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Tra armonie e disarmonie, vince Claudio Baglioni

Questo Sanremo ha offerto tantissimi spunti di riflessione, che meritano di essere analizzati uno ad uno, che farò nel corso della rubrica Stasera a casa di Luca prima della ripresa del Tour Al Centro. Dunque, la prima puntata viene dedicata a Armonie e disarmonie. Buona lettura a tutti! Aspetto i vostri commenti!

Sanremo 2019: tra armonie e disarmonie,

vince Claudio Baglioni

Sanremo è una delle più grandi liturgie popolari italiane: è una di quelle manifestazioni che uniscono il paese proprio perché lo dividono. Nessuno lo ama, ma tutti ne parlano. Un po’ come Inter-Juve o come il Derby. A Sanremo c’è qualcosa che in molti considerano una bestemmia: l’Arte Pop. Non la pop art, ma l’arte pop. Chissà come mai in Italia esiste una parte del pubblico e della critica che continua a considerarla una bestemmia, mentre nel resto del mondo no. Forse perché nel mondo si sono sviluppati gli studi di popular music, mentre in Italia, come sempre, siamo rimasti indietro. O forse perché a noi italiani piace molto di più buttarla in caciara e trasformare tutto in chiacchiere da bar, piuttosto che affrontare sul serio un discorso così. Ma il dato di fatto oggi è lampante: la canzone è una forma di arte pop, un prodotto culturale, una categoria estetica e formale. E Sanremo è il Festival della canzone italiana, di questa forma che Claudio ha definito arte tascabile.

Quest’anno abbiamo avuto un’esposizione notevole e allargata di questa forma. Dispiace che in molti abbiano osservato la scarsa o scadente qualità delle canzoni in gara a questo Festival, ma si sa, spesso per giudicare deve passare del tempo. C’è poi ancora chi porta avanti una manichea distinzione tra musica popolare e musica d’autore, magari gli stessi che hanno criticato Vedrai vedrai cantato da Elisa e Baglioni, che avrebbero “snaturato” il pezzo di Tenco. È chiaro che il pezzo di Tenco non c’era più, non era più lui, e non c’era neanche più il suo significato originale, ma è diventato nella sua cover qualcosa di altro. Che cosa? Qualcuno potrebbe dire: “puro esibizionismo od ostentazione”. O semplicemente, un modo di interpretare di due artisti che hanno fatto propria una canzone (e un’emozione), e hanno cercato di restituirla con le loro capacità vocali e con la loro chiave di senso. D’altronde, l’interpretazione di una canzone è parte strettamente autoriale, così come lo è l’arrangiamento. Poi, per fortuna il gusto è libero.

Comunque, tornando alla questione: secondo alcuni, la musica pop non può essere d’autore, perché deve piacere a tutti. No, non è così. Esiste una musica pop scritta con un’idea d’autore (bella o brutta; minima o grande; originale o abusata; esplicita o implicita, ecc…), ed esiste musica pop vuota. E, paradossalmente, queste tipologie di canzone pop (nel senso di canzone “per tutti”) sono arrivate alla finale di questo Festival di Sanremo: tre idee molto diverse di intendere la musica, come ha detto Claudio in conferenza stampa. Il volo con Musica vera che resta incarna la musica pop più vuota: bel canto, polifonia, musica che prende e parole senza un vero e proprio significato, che riprendono immagini trite e ritrite della tradizione canzonettistica. Intendiamoci, può piacere (anzi, piace parecchio, soprattutto a certe fasce di età più avanti con gli anni, oppure agli amanti del “bel canto”). Con “vuota” non intendo alcun giudizio di valore. Poi abbiamo I tuoi particolari di Ultimo, che incarna quello che molti potrebbero definire una sorta di pop d’autore: giovane di talento, che sa scrivere e che sa suonare, ma che in realtà, se andiamo ad analizzare la canzone (ed è il Festival della canzone, NON degli autori: quindi, di canzoni si parla, e non del colore della pelle o delle origini dei suddetti autori), ha scritto un testo di immagini molto ripetitive, anche se scritte bene (potremmo dire: una specie di Tiziano Ferro in erba, capace di scrivere, ma che non osa e non ci mette quasi niente di suo o di originale). Infine, abbiamo Soldi di Mahmood, una canzone, certo, scritta per piacere, e che in effetti piace: è la canzone italiana post-Sanremo che ha raggiunto i vertici più alti delle classifiche mondiali; l’indomani della vittoria infatti, chi non ha battuto le mani a ritmo con l’orchestra durante il ritornello? (lo hanno fatto anche parecchi bambini). Mi spiace contraddire Ultimo, ma il voto popolare che gli hanno dato i suoi fan e con cui avrebbe, secondo lui, dovuto vincere Sanremo, non è sinonimo di insuccesso del giovane milanese. La canzone racconta una storia precisa, una storia del suo autore, e lo fa in modo originale, che certamente può piacere o non piacere, ma in cui troviamo una precisissima idea d’autore. Chiaro, non abbiamo le raffinate costruzioni di certa canzone d’autore, ma non tutto deve essere raffinato.

