarezza nel significato: «Noi che sognavamo i giorni di domani / per crescere / insieme mai lontani» è un chiaro riferimento alla vicenda dei protagonisti, e non ad un “noi” casuale e generico (fra cui quel Ristuccia tanto caro alla poetica di Muccino); «Che abbiamo preso strade per cercare in noi» fa riferimento alle differenti strade che hanno preso i protagonisti, ognuno per cercare di realizzare la propria felicità; «Passeggeri persi nel passato» può far riferimento all’incapacità dei protagonisti (e, direi, di tutti gli esseri umani) di svincolarsi totalmente dal passato, poiché ogni azione presente trova una sua spiegazione in quello che è stato prima, e via dicendo, si potrebbe andare avanti con molti altri versi.
Claudio è stato dunque in grado di confezionare una canzone che potremmo definire sia generica che perfino qualunquista, ma che si calza perfettamente con i protagonisti del film, anzi, che proprio insieme al suo film sembra raggiungere il suo vero significato. Certo, i limiti formali messi in evidenza in precedenza ci sono, sono lì da vedere e da toccare con mano. Così come chi non ha apprezzato il film di Muccino e trova stucchevole il suo messaggio, troverà di conseguenza anche molto stucchevole il messaggio di Claudio. Che tuttavia, ancora una volta, resta coerente con il messaggio di tutta la sua carriera: le piccole storie dentro la Grande Storia. Questo è il tema portante di tutta l’opera di Baglioni, in particolare da Strada facendo in avanti, ed è il tema anche del film di Muccino, e in qualche modo della canzone di Claudio, se contestualizzata all’interno del film.
Un passo indietro? No. Un passo falso? Direi di no? Un passo in avanti? Assolutamente no. Forse una corsetta sul posto ecco, questo sì, una corsetta senza rischiare, ma per “rompere il fiato” (gli sportivi sanno cosa intendo). C’è chi potrebbe obiettare che è stufo di corsette sul posto da parte di Claudio: in effetti, di corsette sul posto negli ultimi vent’anni ne ha fatte tante, forse troppe. Ma questo è. Personalmente, visto il film, non la trovo neanche una corsetta inutile, anzi, la trovo quasi originale, proprio perché per la prima volta Claudio si è confrontato con una nuova forma, il cinema, come autore; sarei curioso di vederlo lavorare con altri registi diversi da Muccino, che gli chiederebbero uno sforzo differente. Chissà che questo mai succederà. Per ora, godiamoci il film, che è bello aldilà della colonna sonora (che, bene ribadirlo dopo le polemiche sanremesi, non è di Claudio, ma del premio oscar Nicola Piovani) e aldilà di Claudio stesso: Muccino a molti non piace, ma è indubbio che sa usare il mezzo cinematografico in Italia come sanno fare pochissimi registi. Per questo, teniamocelo stretto. Insieme, ovviamente, al nostro Claudio.
Mi complimento per l’interessante analisi che ha fatto. La canzone , dopo un iniziale scetticismo, mi piace abbastanza . Se è vera la somiglianza con alcuni brani di Con Voi ritengo che in questo caso il testo “comunichi” e che non sia solo frutto di un esercizio di stile. Forse sarà stata d’aiuto anche la storia del film.