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Più forte della morte, che è fuori di qui

Luca Bertoloni per doremifasol.org

Una riflessione su Requiem e sulla guerra in Ucraina

Più forte della morte, che è fuori di qui 

Niente è più forte della fisicità della morte: lo stiamo provando in questi giorni più che mai. Una morte che ormai è spettacolo, è show, è condivisione. La prima guerra “vicina a noi” nell’epoca Social è devastante: un mono-tema, come lo era stato la pandemia; un profluvio di immagini e di suoni, di silenzi e di morte che ci tocca fisicamente con i suoi suoni, rumori, odori e visioni.

La morte non è solo quella «fuori di qui», ma anche quella «dentro di noi», come ha sottolineato Claudio nel suo Requiem del 2003.

Dentro di noi c’è la morte della tristezza, la morte del non saper reagire a una tragedia umanitaria così devastante – con il rischio di pensare che quella Ucraina sia l’unica tragedia dell’epoca contemporanea, laddove invece ce ne sono tante, soprattutto quelle di

«chi aspetta a un’altra riva 

davanti al fiume della memoria 

o chiuso al buio di una stiva»

le tragedie di quelli che questa morte interiore se la portano con sé nel loro viaggio, ovunque vanno, e per sempre condizionerà il loro futuro.

Dentro di noi c’è la morte invocata, quella delle parole di Putin, o negli atteggiamenti della Nato e dell’Occidente: la morte che viene provocata per fare la pace, per dimostrare di “essere più grandi”, essere migliori, dimenticandoci che, citando il maestro Yoda di Star Wars, «guerra non fa nessuno grande». La morte è nell’aria da troppo tempo, in una società in cui la sua spettacolarizzazione non fa altro che esorcizzarla, trovando un modo per, in realtà, non affrontarla.

Dentro di noi c’è poi la morte di ciascuno di noi, quella spirituale o psicologica, quella della fatica a vivere, quella che De André cantava nel suo Tutti morimmo a stento, dicendo che questa è la morte peggiore, perché non ci coglie una volta nella vita, ma è con noi sempre.

Cosa c’è di più forte della morte?

Claudio non ha dubbi: la musica. Non solo: la musica e le parole. Cioè, la canzone. Un oggetto piccolo e insignificante, portatile e versatile, irreale perfino. Ma è più forte della morte. Non solo una «musica leggera / per chi è senza compagnia», ma una musica e «un pugno di parole» per vivere la vita «finché puoi lottare». Tutta l’opera in canzone di Claudio è un’apologia della musica, quasi mai “leggera”; della musica canzonettistica, che può coprire i rumori della guerra, e può coprire la morte che è fuori di noi, e dentro di noi. La musica e la canzone che uniscono terra e cielo, che interrompono lo scorrere regolare e lineare del tempo, dandogli una nuova circolarità che annulla il presente e il passato, che fa tornare vivi i defunti, che dà speranza laddove c’è morte. La canzone come un tramite che accende link, come una porta per accedere al tempo verticale che dà senso alla nostra orizzontalità, così tanto minata in questo periodo di guerra.

Una canzone «non è niente», non risolve nessun conflitto; anzi, basta spegnere l’altoparlante, e manco la sentiamo più. Un po’ come la ginestra leopardiana, che sorge alle pendici del Vesuvio: se solo un piede la schiaccia, non esiste più, smette di esalare il suo profumo. Precarie, le canzoni, come le foglie sugli alberi d’autunno nelle liriche di Ungaretti. Eppure, come le foglie, fanno parte di un ciclo vitale.

Forse ce lo dimentichiamo quanto le canzoni alimentino la vita, la nostra vita. Non solo le canzoni, si intenda: ogni forma d’arte alimenta la vita. La canzone forse lo fa in modo più accessibile di altre, perché non richiede grande competenza intellettuale o assurde elucubrazioni: è un linguaggio tendenzialmente semplice, quello della canzone, che nella sua sintesi tra parole, musica e interpretazione riesce a comunicare in modo devastante. È un linguaggio dell’anima, quello della canzone, che ci entra nelle ossa: ecco perché quando siamo tristi affidiamo i nostri sentimenti alle canzoni.

Ecco perché, ora più che mai, dobbiamo far risuonare le canzoni. Tutte. Ogni forma di canzone. Dalla Ninna nanna che Claudio sta riproponendo nel suo post-Covid: una ninna nanna che serve a non far sentire al bambino, già nell’intento di Trilussa, i drammi della guerra; una ninna nanna che nella sua versione musicale e canzonettistica diventa un vero oggetto che può materialmente coprire il dramma che stiamo vivendo. Allora, suoniamo canzoni.

Ieri sera, dopo qualche giorno in cui non sono stato fisicamente al top, e dopo mesi in cui mi sento particolarmente oppresso dalle difficoltà della vita, ho imbracciato la chitarra e ho suonato: De André, Baglioni, Vecchioni, Battisti, Gaber e molto altro… Suonato e cantato, nelle mie stonature. Ma mi sono sentito meglio, più in armonia con il mondo circostante.

A volte, per tornare in armonia ci serve proprio poco: una canzone, come un messaggio di una vecchia amica che ti chiede soltanto “come stai?”. In quel momento, smetti di essere te stesso, e ti orienti con il mondo: suoni «lo stesso accordo» degli altri, non di quelli che stanno subendo i bombardamenti, ma di chi si trova da un’altra parte del mondo, e deve cercare di vivere.

Così almeno la morte che è dentro di noi se ne va lentamente via. Per la morte che è fuori di noi, la questione è più complicata. Ma se la morte non ce la portiamo dentro, forse riusciamo anche a non portarla fuori; il contrario, sicuro, è impossibile. Bisogna cercare di essere migliori, in qualche modo; anzi, abbiamo il dovere di essere miglior, altrimenti il mondo va a rotoli, e l’unica musica che potrà risuonare sarà davvero un lungo Requiem.

Ve lo immaginate, un «mondo senza»…..canzoni?

Luca Bertoloni

Luca Bertoloni

Nato a Pavia nel 1987, professore di Lettere presso le scuole medie e superiori, maestro di scuola materna di musica e teatro e educatore presso gli oratori; svolge attività di ricerca scientifica in ambito linguistico, sociolinguistico, semiotico e mediologico; suona nel gruppo pop pavese Fuori Target, per cui scrive i brani e cura gli arrangiamenti, e coordina sempre a Pavia la compagnia teatrale amatoriale I Balabiut; è inoltre volontario presso l’oratorio Santa Maria di Caravaggio (Pv), dove svolge diverse attività che spaziano dal coro all’animazione.

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