Questa lunga premessa, per dimostrare che Claudio Baglioni ha vinto: il suo festival ha portato in finale tre idee diverse di musica pop. L’anno scorso però questa vittoria era lì, sotto gli occhi di tutti: lo share da record (riporto le sue stesse parole: “tutti noi diciamo che lo share non conta, ma il giorno dopo quando arrivano le dieci del mattino siamo tutti attirati da quel numerino”. Chi di noi baglioniani potrebbe negarlo?), l’entusiasmo generale della critica che aveva ribaltato mister maglietta fina in una star contemporanea, l’eco sui social grazie anche a Favino e Hunziker, i meme su internet e molto di più.

Quest’anno non è andata così. C’è stata molta confusione, dettata dalle polemiche iniziali e poi da quelle sviluppatesi durante il Festival, complice anche chi ha fatto il suo mestiere come Striscia (ma da cui Baglioni da gran signore si è allontanato non per spocchia, ma per “preservare” il mantenimento dell’attenzione sulla complessa macchina del Festival). Polemiche che, come anticipato, ci sono ogni anno. Quest’anno sono state condite dalla confusione, e amplificate dal fatto che è stato un Sanremo molto sotto i riflettori, sia per ragioni dettate dall’intento preciso della Rai e di Baglioni (allargando il pubblico ai giovani), sia per ragioni forse inaspettate dagli organizzatori (era così chiaro che si sarebbe politicizzato un po’ di tutto, dai giornalisti ai concorrenti?), infine anche perché ormai l’uso dell’amplificazione dai Social Media è ormai all’ordine del giorno per qualunque cosa. Confusione inoltre accentuata da un format non perfetto, soprattutto in confronto con quello dello scorso anno. Intendiamoci, rifare lo stesso format era pressoché impossibile. E il format alla fine si è dimostrato riuscito, non tanto per lo share, ma in generale. Ma quindi, perché si può parlare di vittoria di Baglioni se le cose di per sé non sono andate bene come forse sarebbero potute andare? Vorrei ora dedicarmi ad un aspetto, quello dell’armonia. Mentre nelle prossime puntate di Stasera a casa di Luca toccherò altri aspetti, tra cui quelli artistici.

In molti hanno notato che il proclama dell’Armonia non è stato rispettato. Ma ne siamo così sicuri? Attenzione, perché Claudio lo ha spiegato bene quando ha presentato l’inizio del Festival.

L’armonia, principio fondamentale della musica, è
un percorso verso la bellezza, non è una condizione di partenza,
ma di arrivo, a volte difficile, è un traguardo, un percorso che
consiste nel collegare elementi e significati diversi lontani,
opposti, come nel simbolo yin e yang che ispira il numero 69.

Un percorso di cui questo Festival è stato una tappa, non un punto di arrivo.

