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Effetto Sanremo Effetto Baglioni

#StaseraAcasaDiLuca – Puntata Numero 16

Effetto Sanremo, Effetto Baglioni.

Marco Santoro, uno dei sociologi più importanti del panorama italiano, nel 2010 pubblicava un bellisimo libro intitolato Effetto tenco, che si rifaceva nel titolo al celebre film di Truffaut del 1973, Effetto notte. La tesi di fondo del libro era dimostrare che il suicidio di Luigi Tenco al Festival di Sanremo del 1967 aveva dato il via ad un movimento di legittimazione della canzone d’autore come prodotto culturale, e nello stesso tempo aveva permesso lo sviluppo stesso della forma della canzone d’arte moderna.

Giudizi storici del genere si possono fare solo a posteriori, ma molto spesso si capisce quando si sta vivendo qualche momento di passaggio: è quello che abbiamo provato un po’ tutti quel lontano 11 settembre 2001, o quel 13 novembre 2015 dell’attentato al Bataclan a Parigi. C’è comunque forte rischio di sbagliare, soprattutto quando i passaggi non sono particolarmente epocali, o quando l’oggetto di quello che dovrebbe cambiare è qualcosa di assolutamente poco incline al cambiamento. È quello che accade normalmente anche per il Festival di Sanremo.

Nel 2011, quando vinse Roberto Vecchioni con Chiamami ancora amore, la critica inneggiava al cambiamento del Festival, che finalmente si sarebbe aperto alla canzone d’autore, colmando così un divario che si era generato negli anni ’70, proprio a partire da quel suicidio di Tenco. Andò effettivamente così? Sfogliando l’albo d’oro del Festival degli anni successivi, non sembra proprio: Emma Marrone, Marco Mengoni, Arisa, Il Volo…insomma, in realtà sembra non essere cambiato nulla, proprio perché il Festival è una di quelle manifestazioni ostili al cambiamento, che trova sempre un modo per ritorcesi su sé stessa rifiutandolo, il cambiamento. Ma in realtà qualcosa succedette davvero: si andava a compiere un percorso, iniziato nella storia della musica proprio nei famigerati anni ’70, di unione tra canzone d’autore e canzone pop(olare): un cantautore di sinistra, ideologizzato e politicizzato, uno della triade dei cantautori storici (Guccini-Vecchioni-De Gregori), appena sotto al primo e indiscusso Re dei cantautori italiani (Fabrizio De André), vinceva il Festival, quel festival che nel ’67 aveva fatto andare avanti la retorica de La rivoluzione cantata da Gianni Pettenati, sacrificando la sofferta e dolorosa Ciao amore, ciao di Tenco. Un percorso, quello di avvicinamento tra canzone d’autore e mondo pop, che ha visto storture di nasi da tutte le parti, sia dagli strenui difensori della canzone d’autore (è d’autore tutto ciò che non si piega ai bechi meccanismi del commercio), ma anche da tutti i sostenitori della canzone come forma popolare (in fondo, sono solo canzonette, per cui, l’arte è tutt’altro). Eppure, la distanza si è colmata. Non è che non esiste più la canzone d’autore, e non esiste più la canzone pop, ma esiste una vasta zona grigia, che alcuni critici chiamano dei “cantapopautori”, in cui si muovono cantautori togati come Vecchioni, ma anche cantautori giovani e buoni mestieranti. Insomma, tra il tocco fine d’autore di Mirkoeilcane e il pop di Annalisa, c’è una vasta zona grigia che, per limitarci al Festival, può essere rappresentata da Renzo Rubino e, forse, anche da Max Gazzé, che si muove in equilibrio tra autorialità e pop.

E l’Effetto Baglioni, qual è? Non è da meno dell’effetto Tenco, e dell’effetto Vecchioni, e anzi, continua esattamente questi due “effetti”. Baglioni ha siglato decisamente la sincresi tra cazone d’autore e Sanremo, proponendo una visione di “Festival d’autore”, che segue una sua precisa visione d’autore (che poi, è quello che differenzia l’icona del pop – immagine che si ripete all’infinito come un meccanismo, con variazioni minime –, esatto opposto della canzone d’autore, che appunto sottostà alla visione di un soggetto ben preciso, l’autore). Quindi sì, si può fare un Festival d’autore, che segue una visione d’autore, non particolarmente originale (la musica al centro), anzi, talmente banale da farla sembrare insignificante, ma alla quale nessuno aveva pensato mai, almeno negli ultimi anni, sopratuttto chi era preso a inseguire un altro tipo di show, da ripetere come un meccansimo. Serviva un cantautore, per proporre una visione d’autore del Festival.