Dove non c’è stata l’armonia? Soprattutto in tutto ciò che è stato extra-festivaliero: la politica ha macchiato i giornalisti, ha alimentato polemiche e ha influenzato il sentire comune, cavalcando l’onda del populismo del nostro paese e creando confusioni tremende tra concetti molto distinti, come quello di democrazia e di televoto. Le polemiche ci sono, certo, ci sono sempre state e sempre ci saranno. Non ci sarebbe Sanremo senza polemiche. Ma è bene mettere ordine nei concetti, soprattutto visto l’eco mediatica che ha avuto questo festival. Che poi il sistema del voto così non funzioni, l’ha ammesso anche Claudio. Ma poi, gli altri sistemi funzionavano? No, perché ogni anno c’è sempre stata qualcosa da dire, a partire dal duo Gabbani-Mannoia, alla questione amici e talent (Marco Carta, Scanu e chi per loro). Non c’è stata armonia nei Social, ma si sa, nei social non c’è armonia: c’è istinto, rabbia, possibilità di parlare e di scrivere senza filtro. E nel Sanremo più social della storia, era evidente che poteva essere così.

Allora, dove c’è stata l’armonia? L’armonia si dovrebbe ottenere dall’avvicinamento di più parti, soprattutto opposte. Attenzione però, non nell’unione, ma nell’avvicinamento. Per avvicinarsi, serve che entrambe le parti facciano un passo verso l’altro, senza misurarsi i centimetri che si percorrono, altrimenti il rischio è di dire: “io ho fatto cinque centimetri, ma tu solo due”, o viceversa. E questo sarebbe molto disarmonico. Cogliere i significati dell’armonia che questo Festival ha cercato di mettere in ballo non vuol dire non guardare agli errori, alle imperfezioni e alle imprecisioni, che ci sono state sul palcoscenico, ma anche nella gestione di alcuni aspetti strettamente festivalieri (come per esempio il panico finale dell’ultima mezzora dell’ultima serata). Ma torniamo alla domanda di partenza. Perché ha vinto Claudio Baglioni?

Perché Claudio aveva capito. Aveva capito la situazione di partenza, nettamente frammentaria. Ha colto che la musica italiana sta vivendo una fase di cambiamento, e che c’è una contrapposizione quanto mai netta tra musica “giovane” e musica “vecchia”. C’è sempre stata questa contrapposizione: ora è più forte perché il linguaggio del rap e della trap è un linguaggio di rottura (come lo era stato all’epoca, mi si faccia passare l’espressione senza il rischio di blasfemia, il rock). E la contrapposizione frammentaria è la chiave di lettura del nostro paese, non tanto a livello politico, ma proprio a livello umano. La visione di Baglioni era chiara: partire dall’Italia di OGGI, e cercare di tracciare un percorso che potesse portare un obiettivo, a livello sia umano che artistico.

Chi non ha colto tutto questo o non l’ha capito, forse si è fermato alla superficie di questo Festival. Mi ricorda tanto quei giornalisti che per anni hanno attaccato Baglioni per il suo disimpegno, e ora lo hanno elevato ad icona dell’impegno sociale. Quando in realtà Baglioni è sempre stato molto coerente con sé stesso. Le sue canzoni parlano da sole. Poi, ripeto, nel Festival si sono messi in luce anche grossi problemi, come l’oligarchia in fatto di governance musicale in Italia; ma, nello stesso tempo ha dato la possibilità anche ad artisti indie o a generi minori e case di produzione minori di presentare i propri esponenti. Oligarchia sì, ma non monopolio. Chi non ha colto che Sanremo è Sanremo, ma che cambia (come cambia ogni cosa “per vivere, e vive per cambiare”, forse deve guardarsi indietro ai Festival precedenti. Il problema è che un fenomeno spesso non si riesce a cogliere mentre è in fase di svolgimento, ma bisogna che passi un po’ di tempo per poterlo inquadrare. Lo storico ragiona in modo storico-critico, mentre il critico ragiona solo in modo critico, e deve proporre una critica. Io non sono né uno storico, né un critico: offro solo spunti di riflessione. Dunque, il dirottamento è stato compiuto. Dove porterà, lo dirà solo il futuro. Di questo dobbiamo ringraziare tante persone, tra cui Claudio Baglioni.

[prosegue nella prossima puntata]

Luca

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

7 Commenti

  1. I tuoi commenti sulla musica di Claudio sono molto interessanti,perchè la lingua italiana non è la mia nato ,a volte potete aiutarmi con la traduzione,le tradizioni su internet sono per lo più pessime,ma le traduzioni su tutto il sito sono molto accurate e professionali mi. non so chi traduce per voi,ma sono molto stupito dalla loro qualita(è un traduzione in linguà ceca o croata) Grazie a tutti soprattutto Claudio

  2. Forse e’ miglio che si volti pagina.E ci si concentri ai prossimi impegni di Claudio ha partire dal tour e dal prossimo lavoro discografico.Buon lavoro Claudio.

  3. Premesso che si discute “SOLO” di canzoni e non di chissà quale vitale questione, ho trovato sterili e prive di qualsivoglia logica tutte le polemiche prima durante e dopo festival( innescate, direi esclusivamente, da un programma della concorrenza per proprie ragioni che non sto qui ad analizzare).
    Personalmente credo che in questo festival fossero rappresentati diversi generi musicali per tutti i gusti e che si potesse trovare la canzone “del cuore” in cui riconoscersi e da canticchiare il giorno dopo..il festival ii lo vedo così..e non vado a ricercarvi reconditi complotti di chissà chi e chissà per cosa..
    Per quanto concerne l”ARMONIA voluta da Claudio nel mio piccolo l’ho vista realizzarsi quando mio figlio(19 anni) si è seduto accanto a me a guardare il festival( cosa mai fatta neanche a dirlo)…
    Lo spettacolo l’ho trovato gradevole( e non solo perchè vecchia e appassionata baglioniana)..dopodichè…sono solo canzonette

  4. Caro Luca, fa davvero piacere sentire il tuo entusiasmo e la tua voglia di approfondimento. Anche se non mi trova d’accordo su buona parte dei tuoi commenti espressi in questi giorni di festival. Io, devo dirlo subito, non sono affatto un estimatore di Claudio Baglioni. La mia formazione musicale mi porta distantissimo da lui. Posso condividere con te la bontà delle scelte delle canzoni, la loro varietà e una certa dose di coraggio(anche se non è stato spiegata la questione Salzano e F&P). Un colpevole silenzio. Dato comunque atto di questo mi sembra che lo spettacolo sia stato modesto: Baglioni quando non canta è imbarazzante nella sua rigidità (i siparietti comici con lui in scena erano di una mestizia esterna), i due comici non sanno condurre e a me non sono piaciuti per nulla, gli autori dei testi sino stati imbarazzanti e gli ascolti sono stati inferiori allo scorso anno. Ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere: il direttore artistico fa il direttore artistico, i comici fanno i comici, troviamo un conduttore per favore. E arginiamo la bulimia del Claudio Nazionale.
    Ti saluto, comunque, con stima e sincera simpatia.
    Bruno

    1. Carissimo Bruno, innanzitutto ti ringrazio del commento, e sono contento di confrontarmi anche con chi non è estimatore di Baglioni. Anche perché come hai detto tu la formazione musicale conta molto nell’elaborare anche una sensibilità e dunque un gusto ed una stima. Io per fortuna sono cresciuto con una formazione musicale (italiana, perché su quella straniera ammetto la mia immensa ignoranza) molto varia, che va da un amore viscerale per De André e per Giorgio Gaber, e che passa da Battisti sia di Mogol che di Panella fino a Vecchioni, che interseca Baglioni (che è diventato, oltre alla passione, un affetto che va aldilà della musica). Sul Festival, che lo spettacolo non è stato qualitativamente così alto sono anche io d’accordo, e l’ho detto anche nell’articolo. La scrittura è stata debole in tanti punti di vista, ed è un peccato che siano stati sprecati secondo me due attori in gamba come Raffaele e Bisio. Sulla direzione artistica, io sono sempre stato perplesso sul Baglioni-conduttore, ed è innegabile che non sia il suo mestiere. Ma anche sull’eccessiva presenza sua sul palco dell’Ariston. Ma d’altronde, credo sia stata una scelta ben precisa. Personalmente, avrei scelto diversamente. Ho cercato di mettere in luce qui le idee positive della gestione-Baglioni (la prossima volta mi concentrerò di più sul discorso spettacolare artistico, analizzandone meglio i pro e i contro e i punti di debolezza), che secondo me ci sono state come appunto ho detto. Poi, sul discorso del gusto, io capisco che non a tutti può piacere, e resta il Festival della Canzone Italiana. Claudio Baglioni è così, con tutti i suoi pro e tutti i suoi contro. Poi, è molto bello confrontarsi su pareri opposti. Per fortuna non la pensiamo tutti allo stesso modo. Ma anche avendo pareri opposti, ci si può incontrare, pur mantenendo le proprie idee di gusto e le proprie sensibilità. Credo che, in fondo, l’Armonia evocata sia proprio questa. Un grande abbraccio!