L’effetto Baglioni ha dato molti altri risultati, osservabili dopo il Festival, di cui un altro, decisamente grossolano, legato sempre all’idea di autorialità. Rollingstones, la rivista, ha pubblicato un provocatorio articolo dal titolo “Noi, che ci siamo vergognati di ascoltare Claudio Baglioni”. Soggetto e oggetto sono proprio tutti coloro che, particolarmente politicizzati, negli anni ’70, ascoltavano i cantautori di sinistra, ma che nel segreto della loro stanza si innamoravano sulle note di QPGA o di E tu. Serviva una riabilitazione di quel Baglioni, ne siamo tutti consapevoli. Un Baglioni già d’autore che, nonostante trattasse tematiche squisitamente pop e iconiche, in realtà offriva un punto di vista decisamente soggettivo, soprattutto nel primo sottovalutato album Questo piccolo grande amore, che aveva alla base un’idea autoriale ben precisa (l’amore come un’alternativa quotidiana e vitale alle lotte politiche, l’amore come anima concreta e sussulto da portarsi dietro nelle vicende della giovinezza, anche in quelle difficili come il fronte). Questo primo Baglioni d’autore si può sdoganare solo attraverso quel percorso di riflessione profondamente estetica sull’opera, allontanandosi da furori ideologici e politici che hanno imperversato per anni, e considerando la nuova zona grigia, di cui senza dubbio faceva parte il primo Baglioni. Ma poi c’è tutto il secondo Baglioni, quello veramente d’autore (a cui si collega tantissimo il primo, si intende), che pare un po’ essere caduto nell’oblio dopo questo ritorno in auge del Divo Claudio. Sarà anche questo Effetto Sanremo?

Eh sì, perché c’è stato, oltre che un Effetto Baglioni, anche un Effetto Sanremo: il pubblico ha riscoperto Baglioni. Risultati molto concreti: sold-out all’Arena di Verona velocizzato, biglietti venduti del Tour, ritorno al primo posto su ticketone, giovani che scaricano La vita è adesso sul proprio i-pod. Tutto positivo, certamente. Un po’ come la sterile e inutile polemica sul film “Un principe libero”, la fiction Rai su Fabrizio De Andrè, che ha avuto il pregio di parlare di De Andrè a tutti, ma che è stata bersaglio di polemiche feroci e agguerriti. La questione è che non ci si può limitare ad una fiction per conoscere De Andrè, così come non ci si può limitare al Festival per conoscere Baglioni. Questi sono solo imput, che devono scatenare altro.

Effetto Sanremo su Baglioni, che torna ad essere il Divo Claudio, il cantante dall’ugola d’oro, dalle canzoni strappalacrime e, ora, anche dell’eleganza, della finezza e dell’autorionia. Ma anche Effetto Baglioni su Sanremo, anzi, più in generale sulla musica, e sul colmare la distanza tra canzone d’autore e musica pop, tra visione autoriale e show televisivo. Quanto dureranno questi effetti?

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

4 Commenti

  1. Questo effetto Baglioni mi dura da 44 anni . . Quando a Sanremo la Cinquetti cantava non ho l’età per amarti aveva proprio ragione. . Io nasce o è Claudio cantava la casetta in Canada’ adesso nel 2018 la differenza di età non si vede. . Infatti a Sanremo pensavano che io avessi una storia con Baglioni e infatti non è escluso è rimandato solo di un anno. . . Claudio aspettami che sto arrivando per il tuo compleanno ,

  2. Citando Vecchioni, “le idee sono come farfalle che non puoi togliergli le ali”, “le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali”. Perciò le buone idee di Claudio DEVONO perdurare e perdureranno….

  3. Complimenti Luca!Hai esposto perfettamente ciò che io sostengo da una vita.Grazie per questa ottima disamina, non solo del Buon Claudio, ma in generale di tutta la musica cantautorale italiana.

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