      1. Caro Luca, da estimatore di Baglioni (da quasi 40 anni), mi trovo d’accordo con Bruno. Soprattutto per ciò che concerne la parte spettacolare della manifestazione. Ogni cosa sembra essere stata studiata male. La lunghezza dello spettacolo, gli sketch di Raffaele e Bisio, la sua presenza quasi forzata nei duetti. Ha quasi l’odore di un’occasione persa. Perchè il tutto nasceva dall’idea, secondo me assolutamente giusta, di dare spazio all’Italia musicale di oggi. Dal classico al moderno. Dall’antico al giovane. E infatti più ragazzi si sono avvicinati a questa manifestazione. Gli ospiti, solo italiani. Come a rafforzare l’idea non di un festival “sovranista” come si è detto da più parti, ma di una manifestazione canora che più assomigliasse ad un’esibizione variegata di musicisti che ad una gara vera e propria. E da questo si doveva partire, con un condimento di risate che avrebbe dovuto alleggerire il tutto. Invece la parte comica è stata purtroppo deficitaria, a parte qualche eccezione (Pio e Amedeo). Claudio ha provato a dar nuovamente luce a quel personaggio “brillante” che l’anno scorso aveva stupito chi non lo conosceva. Ma tutto sembrava storto. Diverso. Anche musicalmente la presenza di Baglioni non è stata all’altezza. Brutti i duetti, lui in tante canzoni fuori luogo, quasi estraneo al pezzo che cantava. E soprattutto ad evidenziare che se per gli altri colleghi è impossibile cantare le sue canzoni, diventa anche complicato per lui cantare quelle degli altri, sempre che non si riporti tutto alla sua tonalità. Sarebbe stato meglio far eseguire l’ospite da solo. Come in un mini concerto. Tralascio il commento sulla presenza dell’Amoroso come super ospite, perchè non l’ho capito. Un’ultima cosa. Il giudizio di questo festival da parte dell’opinione pubblica (carta stampata) avrebbe potuto essere meno condizionato dalle polemiche sui migranti. Perchè è ovvio che molto della negatività che è circolata attorno a San Remo è derivata proprio da quel momento. E’ come se l’aria fosse cambiata improvvisamente. Bastava anche guardare i social. E poi a seguire le polemiche dei colleghi. Guccini, la Bertè, Marcella Bella, tanto per fare un esempio. Troppo astio su questo festival e su Baglioni. E’ vero che è sempre stata la manifestazione con maggiori polemiche sulle spalle, però credo che quest’anno si sia veramente passato il limite. Claudio non ha bisogno di consigli. Però, onestamente, non credo ci sia spazio per una terza edizione. A meno che non la si faccia con un elmo sulla testa.

        1. Ciao Daniele, innanzitutto ti ringrazio per il commento. Il mio giudizio sul format non è positivo, forse non emerge (leggerai nei prossimi miei scritti). Alla fine affermo che il format comunque è “funzionato”, anche se è stato deludente da tantissimi punti di vista, che tu hai messo benissimo in evidenza nel tuo commento e che mi trova d’accordo. Così come mi trovi d’accordo sul giudizio negativo tra carta stampata (e social), a cui aggiungo una frase dello stesso Claudio: il troppo stroppia. E Claudio comunque è “tanto”, talvolta “troppo”, e quando il format non funziona, questo “tanto” sembra ancora di più, anche se effettivamente non è stato così tanto in più dello scorso anno. Un caro saluto

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